Palestina-Italia: ecco perché bisogna boicottare la SodaStream

Forti del successo ottenuto dalla campagna Stop Agrexco (il maggiore esportatore di prodotti agricoli coltivati nella Valle del Giordano, nei territori Territori Palestinesi Occupati) che ha contribuito al fallimento della ditta, lo scorso dicembre attivisti per i diritti dei palestinesi hanno iniziato una nuova campagna di Bds (Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) contro la ditta israeliana SodaStream, produttrice di gasatori per l’acqua di rubinetto, spacciati per prodotti “eco-chic”.

 

 

di Marta Paganelli – Stop Agrexco Roma 

 

L’iniziativa ha coinciso con la campagna pubblicitaria in cui SodaStream Italia ha investito 500 mila euro per promuovere i propri prodotti come regali di Natale.

Peccato che questi prodotti siano il risultato di una violazione del diritto internazionale e di un abuso delle risorse naturali di un popolo sotto occupazione.

Infatti il suo maggiore impianto produttivo si trova nella zona industriale di Mishor Adummim, a Ma’aleh Adummim, una delle più grandi colonie illegali della Cisgiordania.

A sancire l’illegalità degli insediamenti è una sentenza del 2010 della Corte di giustizia della Comunità europea, secondo cui i prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani non sono ammissibili per le tariffe doganali preferenziali previste dall’accordo UE-Israele.

Era stata proprio la SodaStream ad aver omesso il luogo esatto di provenienza dei propri prodotti.

Per pubblicizzare i suo gasatori, l’azienda punta molto sull’idea della riduzione della produzione di bottiglie di plastica e della lotta all’inquinamento.

In realtà, nonostante SodaStream pubblicizzi i suoi prodotti come “eco-ambientali”, le tasse comunali pagate a Ma’aleh Adumim finanziano la gestione della discarica israeliana di Abu Dis, (anch’essa costruita illegalmente in Cisgiordania), in cui vengono ammassate 1100 tonnellate di rifiuti al giorno provenienti da Gerusalemme e dagli insediamenti israeliani circostanti.

Il ministero dell’Ambiente israeliano ha affermato che la discarica, ubicata sopra la Mountain Aquifer, la principale fonte d’acqua in Cisgiordania, sta “inquinando i corsi d’acqua e le terre nelle vicinanze”.

Inoltre, l’organizzazione israeliana per i diritti dei lavoratori, la Kav LaOved, ha documentato casi in cui i lavoratori palestinesi della fabbrica SodaStream vengono pagati meno della metà del salario minimo, lavorando in condizioni terribili e con minacce di licenziamento in caso di proteste.

Tra varie azioni portate avanti all’interno della campagna ‘Stop SodaStream’, l’invio di una lettera, firmata da oltre 1100 persone, insieme a circa 30 comitati, ONG, associazioni e collettivi, ai rivenditori locali e nazionali e a pubblicazioni e siti Internet che promuovono i gasatori SodaStream, chiedendo di interrompere i rapporti con la ditta, argomentando in maniera dettagliata la nostra richiesta.

Oltre all’iniziativa in rete sono state fatte azioni di sensibilizzazione in varie città italiane, incluse Napoli, Varese e Bologna.

A Roma una ventina di attivisti hanno fatto un’azione di “deshelving”, rimuovendo tutti i prodotti Sodastream dagli scaffali di un supermercato COOP.

Il 26 Novembre in occasione della manifestazione nazionale per l’acqua pubblica e i beni comuni, è stato distribuito un volantino che richiamava l’attenzione anche su questa questione.

Le reazioni alla campagna sono state immediate: alcuni blog hanno subito rimosso gli articoli sulla Sodastream e il settimanale OGGI, ha pubblicato la lettera integralmente, segnalandola anche nella sezione pubblicità. 

La Sodastream ha in seguito inviato una sua risposta alla campagna, spiegando che la fabbrica di Mishor Adumim, nei Territori Palestinesi Occupati palestinesi, è solo una tra le tante nel mondo e che il suo operato non è da condannare in quanto crea posti di lavoro per i palestinesi colpiti da un tasso di disoccupazione al 30%, oltre a fornire garanzie sociali e sanitarie e a favorire la coesistenza pacifica di tutti i lavoratori, a prescindere dalla loro provenienza.

La risposta a tali affermazioni è stata nuovamente argomentata punto per punto dalla campagna Stop SodaStream.

Anche se fossero centinaia le fabbriche nel mondo, ciò non cambierebbe il fatto che SodaStream ha un impianto che opera in contravvenzione con il diritto internazionale e tale impianto è il principale impianto di produzione, come rilevato nel rapporto annuale della stessa ditta.

Inoltre, il fatto che la ditta si ponga come benefattrice dei lavoratori palestinesi suona come mistificatorio.

Questi lavoratori non godono dei diritti civili, inclusi quelli sindacali, e rimangono sotto continuo ricatto da parte dell’azienda che può fare revocare il loro permesso di lavoro nella colonia in ogni momento.

Proprio a causa degli alti tassi di disoccupazione, che sono il diretto risultato dell’occupazione israeliana, spesso i lavoratori palestinesi non hanno altra scelta che lavorare nelle colonie.

Per quanto riguarda le affermazioni sui rigidi controlli per garantire il rispetto delle norme ambientali, bisogna dire che secondo il rapporto del 2009 dell’organizzazione israeliana B’Tselem, Israele non applica le leggi ambientali nelle colonie e nelle zone industriali israeliane nella Cisgiordania occupata.

Tutti i punti sollevati dalla SodaStream si rivelano inconsistenti, perché non hanno affrontato la questione centrale della violazione dei diritti umani e del diritto internazionale, e della complicità con l’occupazione israeliana dei Territori Palestinesi Occupati.

Anche nel 212  la campagna Stop Sodastream continuerà a sviluppare iniziative per far conoscere le verità che la ditta nasconde e per promuovere azioni di boicottaggio dei suoi prodotti.

 

January 17, 2012