Dopo la caduta di Gheddafi, la Libia è diventata una fonte di armamenti a cui attingono illegalmente molti attori della regione. E l’Egitto è uno dei principali ‘destinatari’ di questo traffico.
“Armi provenienti dalla Libia sono state intercettate in Mali, Cisgiordania e Siria durante l’attuale guerra civile”, scriveva il giornalista Luiz Sanchez, in un articolo apparso sul Daily News Egypt il 10 aprile scorso.
Una notizia non-notizia se si considera che a fare luce sui contorni di questo traffico è stato un rapporto redatto da un gruppo di esperti del consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a metà febbraio.
“La proliferazione di armi dalla Libia continua a un passo allarmante e si è diffusa in nuovi territori come l’Africa Occidentale, paesi del Mashreq e potenzialmente anche nel Corno d’Africa”, si legge nel dossier stilato dall’organizzazione internazionale.
Secondo il documento, dopo la caduta di Gheddafi gran parte degli armamenti sarebbe rimasta in mano a civili e gruppi di ribelli, con la conseguenza che tutt’ora il governo fatica a ripristinare il controllo sui confini nazionali.
Flussi illegali che avrebbero alimentato molti altri teatri di guerra nei paesi limitrofi, riempiendo gli arsenali di numerosi attori non governativi stranieri. E che nell’ultimo anno – sottolineano le Nazioni Unite – hanno raggiunto volumi più che significativi, dirigendosi in maniera preferenziale verso due aree geografiche: l’Egitto e il Sahel.
Per gli esperti, l’Egitto assolverebbe alla duplice funzione di paese di transito (per la Striscia di Gaza) e destinatario finale.
Tuttavia, recentemente, una parte del commercio avrebbe trovato un nuovo e importante acquirente nei gruppi armati del Sinai: “Dall’inizio del 2012, la quantità di armi libiche presenti è cresciuta in maniera significativa, […] molti casi (soprattutto sequestri) hanno avuto una grande risonanza nei media locali”, si legge nel rapporto dell’Onu.
Ragione per cui a maggio scorso le Nazioni Unite avevano inviato una lettera al Cairo per chiedere alle autorità nazionali il rilascio di nuovi dati relativi a questo fenomeno, ottenendo che all’inizio del 2013, in un incontro fra gli esperti dell’organizzazione internazionale e e alcuni esponenti del governo egiziano, fosse stilata una lista completa (mai resa pubblica) di tutte le ‘armi di provenienza libica’ intercettate nel paese.
Secondo la testimonianza delle autorità competenti, gli armamenti continuano ad arrivare sia attraverso la fascia costiera settentrionale sia tramite il confine meridionale.
Una ‘rotta terrestre’ a cui se ne aggiunge una di mare, che collega il porto di Bengazi alla città marittima di Marsa Matruh, da dove la merce viene trasportata su gomma in tutto il resto dell’Egitto.
Nuovi sviluppi di un vecchio fenomeno
Nonostante il nuovo rapporto delle Nazioni Unite monitori gli sviluppi più recenti del traffico di armi dalla Libia, i media egiziani ne parlano già da molti mesi.
Secondo Ashraf Abu al-Hul dell’Ahram online, fermare il contrabbando delle armi libiche è difficile per la lunghezza del confine fra i due paesi (che lo rende poco controllabile), ma anche per l’abilità dei trafficanti, che conoscono perfettamente il territorio.
In base alla ricostruzione del giornalista egiziano, il traffico si svolge a notte fonda, e i mezzi di trasporto variano seguendo le esigenze: dalla macchina al dorso di un animale, fino alle stesse spalle del contrabbandiere.
“La maggior parte delle armi che arrivano in Egitto finisce in ‘magazzini segreti’ situati principalmente in due regioni (Sidi Barrani e el-Negala), per poi arrivare agli acquirenti finali in Alto Egitto, a Gaza o ultimamente anche in Siria”, ha dichiarato Muhammed Khater (maggiore e ingegnere dell’esercito).
“Inoltre ci sono dei magazzini importanti situati anche in altre zone del paese, come a Wadi al-Natrun e a sud e nord della penisola del Sinai, in cui le armi arrivano anche dal mare”, ha concluso il militare.
E proprio la penisola del Sinai sembra giocare un ruolo fondamentale nel quadro del traffico di armi: sia come snodo principale verso la Striscia di Gaza che come destinazione finale.
Sebbene in Egitto il mercato delle armi prosperasse già sotto Mubarak, quando erano addirittura le forze di sicurezza a gestire i traffici, dopo la rivoluzione del gennaio 2011 sono stati i beduini ad assumere il controllo di questo ricco commercio.
Fino a poco tempo fa la maggior parte delle armi finiva infatti nelle mani di gruppi armati non meglio identificati che operavano nella Striscia di Gaza, e che avevano degli ‘agenti’ di riferimento in Sinai.
Di recente invece si è sviluppato un ‘canale parallelo’ dovuto alla presenza di gruppi armati di stanza nella penisola, intenzionati a costruire dei veri e propri arsenali.
Gruppi che in passato sono stati piuttosto marginali, ma che dopo la caduta di Mubarak hanno trovato terreno fertile, in parte anche grazie al sentimento di ostilità che molti abitanti del Sinai nutrono nei confronti del governo centrale.
30 aprile 2013
April 30, 2013di: Valentina MarconiEgitto,Libia,Articoli Correlati:
- Armi e Medio Oriente: l’alleanza perfetta
- L’Italia e le armi. “Fermiamo quella nave”
- Egitto. Armi invece di parole
- Egitto. Il ‘suk delle armi’ e il business della paura
- Armi. Sul commercio la Cina riduce il gap con gli Usa
- Iraq. E’ tempo di investimenti, ma in armi
- Afghanistan. Ordigni inesplosi e vittime civili: scoppia la polemica Onu-Isaf
- Fermate quegli F-35: ecco l’appello della rete pacifista
- F-35 e propaganda: i nuovi dati “da sbugiardare”
- F-35. Salva la Lockheed, che decolla in borsa
- Salvi gli F-35. Il Parlamento dice ‘sì’ alla riforma delle Forze Amate
- Campagna contro gli F-35: “i dati del ministero non sono trasparenti”