Una voce dal campo che lancia un grido d’allarme per le sorti del proprio paese. Penna e pensieri di uno dei tanti blogger egiziani che ci racconta quanto sia difficile esprimere la propria opinione e difendere il libero pensiero in una nazione come l’Egitto. Tanto difficile che ci ha chiesto di rendere anonima la sua testimonianza per paura di ripercussioni.
Ho avuto tante volte paura nel mio Paese. Durante le manifestazioni, mentre le camionette della polizia arrivano correndo e tu fuggi in direzione opposta sperando di non essere colpito da un proiettile. Durante le liti casuali sui minibus, quando per 10 centesimi gli autisti tirano fuori un coltello e lo agitano in aria come fosse un’arma letale, con l’intenzione di colpire il primo che si avvicina. Durante i sit-in quando ogni minuto è l’ultimo e può essere l’inizio del caos.
Tuttavia questi sentimenti di paura si riducono ad un flebile sussulto quando inizi ad aver paura di parlare o di scrivere.
Davanti a un poliziotto, a una rissa, a degli scontri, il tuo nemico è lì, visibile, alla luce del sole. Quando scrivi sei solo e hai paura che le tue parole possano esserti fatali e inizi ad avere paura di chiunque: dei tuoi lettori, della polizia, dell’apparato di sicurezza, della gente e sopratutto dell’ignoranza.
In Egitto noi liberi pensatori e liberi scrittori, abbiamo paura. Noi blogger o giornalisti freelance, siamo divenuti, agli occhi del governo dittatoriale golpista, un nemico da combattere al peggio delle spie.
Abbiamo la lingua (o meglio la penna) troppo lunga. Scriviamo cose che non dovrebbero uscire dal paese e di cui la maggioranza degli egiziani non è a conoscenza, perché si tratta di notizie coperte dai media, nascoste dai giornali pagati per scrivere menzogne e tacere su verità scomode in un paese dove la libertà di espressione è in serio pericolo.
Quasi tutti gli attivisti della Rivoluzione del 25 Gennaio sono in carcere per aver osato manifestare contro la legge che attualmente regola le forme di protesta. Molti blog egiziani o internazionali che si occupavano di Egitto sono stati chiusi per scelta dei blogger stessi. La rete straripa dei numeri verdi messi a disposizione dell’esercito, numeri da chiamare per segnalare “il terrorista” di turno.
Ma chi e’ oggi il terrorista per il governo egiziano? Chi marcia per le strade chiedendo il rispetto del proprio voto è terrorista e può essere condannato a 5 anni di carcere, chi organizza manifestazioni contro l’esercito è un terrorista e rischia la condanna a 25 anni o, in alcuni casi, la pena di morte. Chi mostra il simbolo di Rabaa è un terrorista e rischia 5 anni di carcere, chi scrive dando all’estero informazioni che screditano i militari non solo appoggia il terrorismo, ma rischia l’accusa di spionaggio che prevede come pena 25 anni di carcere o la condanna a morte.
La situazione che stiamo vivendo è terribile. La peggiore che potevamo aspettarci dopo una Rivoluzione nata per chiedere libertà di espressione, di manifestazione, di pensiero.
Penso ai giovani che hanno dato la loro vita per poter dare a noi e ai nostri figli un futuro in cui avere un’opinione diversa. In cui, soprattutto, avere il diritto di esprimerla.
Dopo tre anni mi chiedo: a cosa e’ servito tutto ciò? Riusciremo mai a vincere contro la dittatura militare che da decenni ci strangola sino quasi a toglierci del tutto il respiro?
Non so rispondere, o forse, purtroppo, la risposta la conosco da tempo e mi fa davvero troppo male.
January 09, 2014di: Marco Di DonatoEgitto,Articoli Correlati:
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