Focus Tunisia/Un anno dopo, la gioia non è più di moda

Alle sette del mattino ero già in piedi, esaltata all’idea di votare per la prima volta nella mia vita. Una gioia “cittadina” che un anno fa, il 23 ottobre 2011, ho condiviso con milioni di tunisini. Dopo la caduta del dittatore Ben Ali, erano grandi le attese di cambiamento per la blogger Lilia Weslaty*.

Volevamo una nuova Costituzione in cui i principi dello Stato di diritto, dei diritti dell’uomo e soprattutto lo slogan della rivoluzione iniziata il 17 dicembre 2010 – “Lavoro, libertà e dignità” – fossero il fondamento della nostra nuova Repubblica.  

Gli eletti hanno promesso di lavorarci un anno, non di più, ad eccezione del partito CPR (Congrès pour la République del presidente Moncef Marzouki), secondo cui ci sarebbero voluti almeno tre anni per perfezionare le nostre leggi costituzionali.

All’interno dell’Assemblea nazionale costituente (ANC) i deputati hanno lavorato con tenacia.

Contrariamente alle sequenze tagliate delle sedute plenarie che abbiamo visto circolare su internet e sui media, bisogna riconoscere che il lavoro degli eletti del popolo –  seguito di persona – è stato costante.

Sempre in trasferta, in riunione, in conferenza, lavorando più di otto ore al giorno, anche durante il ramadan, quando rientravano tardi – appena un’ora prima della rottura del digiuno, per riprendere poi il lavoro fino alle tre del mattino –  i deputati hanno cercato di resistere alla pressione dell’enorme lavoro che dovevano compiere e alle critiche su tutti i fronti che hanno ricevuto dai cittadini e dai media. 

D’altra parte, bisogna pur dire come stanno le cose : la maggiornaza dei deputati non è adeguatamente preparata per scrivere una Costituzione.

E’ come se avessimo chiesto a una due cavalli di andare a 250km/h per un anno intero. Certo, attualmente più di 191 articoli sono stati scritti, che bisognerà poi vagliare con l’aiuto di una Corte costituzionale, organo che dovrà essere creato il prima possibile per garantire la costituzionalità delle leggi e la loro conformità alle norme giuridiche.

Come il divertente esempio dell’articolo 28, trasformato poi in articolo 21, in cui Ennahda afferma che la donna è ‘complementare all’uomo’.

Un enunciato che non ha nulla di costituzionale e che presto o tardi dovrà saltare. Stessa storia per il progetto del “Consiglio islamico superiore” proposto dal partito islamista in cui la nozione discriminatoria sul piano religioso è evidente.

Attualmente, oltre la creazione della Corte costituzionale, ci sono al vaglio i progetti e le proposte di legge governative, dei partiti e delle associazioni.

Tre istanze indipendenti dovranno vedere presto la luce: quella dei media, del potere giudiziario e del controllo delle elezioni, sulla cui formazione stanno dibattendo i deputati.

I tre presidenti – della Repubblica, del governo e dell’ANC – hanno proposto di recente le date del 23 giugno 2013 per le elezioni legislative e presidenziali e il 7 luglio 2013 per il secondo turno delle presidenziali.

Risulta evidente quindi che la scadenza della fine dei lavori dell’ANC, prevista per il 23 ottobre 2012, non è stata rispettata.

Questo rischia di fornire ai politici dell’opposizione, che desiderano avere una posto nel governo, un pretesto per scioglierlo.  

Di recente, l’ascesa del nuovo partito Nidaa Tounes (Appel de la Tunisie) di Béii Caid Essebsi, già affiliato al Destour (all’epoca di Bourguiba) e all’RCD (sotto Ben Ali), ha diviso in due la scena politica: una parte sostiene la Troika (i partiti che governano attualmente la Tunisia: Ennahda, CPR e Takatol) e un’altra che sostiene l’Appel de la Tunisie.

Una terza via si comincia a intravedere, quella dei partiti di sinistra, riuniti nel Fronte Popolare.

Il 7 ottobre, un grande meeting di questa coalizione di 12 partiti e di attori indipendenti è stato organizzato nella capitale.

Migliaia di tunisini sono venuti per assistervi. Gli slogan intonati reclamavano democrazia, uguaglianza, cittadinanza e tutti i valori repubblicani universalmente riconosciuti.

