Marocco. Aman Iman, “senza acqua non c’è vita”

Credit foto Jacopo Granci

Un intero villaggio – Imider, 8mila anime incastonate tra le vette dell’Atlante e le sabbie del Sahara – è in rivolta da tre anni contro lo sfruttamento intensivo delle sue risorse naturali e la marginalizzazione economica sofferta nella zona, malgrado le ricchezze del sottosuolo.

 

 

 

Dall’agosto del 2011 gli abitanti della borgata berbera si sono accampati sul monte Alebban per bloccare il pozzo di alimentazione che fornisce acqua alla vicina miniera d’argento, impoverendo la falda e riducendo alla sete la popolazione, e per ricordare alle autorità del regno che la loro terra e la loro dignità non sono in vendita.

“Ci rubano l’acqua, uccidono i raccolti con i deflussi contaminati da cianuro e mercurio e nessuno dice niente. Le autorità pensano solo a difendere gli interessi dell’azienda (di proprietà del sovrano marocchino, ndr)” afferma Omar, studente universitario che ha lasciato gli studi per unirsi alla protesta.

Tre anni di lotta, trascorsi a 1400 metri di altitudine, dove le prime tende in tela giallastra hanno lasciato il posto a piccole case di sassi e terra battuta, costruite a mano dai ragazzi del villaggio.

“Da quando abbiamo fermato le pompe, i ritmi di estrazione si sono ridotti e il livello dell’acqua è tornato a salire”.

Nessuno di loro è intenzionato a cedere, né di fronte alle asperità atmosferiche – dal caldo torrido al gelo invernale – né di fronte alle ondate di arresti sommari. “La zona è militarizzata, la polizia protegge tutti gli accessi alla miniera e al villaggio e controlla il transito sulla statale”, conferma Yassine che ha già pagato con un anno di carcere il suo impegno nel movimento.

 

Su Nigrizia di settembre, ancora in edicola, il reportage da Imider del nostro Jacopo Granci.

 

 

 

 

September 26, 2014di: Jacopo Granci Marocco,

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