Marocco, violenza coniugale: ritratto di famiglia

La Corte d’appello di El Jadida condanna un uomo a 2 anni di prigione per violenze fisiche e sessuali sulla moglie: per i più ottimisti potrebbe essere un precedente per processi futuri. Ma lo stupro coniugale non è ancora contemplato da una legislazione arcaica che aspetta da tempo la revisione del Codice penale.

 

Due anni di prigione e 15 mila dirhams di multa (circa 1.350 euro). La sentenza pronunciata il 5 giugno scorso, che condanna un uomo di 42 anni accusato di aver picchiato e violentato sua moglie per anni in presenza dei figli, è una piccola vittoria. 

Supportata dall’associazione Assanaa e difesa dall’avvocato Abdessalam El Mrini, la vicenda di Badia, 35 anni, offre una speranza alle vittime di violenza coniugale e alle associazioni femministe che le sostengono.

Sul caso che ha coinvolto la sua cliente, l’avvocato El Mrini non risparmia i particolari. Ciò che è accaduto è vergognoso e la testimonianza del più grande dei figli della coppia, oltre a diagnosi mediche incontestabili, hanno giocato a favore della vittima. “Ha avuto la forza di parlare delle sevizie che ha subito, di non rinchiudersi nel suo silenzio per sembrare ‘normale’ ”, racconta l’avvocato. Aspettando di sapere se suo marito potrà fare ricorso in cassazione, Badia pensa intanto alla procedura di divorzio, che vorrebbe presentare il prima possibile per lasciarsi alle spalle quest’incubo e il suo carnefice. 

 

La battaglia delle femministe

La sfera coniugale non è mai stata risparmiata dalle violenze sessuali. Nei centri d’ascolto e di accoglienza realizzati dalla Ligue démocratique pour les droits de la femme (LDDF), sono migliaia le Badia che vengono ricevute e aiutate. “Lo stupro coniugale, nonostante tutto, resta un tabù”, afferma Fouzia Assouli, presidente della LDDF, e aggiunge: “E’ abbastanza raro che le donne facciano il passo e sporgano denuncia. E quando lo fanno, non hanno mai la meglio”.

Fouzia Assouli si ricorda di una donna, sposata con un poliziotto, i cui ematomi e traumi psicologici non sono bastati a condannare il marito. “Tutto ciò che abbiamo potuto fare per lei è stato sostenerla nella domanda di divorzio” spiega.

Tra le donne assistite dalla sua associazione, tuttavia, l’80% circa scelgono di non mettere fine alla relazione.

“Alcune pensano che la violenza della società verso una donna divorziata sia molto più forte di quanto sono costrette a subire nella sfera privata”, si rammarica. E quando prendono la decisione di separarsi dal proprio aguzzino, è perché temono per la propria vita, “dopo aver perso un occhio o aver sfiorato la morte”, racconta Assouli.  

 

Psicologia di massa

Le vostre mogli sono per voi un campo da coltivare; recatevi al vostro campo come (e quando) volete” (Sura Al Baqara, versetto 223). Secondo lo psicologo e sessuologo Aboubakr Harakat, un’interpretazione maschilista di questo versetto coranico legittimerebbe alcuni uomini a considerare la propria moglie quasi come un oggetto di loro proprietà.

“Non si fanno scrupoli ad utilizzarle per placare i propri fantasmi”, spiega il professore. “E’ un comportamento frequente in un contesto societario in cui l’educazione all’uguaglianza tra i sessi è ancora agli albori. Anche alcune donne cadono in questa trappola, pensando di dover obbedire al loro sposo ad ogni costo, al punto di sacrificare la propria dignità e la propria integrità fisica e psichica”, analizza Harakat.

Le ragioni chiamate in causa nello studio sono spesso le stesse: la sottomissione per mancanza di mezzi materiali, per paura di quello che dirà la gente e della pressione sociale, per proteggere i bambini. Se la violenza coniugale e sessuale non è certo appannaggio esclusivo dei marocchini, ci troviamo ancora al punto di dover spiegare che stuprare la propria moglie è un crimine.

“La frustrazione sessuale non giustifica nulla. Quand’essa diventa motore d’aggressività, è psicopatia. Non abbiamo ancora metabolizzato il fatto che violentare la moglie non è un diritto”, aggiunge il sessuologo (…). 

 

Le crepe della giustizia 

“Non è la prima volta che la magistratura condanna un uomo per stupro all’interno del matrimonio”, afferma Khadija Rouggani. L’avvocato, cofondatrice del collettivo Printemps de la dignité (Primavera della dignità), rievoca a questo proposito una condanna a Casablanca negli anni ’90. Tuttavia, “lo stupro coniugale non è chiaramente formulato nel Codice penale marocchino. Nel caso di El Jadida, il tribunale non ha avuto scelta: la testimonianza del figlio è risultata schiacciante”.

Bisogna dunque apportare una modifica all’articolo 486, relativo alla violenza, per aggiungervi la nozione di ‘stupro coniugale’?

“Quello che serve è una revisione globale del Codice penale, che risale al 1962, non accontentarsi di mettere delle toppe!”, si infuria la signora Rouggani. L’avvocato lo definisce il “Codice degli anni di piombo: il suo fine non era quello di garantire, ma di limitare i diritti dei cittadini, mettendo avanti la sicurezza e la stabilità del regime”. Un approccio securitario che non dovrebbe più essere all’ordine del giorno, secondo i militanti, e che serve lo Stato a discapito dei diritti umani e delle libertà.

“Questo testo, oggi, è incostituzionale”, argomenta l’avvocato. Il collettivo di associazioni di cui fa parte ha elaborato un memorandum sottoposto a diversi ministeri, partiti e gruppi parlamentari.

“Proteggere la donna contro la discriminazione e la violenza non passa semplicemente per la sensibilizzazione, ma attraverso procedure e provvedimenti improrogabili. E’ l’impianto giuridico nel suo insieme a dover essere rivisto, affinché il caso di Badia non sia più un’eccezione”, riassume.

Una riforma del Codice penale è effettivamente prevista dal piano legislativo del governo, ma la direzione che prenderà è ancora sconosciuta agli attivisti. La loro speranza è una “lettura positiva della Costituzione e una legislazione più chiara, in armonia con gli impegni internazionali assunti del Marocco in tema di rispetto dei diritti umani e uguaglianza di genere”, per far sì che i verdetti pronunciati dai magistrati non siano più frutto della loro interpretazione culturale della società, ma della pura applicazione della legge.

 

(la traduzione è a cura di Giulia Consolini. L’immagine di copertina è di Jacopo Granci)                                          

*Per la versione originale dell’articolo clicca qui

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                    

 

July 02, 2013di: Ayla Mrabet per TelQuel Marocco,Articoli Correlati: 

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