Giordania: Rania e la “sindrome di Maria Antonietta”

Da quando la regina è stata accusata di corruzione, qualcosa è cambiato nel regno hashemita. La famiglia reale non è più intoccabile. Colta, glamour e popolare all’estero, risulta difficile trovare qualcuno che parli bene di lei in Giordania. La primavera araba non ha fatto altro che peggiorare la ‘sindrome di Maria Antonietta’.

 

 

 

di Enric Gonzalez – traduzione di Marta Ghezzi

Rania Abdallah, alla nascita Rania Al Yassin, incarna tutte le contraddizioni del paese del quale è regina. E altre ancora: all’estero è molto popolare e la si considera una delle donne più influenti del mondo, ma non in Giordania.

Rania sembra essersi convertita nell’anello più debole di una monarchia ancora prestigiosa. Da quando, in febbraio, un gruppo di rappresentanti delle tribù giordane la accusò di corruzione, qualcosa di sostanziale è cambiato nel regno hashemita. La famiglia reale non è più intoccabile. Il tabù si è rotto. E per colpa di Rania.

La regina giordana non è l’unica colpita da quella che la rivista Slate chiamò la “sindrome di Maria Antonietta”. Come lei durante la Rivoluzione francese, anche le eleganti mogli degli autocrati arabi si sono convertite nei simboli del rifiuto popolare.

Asma el Asada, moglie del presidente siriano, solo pochi mesi fa faceva bella mostra di sé sulla copertina di Vogue e affermava che la Siria era il paese più sicuro del Medio Oriente. Ora si trova nascosta in un luogo sconosciuto.

Khadijia el Gamal, moglie del figlio di Hosni Mubarak e suo presunto successore, cliente degli stilisti e dei chirurghi plastici più cari, è oggi la sposa di un recluso. Leila Trabelsi, l’avida moglie dell’ex presidente tunisino Ben Ali, vive rifugiata in Arabia Saudita.

Rania è un caso speciale, perchè il regime giordano dispone di maggior flessibilità del resto dei regimi e fino ad ora non si è visto ingoiato dall’onda rivoluzionaria.

Lei, in più, è impegnata per migliorare le condizioni di vita di donne e bambini e può vantare molti risultati positivi in questo senso. In fin dei conti, senza dubbio, la sua situazione non differisce da quella delle altre regine arabe del lusso e della carta patinata: percepita come una donna adagiata sui privilegi e aliena alla realtà dei suoi sudditi. In più, è palestinese in un paese con un irrisolto palestinese.

E inteviene nelle decisioni politiche, in un paese conservatore e di tradizioni machiste.
La Giordania è un paese piccolo, […] e molto complesso. La sua popolazione, di 6,5 milioni di persone, è divisa in due: i transgiordani, originari delle tribù native della sponda orientale del Giordano, che costituisce la base storica della monarchia, e i palestinesi, nati sulla sponda occidentale del fiume e profughi a causa delle guerre successive alla creazione di Israele e al rifiuto arabo della stessa.

La migrazione palestinese ebbe un momento molto drammatico, il cosiddetto ‘Settembre Nero’ nel 1970, quando re Hussein si oppose alle milizie palestinesi dell’Olp e le cacciò dal paese. Ma in generale la Giordania è stata molto più accogliente con i rifugiati palestinesi degli altri paesi della regione.

La divisione, in ogni caso, rimane. Vige un patto tacito secondo il quale i transgiordani godono di un monopolio di fatto nelle amministrazioni pubbliche e nell’esercito e beneficiano del grosso delle sovvenzioni statali, mentre i palestinesi, ai quali si attribuisce con una certa ragione un notevole dinamismo imprenditoriale, dominano nel settore privato.

Rania è di origine palestinese, anche se è nata in Kuwait il 31 agosto del 1970. I suoi genitori, della famiglia Al Yassin, lasciarono il villaggio di Tulkaram, nel nord dell’attuale Cisgiordania occupata da Israele, e emigrarono in Kuwait, dove fecero fortuna. Rania studiò Scienze dell’amministrazione all’Università americana del Cairo per poi riunirsi di nuovo alla famiglia ad Amman, la capitale giordana, dove i suoi genitori si erano stabiliti dopo l’invasione irachena del Kuwait nel 1990.

Lavorò per Citibank e Apple. Abdallah, figlio maggiore del re Hussein, la conobbe nel 1992 attraverso una delle sue sorelle.

