Bahrein: se difendere i diritti di tutti porta in carcere solo alcuni

Abdulhadi al Khawaja è stato condannato all’ergastolo con l’accusa di terrorismo. Sua figlia Zainab è stata rilasciata sotto cauzione. In Bahrein c’è un’intera famiglia che sta pagando per la libertà di tutti.

di Marta Ghezzi da Amman

La sentenza del 22 giugno scorso parla chiaro: carcere a vita. Il ‘catalogo’ delle accuse va dal finanziamento e partecipazione ad atti di terrorismo volti a rovesciare la monarchia nazionale allo spionaggio internazionale, passando per i presunti legami con Iran e Hezbollah.

A prima vista sembrerebbe il peggiore dei criminale, e invece il suo lavoro è difendere i diritti umani.

Abdulhadi al Khawaji è da anni nella lista nera di re Hamad del Bahrein, nonché ospite abituale delle patrie galere: ex protector coordinator per il Medio Oriente dell’organizzazione irlandese Front Line Defenders per la difesa dei diritti umani, cofondatore di numerose associazioni per la denuncia degli abusi del regime e per la difesa dei diritti umani, sia all’interno dei confini nazionali che all’estero, è tornato a Manama nel 2001, dopo un’amnistia generale.

Personaggio da sempre attivo nel campo dei diritti, e da sempre inviso al governo bahreinita, al Khawaji non ha di certo dormito sonni tranquilli dal suo rientro nel paese.

La prima aggressione risale al marzo 2002, regolarmente denunciata alle forze dell’ordine, e regolarmente ignorata. A questa ne sono seguite altre, sempre denunciate e sempre ignorate.

Poi ancora arresti e accuse, processi e violenze.

Nel gennaio 2009, al Khawaji, in un discorso tenuto in occasione dell’Ashura (ricorrenza sciita), denunciava l’uso sistematico della violenza e della tortura, così come la discriminazione settaria (la dinastia al potere è sunnita, mentre il popolo è a maggioranza sciita), la corruzione, l’arbitrarietà degli arresti, le persecuzioni a danno di avvocati e attivisti per i diritti umani e il divieto di assemblea e di libertà d’espressione.

Le accuse questa volta furono di propaganda anti-regime, istigazione all’odio e alla disobbedienza. Il suo j’accuse gli costò la revoca del passaporto e l’obbligo di permanenza all’interno del paese.

Lo scorso marzo arrivarono anche le prime minacce di morte, di nuovo denunciate e di nuovo inascoltate.

L’ultimo arresto, ad opera di una ventina di uomini mascherati e armati che hanno fatto irruzione in casa sua, risale al 9 aprile. Picchiato brutalmente, è stato portato via incosciente. Assieme a lui, il fratello e il genero.

La prima udienza del processo a suo carico si è tenuto nel maggio scorso, davanti ad un tribunale militare. Il giudice non ha tenuto in nessuna considerazione le sue denunce di violenza fisica e psicologica, nè di tentata violenza sessuale ad opera di agenti di custodia durante la detenzione.

Il 22 giugno la conferma: l’ergastolo.

In questi mesi associazioni e ong internazionali si sono mobilitate per chiedere la sua scarcerazione e che il caso passi ad un tribunale ordinario.

Ma nel mirino di re Hamad non c’è solo Abdulhadi, ma tutta la sua famiglia.

Dall’inizio dei disordini in Bahrein, nel febbraio scorso, la moglie si è vista togliere il suo posto di lavoro presso una scuola pubblica per ordine diretto del ministero degli Interni. La figlia Mariam, residente in Svizzera, preferisce invece non far sapere esattamente dove si trova ‘per evidenti motivi di sicurezza’ e ha dichiarato recentemente di non poter far ritorno in Bahrein.

Infine c’è Zainab, figlia maggiore e famosa blogger bahreinita, rilasciata il 21 dicembre scorso, dopo 5 giorni di carcere.

Le accuse a suo carico sono sempre le stesse: raduno pubblico non autorizzato, offesa alle istituzioni statali e resistenza a pubblico ufficiale. Il 15 dicembre la ragazza aveva preso parte, assieme ad altre decine di persone, a un sit-in pacifico nella capitale.

In galera, oltre a Abdulhadi, restano il fratello e due suoi generi, uno dei quali è il marito di Zainab.

Il re Hamad, prendendo atto delle conclusioni della commisione d’inchiesta sullo stato dei diritti umani nel paese, ha promesso riforme e indagini volte a migliorare la situazione. L’esercito in strada continua però a sparare pallottole di gomma ad altezza uomo, a lanciare una quantità tale di lacrimogeni (di importazione americana, britannica, francese e brasiliana) da intossicare intere famiglie chiuse nelle loro case, a disperdere con la forza qualunque tipo di assembramento, cortei funebri compresi.

E la legge marziale che pende da novembre sulle teste dei sudditi del Bahrein è sempre lì.

December 24, 2011

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