L’alba del quarto anno della rivolta siriana illumina un panorama desolante. Sono passati tre anni da quando 14 bambini nella polverosa cittadina di Dara’a, al confine tra Siria e Giordania, scrivevano sui muri lo slogan “il popolo vuole la caduta del regime”, emulando le piazze della primavera araba viste in tv. Tre anni dal loro arresto che è stato il primo atto della brutale repressione del regime di Asad.
Dopo la scintilla di Dara’a quello slogan è riecheggiato in tutte le piazze del paese, insieme alle rivendicazioni di libertà e dignità.
Per 8 mesi la rivolta è stata nonviolenta, la piazza scandiva cori che inneggiavano all’unità nazionale, alla ribellione pacifica, alla democrazia.
Ciononostante è stata immediata e brutale la repressione del regime e dei suoi sgherri, il cui slogan era “o con Asad o bruciamo il paese”.
Mentre il mondo si prepara a celebrare, il 15 marzo, il terzo anniversario di questa rivolta, appare chiaro quanto fosse letterale quella minaccia: i bombardamenti martellanti ed indiscriminati hanno raso al suolo più della metà di Homs, terza città del paese, e interi quartieri di Aleppo, oltre ad aver cancellato dalle cartine tante piccole località e distrutto tantissime infrastrutture.
La portata dei danni è tale da aver spinto l’UNESCO a lanciare l’allarme per il patrimonio dell’umanità che si sta perdendo in uno dei più antichi paesi del mondo ed è ben illustrata dalle immagini pubblicate il 26 gennaio dal quotidiano inglese The Guardian. Ovviamente affianco ai danni materiali ci sono le ancor più tragiche statistiche sulle perdite umane della guerra che il regime ha dichiarato contro il suo popolo:
Il centro studi “Violation Documentation Centre” ha censito poco più di 100.000 vittime di cui è stato possibile verificare identità e circostanze della morte, ma le stime parlano di oltre 150.000 ed alcune si spingono ad ipotizzarne 200.000.
Sono circa 2 milioni e mezzo i rifugiati siriani registrati presso l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati, cui ne vanno aggiunti quasi altrettanti tra profughi non registrati e coloro che si sono trasferiti da parenti o amici nei paesi vicini.
Sommando anche i milioni di sfollati interni si può dire che tra 1/4 ed 1/3 dei siriani ha dovuto abbandonare casa propria.
Stando alle stime della Coalizione Nazionale Siriana delle Forze di Opposizione circa il 55% dei siriani è stato ucciso, torturato, ferito o sfollato dal regime di Asad.
Centinaia di migliaia di siriani vivono oggi in aree sotto assedio, nel solo campo profughi palestinese di Yarmouk (periferia di Damasco) sono circa 190 i morti per fame, in buona parte bambini. Stando ai dati di Save The Children un bambino su tre ha subito violenza o è stato ferito, 5 milioni di bambini sono in condizione di necessità e tra le vittime della guerra ci sarebbero almeno 7000 minori.
Non c’è tecnica di guerra o armamento che il regime abbia ritenuto eccessivo, per cui a dispetto di qualunque linea rossa le forze fedeli ad Asad hanno usato armi chimiche, missili scud, bombardamenti aerei, bombe a grappolo, barili esplosivi fino ad arrivare all’uso di un assedio dal sapore medievale che ha costretto varie località a capitolare, dopo aver mangiato anche gli animali domestici e l’erba di prato.
A pochi chilometri, nelle aree centrali di Damasco, c’è chi vive in una calma surreale, come nel caso della ricca borghesia vicina al regime che si è permessa di spendere 18 milioni di lire siriane (circa 165.000 dollari) per una festa a tema ispirata ad una fiction turca.
La situazione militare sul campo è altalenante, con un generale avanzamento delle forze lealiste rispetto ad un anno fa, anche grazie al fatto che ora i partigiani siriani non combattono su un fronte solo, ma nel nord del paese sono invece impegnati anche contro ISIL (Stato Islamico in Iraq e nel Levante), la milizia fanatica fuoriuscita da Al Qaeda che controlla l’area tra Raqqa e Deir al Zour e che molti indizi ricollegano al regime stesso.