Abdallah era un alto ufficiale dell’esercito e non pensava per nulla a diventare re; il principe ereditario era Hassan, fratello di Hussein, e Abdallah, educato in Inghilterra e negli Stati Uniti, si era disegnato un piano di vita più o meno comodo: esercito, paracadutismo, macchine sportive e grandi feste, come racconta lui stesso nella sua autobiografia L’ultima grande opportunità.

Per questo non suscitò grandi questioni il fatto che sposasse una donna di origine palestinese.
La sitazione iniziò a cambiare alla fine del 1998, quando fu ovvio che re Hussein stava morendo di cancro.

Ad Amman serpeggiavano pettegolezzi sulla cattiva relazione tra la regina Nour, quarta moglie di Hussein e molto popolare nel regno, e la moglie di Hassan, il pricipe ereditario. Nour faceva pressioni ad Hussein perchè cambiasse i piani successori e lasciasse il trono a Hamza, il figlio primogenito della coppia. Hussein, senza consultarsi con nessuno, si decise per una soluzione intermedia.

Nel gennaio del 1999 il re, sul punto di morire, convocò Abdallah e gli annunciò la sua nomina immediata come principe ereditario, scartato Hassan suggerendogli di nominare suo erede Hamza, il candidato di Nour.

Hussein morì il 7 febbraio del 1999. Abdallah divenne re, Rania adottò il titolo di principessa reale, Nour mantenne il titolo di regina e Hamza assunse le funzioni di principe ereditario. L’equilibrio voluto da Hussein si ruppe in poche settimane. Il 21 marzo, il re Abdallah nominò regina sua moglie, Rania. La vedova Nour partì per gli Stati Uniti il giorno dopo. “Da allora, la mia relazione con Nour si è fatta fredda”, riconosce Abdallah nella sua autobiografia. Anni dopo, Hamza perse la sua posizione di erede a favore di Hussein, figlio di Abdallah e Rania.

La popolazione transgiordana, in generale conservatrice e religiosa, iniziò a perdere fiducia nella sua regina. Non digeriva il fatto che vestisse abiti occidentali di lusso, che imperasse sulle riviste di moda, che se ne andasse per il mondo con i capelli al vento e esibendo personalità. E ancor meno le piacevano le voci sul suo protagonismo politico a palazzo.

Al suo attivismo in materie come l’educazione, la protezione dell’infanzia, i diritti della donna e il dialogo interreligioso, attraverso fondazioni a suo nome o in collaborazione con organismi internazionali come l’Onu e l’Unicef, assommava un palese potere istituzionale: partecipava alle riunioni politiche assieme a suo marito e non teneva la bocca chiusa.

Stiamo parlando della prima decade del XXI secolo, quando si stava preparando sottoterra quella che oggi conosciamo come la primavera araba. Stiamo parlando della decade segnata dagli attentati dell’11 settembre 2001 e dalla guerra contro il terrore lanciata dagli Stati Uniti, anni in cui i regimi arabi accentuarono la repressione e durante i quali si ebbe un deciso incremento demografico. 

Nel 2010, la regina Rania celebrò in pompa magna i suoi quarant’anni. Portò 600 invitati nel meraviglioso deserto di Wadi Rum (scenario del film Lawrence d’Arabia), illuminò le rocce con un’enorme scritta con la cifra ‘40’ e offrì cibo e bevande con grandiosità. Fu facile fare un paragone con i fasti di Persepolis, che simboleggiarono l’esosità dello Shah di Persia, oggi Iran, e furono preludio della sua caduta.

Poco dopo iniziò la gigantesca fuga di comunicati diplomatici di Wikileaks. I giordani, sia transgiordani che palestinesi, comprovarono che il protagonismo di Rania era tanto rimarcabile come si rumoreggiava. Nei camblogrammi dell’Ambasciata degli Stati Uniti si riflettevano tanto le opinioni di Rania (molto attiva nel mettere in guardia Washington dalla minaccia iraniana nella regione) come il malessere che le stesse generavano nelle tribù transgiordane, base della monarchia.

Ci fu qualcosa che toccò il nervo più sensibile della società giordana: la determinazione con cui Rania spinse le riforme legislative a favore delle donne, tra cui quelle sulla nazionalità trasmessa per parte materna ai figli. Questo fu interpretato dai transgiordani come una via per la nazionalizzazione in massa dei palestinesi, con la conseguente vittoria demografica degli immigrati dell’altro lato del fiume.

La grande fuga di notizie di Wikileaks porta la data di dicembre. Nello stesso mese, in una località tunisina chiamata Sidi Bouzid, un giovane venditore di frutta, Mohammad Bouazizi, si immolò in pubblico, stanco della povertà e della prepotenza della polizia. Fu l’inizio della primavera araba.
I regimi corrotti di Tunisia e Egitto caddero in poco tempo. Iniziò la guerra in Libia.