Il problema è che all’interno dello stesso Fronte Popolare ci sono stalinisti e perfino dei sostenitori del siriano Bachar Al Assad (membri del Baath, partito panarabista, tunisino).

Così, sul piano politico, quest’anno ricco di avvenimenti rischia di portare a risultati eterogenei alle prossime elezioni, in cui forse saremo obbligati a scegliere tra la peste e il colera.

Il fragile contesto di sicurezza, in cui gli scontri tra cittadini si moltipliano un po’ ovunque nelle città tunisine, in cui gli estremisti religiosi – che un linguaggio abusato definisce “salafiti” – partecipano alla minaccia dell’ordine pubblico, aumenta il senso di insicurezza del cittadino medio.

Nonostante tutto, lo spirito della rivoluzione è ancora presente, soprattutto tra le nuove generazioni. 

Le associazioni e la società civile in Tunisia sono molto attive. Ogni giorno vengono organizzate conferenze stampa, incontri, dibattiti, azioni civiche.

Vedendo le informazioni che circolano all’estero, uno straniero potrebbe pensare che il paese versi nel caos, ma quando si è sul campo, ci si accorge che, nonostante la struttura della dittatura non sia ancora crollata, i cittadini hanno finalmente un’arma in mano per farlo cadere, quella della penna e della libertà di espressione.

In parallelo, il sostegno incondizionato dell’Unione europea e dell’Occidente rende la transizione democratica in Tunisia tangibile, per esempio, attraverso gli accordi sottoscritti con il nuovo governo.

Di recente, la Commissione europea ha adottato un nuovo programma del valore di € 25 milioni per rafforzare lo Stato di diritto e sostenere il processo di transizione attraverso la riforma del sistema giudiziario e del sistema carcerario in conformità con le norme europee ed internazionali.

Di fronte alla crescita di gruppi estremisti religiosi e per garantire la propria sicurezza, l’Ue ha dunque interesse a sostenere la culla della primavera araba, e cioè la Tunisia.

Anche se i fattori (essenzialmente socio-economici, ndr) che tra il 2010 e il 2011 avevano dato al movimento rivoluzionario, non sembrano essere mutati di molto.

Nella realtà quotidiana, l’economia informale avanza in tutto il paese e la precarietà della forza lavoro giovanile – una fetta considerevole della società – non sembra essere ancora all’ordine del giorno per il governo Jebali.

In conclusione, la data del 23 ottobre 2012, per commemorare il primo esercizio effettivo della democrazia, non sarà celebrata con gioia.

Specialmente dopo la pubblicazione della registrazione audio di una conversazione a porte chiuse tra il capo del governo Hamadi Jebali (Ennahda) e l’ex primo ministro Beji Caid Essebsi, nella quale nessuno dei due sembra intenzionato a riformare il sistema tunisino.

Alla mancanza di volontà politica, tuttavia, si contrappone la volontà del popolo impoverito.

Un popolo che non ha più nulla da perdere e che per questo potrebbe rivelarsi determinante se si dovesse arrivare ad una seconda rivoluzione.

Nel frattempo continuiamo il nostro esercizio di cittadinanza, dove impariamo giorno dopo giorno che i diritti e le libertà non possono cadere dal cielo, ma si devono essere conquistate.

Le priorità per la costruzione della Tunisia sono, a mio modesto parere, suddivise in tre settori: la giustizia prima di tutto, indipendente dal potere esecutivo, poi l’educazione che ha bisogno di una riforma radicale, e infine, la regolamentazione del lavoro informale.

Perché, come diceva Ibn Khaldun, studioso tunisino del XIII secolo, nel suo libro Al Mouqaddima (L’Introduzione): “La giustizia è la base della vita comunitaria”.

Questa stessa formula, dopo sette secoli è ancora valida. Se i politici continuano a perseguire i loro interessi personali e non il bene comune, continueranno ad essere rifiutati e cacciati.

 

*Lilia Weslaty è giornalista e blogger tunisina del collettivo Nawaat.

Per leggere l’articolo originale, clicca qui.
 

31 ottobre 2012 

di: Giulia Consolini (traduzione a cura di)Tunisia,Articoli Correlati: 

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