Afghanistan. Dall’amore ai droni: la “scherma” poetica delle donne pashtun

Possono colpire, venerare, maledire, prendere in giro in modo sagace e irriverente. Sono i ‘tappa’, o ‘landay’, poesie composte da soli due versi che racchiudono l’universo della tradizione orale femminile afghana.

 

Da centinaia d’anni, i ‘landay’ vengono composti da fanciulle e mogli, per lo più analfabete, che vivono nei villaggi e nelle città al confine tra l’Afghanistan e il Pakistan. Un’usanza poetica che nei secoli si è diffusa in tutto il paese anche a seguito delle migrazioni e degli spostamenti determinati da una situazione di perenne conflitto.  

Tradizionalmente, sono cantati ad alta voce durante feste e riunioni, spesso al ritmo di un tamburello, e hanno pochissime regole di forma: ogni ‘landay’ deve avere ventidue sillabe, nove il primo verso, tredici il secondo; la rima non è essenziale, il contenuto e la musicalità invece sì.

“You wound a thick turban around your bald head to hide your age. Why, you’re nearly dead! (Avvolgi stretto il turbante intorno alla tua testa pelata per nascondere la tua età. Ma perchè, visto che sei quasi morto!”).

Così recita ad esempio un provocatorio ‘landay’ nella traduzione inglese fatta dalla giornalista e scrittrice Eliza Griswold, che insieme al fotografo Seamus Murphy hanno girato l’Afghanistan a caccia di questi mini-poemi popolari. Tutti, rigorosamente anonimi. 

Il canto, infatti, per molto tempo è stato visto come qualcosa di impuro e licenzioso, con la conseguenza che le donne afghane continuano a recitarli in segreto, alla presenza solo di parenti stretti o amici intimi.

In ogni gruppo o villaggio c’è sempre qualcuna più abile delle altre a comporli e cantarli ma, inutile dirlo, ma nessuno deve sapere chi è, mentre i suoi versi passano di bocca in bocca, andando spesso a colpire il bersaglio prescelto.

“In pashto, hanno una cadenza interna da una parola all’altra, come una sorta di ninna nanna che smentisce l’acutezza del loro contenuto. – afferma Eliza Griswold – Contenuto che si distingue non solo per la sua bellezza e arguzia, ma anche per la sua capacità di articolare una comune verità sulla guerra, la separazione, la patria, il dolore o l’amore”. 

Se l’umorismo e la satira sono infatti degli elementi chiave di questi versi – spesso l’unica arma a disposizione contro una società maschilista e opprimente –  i temi possono essere infiniti.

“I distici esprimono una furia collettiva, un lamento, uno scherzo, l’amore per la propria casa, la nostalgia, una chiamata alle armi – continua Griswold – Tutto questo fa svanire quella solita immagine della donna pashtun come nient’altro che un fantasma muto sotto un burqa azzurro”.

Come tutte le tradizioni, anche i ‘landays’ si adattano ai tempi. In passato, infatti, venivano condivisi attorno a un fuoco, dopo una giornata nei campi o nel corsi di un matrimonio (anche nella forma di botta e risposta tra i due sposi). Oggi la gente li condivide via Internet, Facebook, radio e persino via sms.

Cambiano le parole, i soggetti, compaiono versi contro la guerra americana, i talebani, la Nato, e i droni:“The drones have come to the Afghan sky. The mouths of our rockets will sound in reply”. (I droni sono arrivati sopra il cielo afghano le bocche dei nostri razzi suoneranno in risposta). Ma anche: “May God destroy the White House and kill the man who sent U.S. cruise missiles to burn my homeland”. (Possa Dio distruggere la Casa Bianca e uccidere l’uomo che ha mandato i missili Usa a distruggere la mia patria).

“Questi versi – racconta ancora Griswold – sono cantati soprattutto da donne che sono dovute fuggire dai bombardamenti, o hanno perso i loro familiari, sia combattenti o semplici agricoltori. Cantano il loro odio per gli americani e il sostegno dei talebani solo in reazione a tutto quello che hanno sopportato a causa della nostra guerra che ormai va avanti da dodici anni”.

E contro i talebani: “May God destroy the Taliban and end their wars. They’ve made Afghan women widows and whores”. (Possa Dio distruggere i Talebani e porre fine alle loro guerre. Hanno reso le donne afghane vedove e prostitute).

Il lungo lavoro di ricerca di Griswold e Seamus si riassume in un piccolo video da loro prodotto per un progetto del Pulitzer Center dal titolo “On Love and Suicide”. Il video si chiama “Snake”, ed è fatto soltanto di immagini e ‘landay’. Un caleidoscopio intimo e potente di frammenti di vita afghana da un inedito punto di vista femminile, in cui i primi piani sono, ovviamente, molto rari.

“Per ragioni di sicurezza o di una stretta aderenza alla tradizione non ho potuto riprendere le donne, se non quelle che vivono in relativa libertà a Kabul – spiega il fotografo Seamus Murphy – Ma in realtà i loro ritratti non hanno molta rilevanza. I ‘landay’ sono orali e anonimi, offrendo così alle loro autrici la tutela del segreto. Essi appartengono tutti e a nessuno”.

 

 (Foto Giuliano Battiston)

 

July 13, 2013di: Anna ToroAfghanistan,Video: 

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