Le proteste in Siria suscitarono una repressione sempre più sangiunaria. Abdallah di Giordania, un monarca assoluto dagli istinti moderati, prese le sue precauzioni e approvò una serie di misure economiche (aumento dei salari pubblici, sovvenzioni per certe produzioni) per evitare che il crescente malcontento nel suo paese, espresso in manifestazioni poco frequentate ma frequenti, sfociasse in una vera crisi. Parallelamente, spinse una riforma costituzionale che Martin Beck, rappresentante ad Amman della fondazione tedesca Konrad Adenauer, dedita a promuovere internazionalmente i valori democratici e la giustizia sociale, qualifica come “timida e insufficiente, però nella giusta direzione”.

La critica lanciata da 36 rappresentanti tribali cisgiordani l’11 febbraio, lo stesso giorno delle dimissioni del presidente egiziano Hosni Mubarak, cadde come una mazzata. “Prima di stabilità e pane, il popolo giordano cerca libertà, dignità, democrazia, giustizia, eguaglianza, diritti umani e la fine della corruzione”, si legge nella dichiarazione tribale. La relazione evitava accuratamente qualunque critica diretta al re, ma non risparmiava la regina, con riferimenti alla festa nel deserto di Wadi Rum (‘rigettiamo questi compleanni scandalosi che si celebrano a spese dei poveri e delle casse dello stato’) e a vari articoli recenti dell’agenzia France Presse in cui si parlava di supposte attività di Rania volte all’arricchimento della sua famiglia.

I rappresentanti tribali sostenevano che Rania avesse intercesso affinchè gli Al Yassin entrassero in possesso di grandi terreni di pascolo che, secondo la tradizione, dovevano essere resi alle tribù dopo il loro utilizzo da parte dello stato. Nella dichiarazione si arrivava a compararla con Leila e Suzanne, le presidentesse ‘cleptomani’ di Tunisia e Egitto

La corte, aizzata dal re, si mobilitò contro la delegata della France Presse, Randa Habib, e denuciò che i suoi articoli si basavano su chiacchiere e affermazioni senza fondamento. Ma non ci furono provvedimenti contro i firmatari della dichiarazione tribale. E, discretamente, la questione dei terreni contesi, nel distretto di Balqa, fu assegnata ai tribunali. “Nella sostanza, la denuncia era certa”, afferma il giornalista Hani Hazaimeh, redattore e editorialista del quotidiano in lingua inglese Jordan Times.

“La Giordania sta cambiando e si sta facendo più trasparente, in parte per le riforme politiche, modeste ma di valore, ma soprattutto per la rivoluzione nelle comunicazioni”, indica Hazaimeh. Il giornalista segnala che la stampa tradizionale esercita la sua funzione con maggior libertà, anche se sono le reti sociali le protagoniste del cambiamento: “In Giordania, internet arriva al 47 per cento della popolazione, e rappresenta il più alto indice di penetrazione del Medio Oriente; c’è più di un telefono cellulare per persona, Facebook è popolarissimo e esistono più di 200 blog che trattano senza censure temi politici e il male endemico della corruzione, uno di quelli che più preoccupano i giordani”, spiega Hazaimeh.

La Fratellanza Musulmana, la grande organizzazione islamista mediorientale, è legale in Giordania, ma non molto influente: si calcola che rappresenti al massimo il 20 per cento della popolazione […]. L’efficacia dei servizi segreti, la legittimità del re (discendente da Maometto come membro della dinastia hashemita), la benevolenza del regime e il carattere in generale mansueto dei giordani fanno sì che il paese sia più stabile della maggioranza dei paesi della regione; d’altra parte, l’esplosione demografica (quasi il 70 per cento della popolazione ha meno di 30 anni, il che suppone che la Giordania sia più giovane di Egitto e Libia) e la mancanza di lavoro minacciano questa stabilità.

I transgiordani, che rappresentato poco meno della metà della popolazione, si sentono particolarmente colpiti dalla corruzione, già che vivono in gran parte di impieghi pubblici, e considerano che gli affari loschi minino la ricchezza nazionale. I palestinesi, dominanti nel settore privato, pure si lamentano della corruzione perchè danneggia le imprese.

“Questo paese non ha nè acqua nè petrolio, vive degli aiuti stranieri, specialmente sauditi, e può prosperare solo se utilizza a fondo l’alto livello di istruzione della sua gente e il suo spirito imprenditoriale”, commenta un avvocato palestinese, specializzato in arbitraggi, che ha preferito restare anonimo “per non correre rischi”.

