Il sangue, il metal, la religione: intervista ai sauditi alNamrood

Il nome della band viene spesso tradotto come i “non-credenti”: già solo questo è una sfida alle dure leggi religiose del regno wahabita in cui, tra mille difficoltà, questi ragazzi perseguono il loro sogno musicale.

 

 

Mephisto alle chitarre e al basso, Ostrog agli strumenti arabi, Humbaba alla voce: sono i tre membri effettivi degli alNamrood, una delle pochissime band di metal estremo dell’Arabia Saudita. Un genere, anche nella loro speciale versione mediorientale, ricco di suggestioni pagane, storiche e culturali, che la band esprime nei testi e nella musica a cavallo tra tradizione e modernità.

Inutile dire che una musica simile è assolutamente vietata nel paese, dove il black metal è paragonato all’apostasia, “crimine” che può costare addirittura la vita. E allora, l’unico modo per continuare a suonare è farlo in segreto, sognando, un giorno, di andare via. Osservatorio Iraq li ha intervistati per voi.

 

Come definite il vostro genere e quali sono le vostre influenze?

Partiamo da un concept originale: il nostro lavoro è influenzato dalla storia dei massacri nel mondo arabo e della sua oppressione da parte dei vari regni tirannici che si sono succeduti nella storia. Musicalmente, siamo nati come band di black metal mediorientale; tuttavia, ultimamente la componente “black” sta lasciando il posto alle melodie più propriamente metal.

Il vostro nome, AlNamrood… che cosa significa?

In realtà il nome deriva dall’antica e leggendaria Babilonia e dal suo potente re cacciatore Nimrod.

E’ dunque l’antico passato, storico e letterario, della penisola arabica a ispirare gran parte del vostro lavoro e dei vostri testi, tutti in arabo. Ma la vostra lettura è alquanto cupa e si riflette nel presente… Quali sono in generale i temi che affrontate?

In ogni album proviamo a scrivere una trama unica. Ad esempio, Heen Yadhar Al Ghaq (“Quando l’oscurità appare”), il nostro ultimo album, si svolge  principalmente nel tempo dopo Kitab Al Awthan, il penultimo.

Ma il tema continua, in un passato in cui l’evolversi degli eventi nella nostra regione ha portato a diversi effetti di tipo culturale e intellettuale, rappresentati da un’ampia letteratura e poesia che si è diffusa nella penisola arabica… Ma non solo: pensiamo anche ai progressi di tipo scientifico e di urbanizzazione, come dimostra, ad esempio, la costruzione della diga di Marib nello Yemen (750-700 a.C.).

Eppure…

Eppure, vediamo che la guerra contro l’arte e la scienza, il culto delle personalità e del Dio di tutti gli esseri umani continua ad essere perpetrato dall’ingiustizia delle religioni attraverso i decenni.

Dove l’ignoranza è stata la condanna delle religioni precedenti, la ferocia ha continuato a spandersi dappertutto, mentre il sistema tribale ha  portato le tribù a combattersi a vicenda, in una situazione caotica tremenda, in cui le guerre sanguinose per il culto dei tiranni e dei signori non finiscono mai.

Le vite degli arabi nel periodo pagano e preislamico dipendevano dalla natura delle tribù che è meno stabile rispetto alla vita sotto un regno; le guerre tra le tribù andavano avanti per diverse ragioni, da quelle economiche a quelle criminali, di protezione e di vendetta, ed erano sempre guerre che generavano altre guerre. E nonostante questo, lo spargimento di sangue per vendetta era sempre considerato una cosa nobile.

Il vostro interesse per la storia e per la cultura della vostra regione si riflette non solo sui testi ma anche sulla musica. Vi servite anche di strumenti tradizionali, oltre le chitarre distorte e i classici strumenti del metal?

Sì, usiamo l’oud [tipo di liuto a manico corto], il kanun [una sorta di grande cetra con una stretta tavola armonica a forma di trapezio], il ney [tra i più antichi tipi di flauto, originario delle zone della Persia e dell’Asia occidentale], il santoor turco [strumento tradizionale che somiglia a uno xilofono a corde], la fisarmonica e la darbouka.

Sono questi strumenti che fanno la differenza tra il metal orientale e quello occidentale?

Anche. Gli strumenti arabi hanno dimensioni e struttura diverse e si basano maggiormente sul quarto di tono (la distanza tra ogni nota successiva dev’essere un quarto di tono), a differenza della struttura degli strumenti occidentali come chitarre e bassi, dove le note scritte in ordine tra righe e spazi completano la scala.

