di Nasim Fekrat – *traduzione a cura di Anna Toro
Il ritiro delle truppe internazionali in Afghanistan si fonda sulla costruzione di un rapporto tra l’Isaf e le forze armate afghane, in modo da poter alla fine “consegnare” a queste ultime la gestione della sicurezza del Paese.
Gli attacchi “green on blue” segnano, però, una tendenza opposta, che potrebbe ancora peggiorare una volta che le truppe internazionali avranno lasciato il Paese.
“Green on blue” è infatti il nome dato ad una serie crescente di incidenti in cui le forze di sicurezza afghane rivoltano le armi contro i loro omologhi della NATO.
Questi attacchi interni hanno portato alla morte di più di 50 soldati NATO dall’inizio del 2012.
La risposta della NATO è stata, a settembre, quella di arrestare le operazioni congiunte proprio per prevenire ulteriori attacchi, in seguito alla morte di sei soldati delle Forza di sicurezza internazionali (Isaf) in un solo week-end.
L’aumento di questo tipo di attacchi ha portato i media occidentali a occuparsi molto di questo tema.
In genere il fenomeno viene descritto come un problema religioso e culturale, in cui le truppe afghane reagiscono al comportamento delle truppe americane, spesso e volentieri percepito come un insulto. Altri citano l’infiltrazione dei talebani nelle forze di sicurezza afghane.
Ma dopo aver parlato con diversi giornalisti afgani e scrittori che si sono occupati di questo problema negli ultimi dieci anni, mi sono reso conto che le ragioni alla base di questi attacchi vanno molto più in profondità delle eventuali incompatibilità culturali e religiose, o delle sospette infiltrazioni talebane.
Piuttosto, va ricordato che la motivazione dietro agli attacchi green on blue si è sviluppata nel corso degli ultimi dieci anni e mezzo di operazioni della NATO in Afghanistan.
CAPIRE LA BASE DEL FENOMENO
Le caratteristiche culturali degli afghani sono basate su una gerarchia di valori che vede in primis il rispetto e la cura della famiglia, del clan e della tribù.
In questo modo diventa molto più semplice capire perché i soldati della polizia afghana si trasformano in traditori e rivolgono le loro armi contro le truppe internazionali.
La maggior parte di questi soldati sono infatti diventati dei nemici letali dopo aver perso un membro della loro famiglia proprio a causa dei bombardamenti aerei della NATO.
L’orgoglio famigliare è stato ferito da questi stranieri, e qualcuno in famiglia deve ripristinarlo.
La maggior parte di coloro che si sono uniti ai Talebani negli ultimi anni, sono stati proprio quei fratelli e padri feriti nell’orgoglio e nell’onore.
Nel 2008, mi sono recato nella provincia di Helmand per due settimane, per tenere un corso su blog e giornalismo on-line a dei giovani scrittori e poeti. Durante il secondo giorno di corso, due missili hanno colpito la casa del governatore, ad appena un isolato di distanza.
Quattro giorni dopo, il venerdì sera, alcuni dei partecipanti al mio workshop si sono riuniti a pochi isolati di distanza da dov’era esploso il missile.
Io ero molto preoccupato che eventuali attacchi missilistici potessero ripetersi, ma uno dei partecipanti mi ha detto: “Non temere, stasera i talebani non lanceranno i loro missili”.
Aveva infatti chiesto a suo zio, che era un comandante talebano, di non colpire la città.
Zio che, dopo aver perso due parenti a causa di un bombardamento NATO, si era unito ai talebani per vendicarsi e, di nuovo, ripristinare l’onore della sua famiglia.
Nel 2009, il ministero della Difesa afghano, con l’aiuto sempre delle forze internazionali, aveva lanciato un programma ambizioso che doveva servire a raddoppiare le dimensioni del suo esercito.
Siccome non c’erano abbastanza volontari a Kabul, i reclutatori dell’esercito afghani si sono (incautamente) rivolti verso i giovani afgani disperati e senza lavoro, che si addensavano nelle strade e nei crocevia (gli afghani li chiamano “Chawk”) in cerca di lavoro. A questi giovani l’esercito aveva promesso dei guadagni molto generosi.
E’ così che questi luoghi sono diventati i punti principali per il reclutamento degli infiltrati talebani; e sono molti coloro che, sempre a causa dell’orgoglio ferito, vanno alla ricerca dell’opportunità di diventare martiri uccidendo gli infedeli nella loro terra.
Un’altra ragione che spinge alcuni membri delle forze di polizia afghane a rivoltarsi contro le truppe della NATO è il protrarsi delle incursioni notturne.
Durante queste operazioni, i soldati stranieri vanno di casa in casa alla ricerca di ribelli e di ordigni esplosivi. Tuttavia, i raid notturni hanno causato più danni che benefici.
Secondo quanto riportato dal Christian Science Monitor, nel settembre 2011 il numero di incursioni notturne sarebbe salito a 40 al giorno in tutto l’Afghanistan, il che significa, un totale di circa 14.600 in un anno.
In altre parole, 14.600 famiglie sono state buttate fuori di casa e maltrattate nel mezzo della notte, i soldati hanno rotto le finestre e le porte delle loro abitazioni, e lanciato per aria tutti i loro oggetti e beni.
Se si considera che ciascuna di queste 14.600 famiglie è composta da almeno sette membri, il numero totale di persone civili che hanno subito queste violenze, sempre in un anno, si aggira sui 102.200.
Secondo i dati ISAF, i bombardamenti notturni hanno ucciso oltre 1.500 civili afghani in meno di 10 mesi, tra il 2010 e l’inizio del 2011.
Si tratta di una delle tattiche più controverse della NATO, che ha minato la legittimità del governo del presidente Karzai.
SEMPRE PEGGIO
Le incursioni notturne di truppe NATO a briglia sciolta e le numerose vittime civili hanno contribuito ad accrescere i problemi che via via hanno portato all’intensificarsi degli attacchi green on blue.
Quello che è importante da capire, è che i soldati afghani aggressori non sono necessariamente legati ai talebani.
Come abbiamo visto, la maggior parte delle volte operano in modo autonomo, ispirati dalla necessità di ripristinare l’onore delle loro famiglie.
E questi attacchi attacchi non possono che aumentare, viste le continue uccisioni di civili, come ad esempio l’attacco aereo nel mese di settembre 2012 che ha ucciso otto donne ha lasciato diversi feriti, tra cui dei bambini.
Inoltre, con il ritiro programmato delle truppe statunitensi e internazionali nel 2014, quindi molto prima del previsto, tra gli afghani sta montando la paura e la disperazione.
Per loro, le truppe straniere non hanno aiutato il loro paese come avevano promesso. A questo bisogna aggiungere la tendenza di molti soldati afghani a vedere i loro compagni stranieri come nemici.
Per il momento, dunque, la pausa nelle operazioni congiunte è forse l’unica opzione per evitare un aumento a catena di questo tipo attacchi interni.
*Per leggere l’articolo originale clicca qui
January 30, 2013
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