La rivolta e la guerra civile siriana sono ormai uno degli eventi più documentati della storia, a testimonianza di come l’unica vera rivoluzione che sia per ora andata a buon fine nel mondo arabo è quella della parola.
Ogni giorno i cittadini e media-attivisti siriani pubblicano centinaia di video, articoli, file audio ed immagini per descrivere la tragedia che sta investendo il loro paese e per farla conoscere al mondo, spesso nell’indifferenza dei media internazionali che si limitano a rilanciare i contenuti prodotti dalle grandi agenzie di stampa o, peggio, dall’agenzia di Stato SANA.
La rivolta e la guerra civile siriana sono ormai uno degli eventi più documentati della storia, a testimonianza di come l’unica vera rivoluzione che sia andata per ora a buon fine nel mondo arabo è quella della parola, che oggi è libera a dispetto della repressione (che per molti versi è rimasta intatta).
Per oltre 40 anni la Siria è stata uno dei paesi con la minor libertà d’espressione al mondo, sempre in fondo alle classifiche stilate dalle organizzazioni internazionali con Freedom House o Reporter Sans Frontières, che nei loro rapporti descrivevano il suo sistema di controllo paragonabile solo a stati come la Corea del Nord.
Decenni in cui gli unici mezzi di informazione erano i giornali di partito e la grigia propaganda di stampo sovietico del canale televisivo di Stato. Per rompere l’isolamento, i siriani si affidavano alle radio, che grazie alle vecchie onde lunghe dell’AM superavano i confini e le censure.
Nelle città limitrofe al confine, le famiglie ruotavano le loro antenne in direzione del vicino Libano, dove la varietà delle emittenti televisive è ampia, oppure verso la Giordania o l’Iraq, tanto che nei negozi di elettronica si vendevano motori elettrici che consentivano di girare l’antenna col telecomando di casa.
A mandare in pezzi il “Truman show” che il regime siriano imponeva al suo popolo sono state le tv satellitari, Al Jazeera in testa, e la rapidissima diffusione delle antenne paraboliche. Una tecnologia a basso costo che ha portato nelle case dei siriani immagini e parole mai sentite, tanto che molti hanno sfidato l’iniziale divieto e le antenne sono comparse su tutti i balconi e i terrazzi.
Rotta la cupola della censura, anche i media siriani hanno dovuto adeguarsi e, non potendo più raccontare favole inventate di sana pianta, hanno dovuto fare lo sforzo di reinterpretare la realtà come un “Ministero della verità” di orwelliana memoria. Damasco ha quindi aperto anche ai media privati, concedendo licenze agli editori della carta stampata e di media audio-visivi vicini al regime, con l’esplicita condizione che non si occupassero di politica.
Nonostante le televisioni satellitari abbiano quindi introdotto un po’ di pluralismo, sia pur con canali di Stato o di proprietà di grandi magnati del Golfo Persico, si era ancora lontani dall’avere media indipendenti, con le uniche eccezioni di alcuni siti web come All4Syria, diretto dal giornalista Ayman Abdel Nour.
Bisognerà aspettare l’inizio della rivoluzione per veder emergere il fiume in piena dei media indipendenti siriani.
Da quel momento, ogni consiglio di coordinamento locale si dota di un ufficio stampa con media-attivisti che parlano più lingue, nascono decine di canali Youtube, blog, pagine sui social network, giornali clandestini le cui storie ricordano le nostre staffette partigiane durante l’occupazione nazista. Un’esplosione che testimonia la voglia di prendere la parola da parte di un popolo relativamente colto, dalla lunga tradizione politica e letteraria, costretto al silenzio da decenni.
In questa primavera della parola, un ruolo cruciale lo stanno giocando le radio.
Sono almeno una quindicina le emittenti libere nate in Siria dall’inizio della rivolta nel marzo 2011. La maggior parte delle nuove radio trasmette solo online, in streaming o caricando i podcast su siti come Youtube o Soundcloud. Qualcuna nelle zone liberate trasmette anche in FM, magari servendosi di un trasmettitore montato su un furgoncino, sempre in movimento per evitare di finire nel mirino dell’artiglieria di Asad.
Ad animare le radio libere siriane ci sono media-attivisti, professionisti che hanno abbandonato la stampa di Stato, o che hanno maturato esperienze all’estero. Tutti quelli che lavorano all’interno del paese usano pseudonimi, le redazioni si riuniscono su Skype.
Qualche radio registra i programmi negli scantinati dei palazzi, al riparo da sguardi indiscreti, ma dopo l’arrivo delle formazioni legate ad Al Qaeda, nelle aree della Siria fuori dal controllo di Asad, e la nascita di una nuova censura, molti hanno scelto di spostare gli studi all’estero, soprattutto a Gaziantep, città a 60 km a nord di Aleppo, appena oltre il confine turco-siriano.
Mentre le prime radio sperimentali come “Radio New Start” o “One plus one” trasmettevano solo corrispondenze di guerra registrate da concitati attivisti sul campo e canti rivoluzionari, ora sulle onde di Radio Souriali, Radio Ana, Radio Al Kul e le altre si possono ascoltare radiogiornali, talk show, programmi satirici, trasmissioni di servizio che ad esempio segnalano i check point del regime agli abitanti delle aree contese, o danno conto dell’inflazione e della crisi economica.
E ancora, programmi di intrattenimento e campagne di sensibilizzazione, pensate per cercare di mantenere la coesione sociale ed infondere quel concetto di cittadinanza che è indispensabile in una democrazia, ma che è quasi del tutto estraneo alla popolazione, dopo decenni di dittatura rigidissima.
Talvolta le radio pescano dalle tradizioni culturali, così l’antica tradizione dei Hakawati, i “raccontastorie”, si rispecchia in un settimanale prodotto da Souriali, mentre i personaggi del teatro delle ombre di Aleppo hanno animato un programma andato in onda durante lo scorso Ramadan su Nasaem Souria.
Karakoz, una maschera che assomiglia un po’ al nostro Arlecchino, si rivolge ad una maga per sfuggire al feroce sultano che perseguita lui ed un suo amico. La maga li proietta nella Siria di oggi e per 30 puntate i due si districano tra le squadracce del regime, le contraddizioni dei rivoluzionari e le milizie sparse, in una commedia che può ricordare il film di Benigni e Troisi “Non ci resta che piangere”.
Particolarmente commoventi sono, poi, le trasmissioni per bambini, in cui voci rassicuranti e dolci suggeriscono nuovi giochi, consigliano i piccoli ascoltatori su come affrontare la perdita di un amichetto, la mancanza della scuola o il nervosismo dei grandi in questo periodo difficilissimo.
Si tratta di contenuti preziosissimi – come accennavamo al momento della campagna Free Press for Syria – che raccontano quella società che nei nostri media non trova spazio, poiché oscurata dal fragore delle armi o dai balletti diplomatici. Contenuti che possono contribuire in maniera effettiva a limitare la disgregazione del popolo e le derive settarie, a costruire il paese della libertà, democrazia e dignità che le piazze siriane hanno reclamato fin dal 15 marzo 2011.
(credit immagine Majrud Arqam, in Syrian Revolution Caricature)
December 13, 2013di: Fouad RoueihaSiria,Articoli Correlati:
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