In questi giorni gli scontri più duri si registrano nella zona di Yabroud, un sobborgo strategico di Damasco, dove le forze rivoluzionarie si stanno battendo contro le forze lealiste insieme ai loro alleati Hezbollah ed a miliziani iracheni.
Il fallimento annunciato di Ginevra 2 ha ridotto ancor di più le già esiguissime speranze di una rapida soluzione politica del conflitto, tanto che lo stesso leader della Coalizione Nazionale delle Opposizioni, Ahmad al Jarba, capo delegazione ai colloqui di Ginevra, ha dichiarato il suo scetticismo.
Sul piano diplomatico le più recenti novità riguardano la rottura tra Qatar ed i paesi del Golfo che orbitano intorno alla monarchia Saudita, sancita dall’inedito ritiro del personale diplomatico da Doha.
Alcuni osservatori ripongono molte speranze in una possibile storica visita del presidente iraniano Rouhani a Riadh, un segnale di disgelo nella guerra fredda tra il “blocco sunnita” e quello “sciita” della annosa guerra fredda intra-islamica in corso in Medioriente che potrebbe sbloccare la situazione di stallo in Siria ma anche mettere a rischio l’unità del paese con una spartizione in aree di influenza.
Nonostante la situazione sconfortante tra i siriani la speranza non è morta ed ogni venerdì continuano a manifestare per le strade, anche se con numeri lontani dalle folle oceaniche dei primi mesi. Anche per ridare forza all’attivismo civile nel giorno del terzo anniversario della rivoluzione, il 15 marzo, sono previste manifestazioni in tantissime città del mondo, da Parigi a Washington, da Londra ad Istanbul ed anche nella capitale italiana, dove convergeranno pullman da tutto il paese per una manifestazione indetta dalla più larga ed eterogenea coalizione che abbia sostenuto il popolo siriano nei suoi tre anni di lotta.
La solidarietà con il popolo siriano, la condanna del regime di Asad e dei terrorismi che colpiscono la popolazione è riuscita a portare in piazza associazioni come Un Ponte Per… o i Beati Costruttori di Pace insieme ai comitati di solidarietà sorti in tante città, alle associazioni di siriani in Italia e tante realtà della sinistra di base come La Comune Umanista o il Partito Comunista dei Lavoratori.
Affianco all’appello alla mobilitazione diffuso dal comitato promotore della manifestazione sono da registrare gli appelli convergenti siglati dalla Rete per la Pace (il più grande ombrello di organizzazioni pacifiste italiane) e quello degli scrittori firmato, tra gli altri, da Dario Fo, Daniela Padoan e Shady Hamadi.
Sul piano internazionale c’è anche l’iniziativa globale promossa da attivisti siriani con il sostegno della Coalizione Nazionale denominata “Be the revolution”, che invitano ad esprimere il sostegno al popolo siriano indossando nastri rossi o ad utilizzarli per decorare luoghi significativi delle città.
Sui social network si sta invece diffondendo l’hashtag #withsyria lanciato dall’artista Banksy che per l’occasione ha rielaborato la sua celebre opera che raffigura una bambina con un palloncino rosso, aggiungendo un velo sulla testa della bimba, cosa che ha sollevato qualche critica.
Del resto in molti ricordano che solo a ottobre lo stesso Banksy aveva pubblicato un video in cui rappresentava i ribelli siriani come dei talebani che abbattevano Dumbo (il celebre personaggio Disney) con un missile.
Sempre in questi giorni l’ONG Save The Children ha lanciato una campagna in favore dei bambini siriani e l’UNICEF ha pubblicato un agghiacciante rapporto sulle condizioni dell’infanzia in Siria, tra i dati più significativi il numero di bambini “nati rifugiati”: circa 380.000.
March 14, 2014di: Fouad RoueihaSiria,