Che fine faranno l’anno prossimo gli oltre 20 mila profughi sbarcati da noi dopo le Primavere Arabe? Se lo chiedono con preoccupazione il Cir (Consiglio Italiano per i Rifugiati), l’Unhcr (l’Agenzia onu per i rifugiati), insieme alle Regioni, agli enti locali e al mondo delle associazioni.
di Anna Toro
Il 31 dicembre 2012, quindi fra poco meno di tre mesi, verrà decretata la fine ufficiale della emergenza Nord Africa” in Italia, caratterizzata della gestione commissariale dei migranti affidata alla Protezione civile.
Dichiarato il 12 febbraio de 2011, lo stato di emergenza doveva servire per far fronte all’arrivo delle migliaia di persone fuggite dalla Libia, che hanno attraversato il Mediterraneo in cerca di sicurezza in Italia.
Più che di libici, si è trattato soprattutto di rifugiati da altri pesi (nigeriani, tunisini, somali, eritrei) e di migranti che lavoravano in Libia anche da anni ma che non si sentivano più sicuri in quel periodo turbolento.
Nonostante l’Italia abbia accolto una percentuale minima rispetto alle 900 mila persone che hanno lasciato la Libia, l’intervento della Protezione civile doveva servire a pianificare e gestire l’accoglienza sia dei profughi sia dei migranti arrivati dal 1° gennaio al 5 aprile dai paesi del Nord Africa in possesso di un permesso temporaneo di soggiorno.
Spalmati nelle varie regioni d’Italia, i migranti sono stati accolti nelle strutture messe a punto dagli enti locali (per lo più coadiuvati da onlus e associazioni) e avrebbero dovuto usufruire di un programma di “accoglienza integrata”: non solo distribuzione di vitto e alloggio, dunque, ma anche informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico e possibilmente lavorativo.
Inutile dire che i percorsi di questo tipo sono stati ben pochi. Soprattutto, dal 31 dicembre 2012 sarà in discussione la stessa possibilità per i migranti di avere un tetto sulla testa qui in Italia.
Fine dell’emergenza, infatti, significa anche fine dei fondi.
Non che il sistema dei finanziamenti abbia funzionato bene durante questo anno e mezzo. E non solo perchè il sistema emergenziale è terreno fertile per irregolarità e malaffare (si veda il caso di Roccagorga e non solo), ma anche a causa di un ritardo stesso nell’erogazione dei fondi da parte del governo e della Protezione civile.
Ciò ha messo in seria difficoltà gli enti locali che, predisponendo le strutture e anticipando i costi della gestione, volontariamente avevano dato avvio a programmi di accoglienza e inserimento di queste persone in cerca di asilo politico.
Documento Stato-Regioni, una partita persa in partenza
Alla luce di tutte queste criticità, perciò, il documento di indirizzo per il superamento dell’ “emergenza Nord Africa” approvato il 26 settembre dalla Conferenza unificata Stato-Regioni rischia di essere soltanto un libro dei sogni.
L’intento del documento, infatti, voleva essere quello di superare la fase emergenziale per far posto a una nuova fase basata principalmente sull’inserimento socio-lavorativo dei migranti.
Ma già solo il previsto “potenziamento dello Sprar” (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati costituito dalla rete degli enti locali) allargando la capacità di accoglienza dagli attuali 3 mila posti a 5 mila posti, ha ben poco di concreto: per finanziarlo, nel 2011 era stato annunciato lo stanziamento di 9 milioni di euro, di cui nessuno per ora ha visto un solo centesimo.
Ancora, nel documento si parla di spese per l’accoglienza dei minori non accompagnati di cui si deve far carico il governo, si parla di rendere permanenti il Tavolo di coordinamento nazionale e regionale, si abbozza un primo intervento per l’integrazione lavorativa in favore (per ora) di 1000 richiedenti e beneficiari della protezione internazionale. Insomma, le idee e i buoni propositi non mancano.
A non essere affrontato è però l’aspetto più importante, ovvero cosa ne sarà delle persone che non hanno ottenuto nessuna forma di protezione o che ancora sono nel limbo dell’attesa. Ovvero la maggioranza.
Verso una nuova emergenza
Secondo i dati del ministero dell’Interno, nel 2011 le Commissione territoriali italiane hanno esaminato circa 25.626 richiedenti asilo, riconoscendo 2.057 rifugiati, 2.569 protezioni sussidiarie e 5.662 protezioni umanitarie.
Moltissimi i dinieghi (cioè le richieste negate): 11.131, ovvero il 44% delle richieste esaminate, dieci punti percentuali in più rispetto all’anno precedente.
Nei primi tre mesi del 2012, invece, l’Italia dell’ “emergenza” ha respinto ben tre domande d’asilo su quattro: su 7.090 sentenze, 5.365 hanno avuto esito negativo in prima istanza, il 76%.
I dati Eurostat, pubblicati nell’agosto di quest’anno, mostrano che tra gennaio e fine marzo l’Italia ha riconosciuto solo poche centinaia di rifugiati (435), più 675 protezioni sussidiarie e 620 protezioni umanitarie.
“Tanti di questi profughi sono stati incanalati nel percorso della domanda di protezione internazionale spesso senza aver ricevuto un’adeguata informazione sulle implicazioni e sui possibili esiti della procedura di asilo ed ospitati in strutture non sempre adeguate – affermano dal Tavolo Nazionale Asilo in un appello al presidente Monti – L’alto numero di decisioni negative riguardanti le loro domande di protezione rischia di generare una vera e propria ulteriore emergenza”.
E infatti, cosa succederà ora a tutti coloro a cui la protezione è stata negata?
Secondo il Cir, il Viminale starebbe valutando l’ipotesi di concedere ai 20mila profughi dell’emergenza Nord Africa un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Ancora sconosciuta la modalità: potrebbe procedere o con un decreto legge, come previsto dall’articolo 19 del Testo unico per l’immigrazione, o chiedendo alle Commissioni territoriali di valutare caso per caso (procedimento fortemente criticato dal Cir perchè ritenuto “molto lungo e ferraginoso”).
E infatti si parla quasi di baratto (o ricatto?) che il governo vorrebbe offrire ai migranti proponendo loro il già citato permesso di soggiorno umanitario a patto che sottoscrivano la rinuncia alla domanda d’asilo o al ricorso in appello.
Intanto il 31 dicembre si fa sempre più vicino.
“In mancanza di alternative concrete – scrive l’Unhcr in un comunicato – si corre anche il rischio di innescare possibili tensioni sociali sui territori interessati. E il rischio che molte migliaia di persone si trovino sulla strada fra pochi mesi rimane purtroppo ancora concreto”.
October 9, 2012