A proposito di metal orientale, esiste una scena metal, magari sotterranea, in Arabia Saudita?

Le band sono poche, suonano e fanno la loro musica in privato, ma alla fine non esiste nessuna scena che sia pubblicizzata, così come non ci sono club di musica o spettacoli dal vivo.

In generale, la musica viene osteggiata nel paese, e non c’è bisogno di dire che il metal estremo è severamente vietato. Il governo attua politiche severe contro i musicisti metal, che sono considerati un pericolo per la sicurezza dello Stato.

Ancora, non ci sono studi professionali per le prove e le registrazioni, né negozi di musica certificati, o luoghi dove ci si può procurare attrezzatura musicale decente.

E per quanto riguarda i pericoli, lo diciamo francamente: la teocrazia in Arabia Saudita è oppressiva, politicamente scandalosa. Ad esempio, essere atei equivale a rigettare la propria lealtà verso lo stato, e ambire a mete musicali o avere un qualsiasi approccio artistico sono tutti modi in cui si può essere riconosciuti come una minaccia per l’autorità.

La punizione, da parte del tribunale islamico, per coloro che disobbediscono può essere addirittura la (pubblica) decapitazione.

Pensate che un giorno le cose possano cambiare? A volte i giovani come voi, attraverso la musica e l’arte, possono contribuire al diffondersi di nuove idee e diversi modi di vivere. Ma immagino non sia facile…

Secondo noi no, le cose non cambieranno. Semplicemente perché qui, quando nasce un bambino, lui/lei passa attraverso diversi processi che implicano dei lavaggi del cervello disumani di tipo religioso.

Dal principio non sa se quello che fa è giusto o sbagliato, così se gli viene insegnato ad essere un religioso radicale è facile che rimanga tale per il resto della sua vita, a meno che non riesca ad oltrepassare quella coltre e cambiare mentalità.

I genitori, d’altro canto, supportano le scuole islamiche e quel tipo di istruzione limitata, le persone stesse non hanno alcun problema con il sistema, e se qualcuno comincia ad obiettare, viene maltrattato e costretto a sottomettersi.

Insomma, qui funziona così: se hai una prospettiva diversa e vuoi dissentire, devi farlo in silenzio.

Nel vostro ultimo album, Heen Yadhar Al Ghasq (“Quando il crepuscolo appare”), l’atmosfera è, se possibile, più cupa e potente rispetto ai lavori precedenti, e le atmosfere restano comunque suggestive. Ci raccontate la vostra evoluzione artistica?

La band AlNamrood è stata creata sulla base della forte influenza degli eventi storici; abbiamo impostato l’assetto su un concetto di originalità, direttamente dalla nostra esperienza e conoscenza del mondo reale, cercando di portare e presentare a tutti un frammento del mostruoso passato del nostro paese.

Per mettere in pratica questa idea, abbiamo voluto da subito, come già detto, includere gli strumenti più tradizionali. Tuttavia, a causa della nostra posizione geografica, così come della mancanza di esperti musicali e di risorse, abbiamo dovuto imparare da soli a produrre la nostra musica, cercando di acquistare le attrezzature on-line, e senza mai alcun sostegno finanziario.

Abbiamo iniziato a sperimentare, fino a quando non abbiamo raggiunto un suono soddisfacente. Pian piano, si può sentire come ogni album ha una migliore qualità del suono grazie al raggiungimento di una migliore esperienza. Se pensate che abbiamo fatto tutto in casa… e da lì, giorno dopo giorno, abbiamo sviluppato la nostra musica.

Per fortuna c’è Internet…

Sì, Internet è il nostro cancello aperto sul mondo, e sempre online abbiamo incontrato l’etichetta canadese Shaytan Productions, che ha prodotto tutti i nostri album.

Avete dei piani per il futuro?

Stiamo lavorando sulle nuove canzoni. Inoltre stiamo pensando di emigrare in un altro paese, se vogliamo continuare con la band e soprattutto suonare dal vivo.

Un po’ triste ma forse è l’unico modo. Quindi magari vi vedremo anche da noi in Italia?

Accadrà un giorno.

Cosa consigliereste ai ragazzi sauditi che vogliono suonare metal come voi?

Diremmo loro: “Non vergognatevi dei vostri sogni e dei vostri desideri, ma dedicatevi al massimo aciò che amate e cercate di eccellere in esso”. 

 

July 06, 2014di: Anna Toro Arabia Saudita

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