Il re continua ad essere intoccabile, ma il suo regime resta sotto giudizio. E il malcontento si centra sulla regina. ‘Rania non è popolare, mai lo è stata, e adesso la si sta utilizzando per criticare il re attraverso di lei’, indica l’analista tedesco Martin Beck. La posizione di Rania è ogni giorno più delicata.

Ambizioni politiche

La fuga di notizia del dipartimento di Stato orchestrata da Wikileaks condanna la dimensione politica della regina. Rania non si presentò davanti alla delegazione del Congresso Usa in visita in Giordania nel maggio 2009 come una mera comparsa del re Abdallah II.

Secondo la relazione di Stephen Beecroft, fino a quell’anno ambasciatore nel regno hashemita, la regina “dichiarò la sua convizione che la popolarità del presidente Obama avesse contribuito a placare le critiche iraniane agli Stati Uniti”.

Un anno prima, un altro cablogramma attribuisce a Rania opinioni circa la minaccia iraniana tra altri diplomatici americani. “Il re constatò come il collasso del processo di pace avrebbe potuto rafforzare l’influenza iraniana. La regina sottolineò la necessità di alternative politicamente moderate e economicamente forti per vincere l’influenza iraniana nella regione”, riportò l’allora ambasciatore David Hale.

“Entrambi parlarono dei loro sforzi per costruire un futuro economico solido per i giovani in Giordania”. Una sintonia politica che allontana i diffusi rumori circa i p oblemi nel matrimonio della coppia reale.
 

‘Un pericolo per la nazione’

Buona parte della popolazione transgiordana tradizionalista non approva il gusto della sua regina per i marchi del lusso popolari in Occidente come Givenchy, Marc Jacobs o Gucci. E nemmeno che si mostri in pubblico con la testa scoperta. Secondo quanto riporta il comunicato inviato al re da una trentina di figure di spicco delle potenti tribù giordane, la regina “sta costruendo centri di potere per i suoi interessi che vanno contro ciò che i giordani e gli hashemiti hanno pattuito nel governo. È un pericolo per la nazione, la struttura dello stato, la struttura politica e l’istituzione stessa del trono”.
 

Rania e Nour, regine mediatiche

Quando il re Abdallah nominò regina sua moglie Rania, la vedova Nour partì per gli Stati Uniti il giorno dopo. “Da allora, la mia relazione con Nour è stata fredda”, riconosce il monarca nella sua autobiografia. Oggigiorno, la regina vedova Nour vive tra Giordania, Washington e Londra, dove continua a sponsorizzare organizzazioni internazionali. A prescindere dalla grande popolarità di entrambe, una cosa risulta evidente nella dinastia giordana: le regine passano, i re restano; le regine sono funzionali, i re una istituzione.

Rania e il re ‘trekkie’

Rania è una regina creata per le riviste patinate […]. La cosa veramente interessante di Rania continua ad essere Abdallah II: un monarca assoluto dai tratti moderati a capo di quella nave Enterprise chiamata Giordania, sostenuta dalla Arabia Saudita. L’esempio della Enterprise viene perfetto per spiegare la qualità di trekkie ostinato di Abdallah. È talmente fan della saga di Star Trek che ha investito, assieme a un gruppo di arabi e nordamericani, 1500 milioni di dollari per costruire un parco tematico trekkie nel golfo di Aqaba che prevede, fra le altre attrazioni, ‘un viaggio a bordo della mitica nave della serie, con la ricostruzione dello spazio’.

Il re il sogno di una vita partecipando ad uno dei film di Star Trek negli anni Novanta. Non ha nessuna battuta, però i suoi occhi si riempiono di gioia per il solo fatto di stare dentro al film, forse in cambio di un generoso aiuto alla sua realizzazione. È come se facesse parte del product placement del film, cosa che si faceva spesso nei Novanta, dove marchi importanti collocavano più o meno discretamente i loro prodotti nella scena.

Una delle caratteristiche della saga è quella di rappresentare gli extraterrestri come esseri umani. Perfino è stata creata una Federazione di Pianeti Uniti, la cui capitale politica è Parigi. Ricordiamo che l’Accademia della Flotta Interstellare è in California, scenografia nella quale si muove la stessa Rania, tra Parigi e Los Angeles. Con la costruzione del parco tematico, che si chiamerà ‘Astrarium del Mar Rosso’, Abdallah vuole innalzare una nuova Petra all’altezza delle sue aspirazioni, rivedendo nella Giordania una Enterprise terrestre.
 

October 3, 2011

photo by World Economic Forum on Flickr

Giordania,

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