“Quando arrivano la prima volta, sono depressi, infelici. Non hanno voglia di giocare, non si preoccupano dell’igiene. Sono come dei fantasmi”. A parlare in un’intervista all’Afp è Massouma Khatima, assistente presso il centro di riabilitazione e cura delle tossicodipendenze di Jalalabad gestito dall’ong Wadan.
Si riferisce al numero sempre più alto di bambini, anche di 3, 4, 5 anni, ospitati nella struttura e schiavi della droga fin dalla più tenera età. Come Marwa, 10 anni, una delle bambine che il centro ha recentemente recuperato.
“Ho preso sonniferi fin da quando ero piccola – racconta all’agenzia francese – ero sempre assonnata, dormivo molto e avevo sempre mal di testa. Non riuscivo a imparare, mentre tutti miei amici lo facevano velocemente. Per questo ridevano di me, mi chiamavano ‘addormentata’”.
Lei si è ripresa grazie alle terapie mediche e psicologiche, ma sono tantissimi i bambini che vivono in questo stato senza poter accedere ai servizi che, seppure in crescita (dai 40 centri nel 2005 ai 90 nel 2013), non riescono a soddisfare un bisogno della società che si fa sempre più elevato.
La piaga della tossicodipendenza, infatti, rimane una delle eredità più letali lasciate dall’interminabile serie di conflitti in Afghanistan: perché il paese non è solo il primo produttore al mondo di oppio da eroina, ma sta conoscendo anche un numero sempre più alto di consumatori e baby-consumatori che rischia di compromettere ancora di più il futuro già precario di questa nazione martoriata dalla guerra.
Secondo un recente comunicato, prodotto dalla locale Commissione indipendente per i diritti umani (AIHRC) e basato sui dati del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti sul consumo di droga in Afghanistan, il numero dei consumatori adulti di stupefacenti potrebbe superare 1,3 milioni, su una popolazione stimata di 30 milioni, con quasi 300.000 bambini colpiti (il 23%).
Le cause sono molteplici: se molti sono ragazzi di strada, spesso orfani, traumatizzati dai bombardamenti, dalle violenze, soli ed estremamente vulnerabili, la maggior parte eredita la dipendenza dai propri genitori, volenti o nolenti: inalando il fumo passivo, o venendo quotidianamente a contatto con oggetti e superfici impregnati di sostanza.
Non è raro, poi, proprio com’è accaduto alla piccola Marwa, che siano le stesse madri a somministrare l’oppio ai piccoli per tenerli tranquilli.
Una pratica comune, ad esempio, nel distretto di Qali a Zal, famoso per la produzione di tappeti, dove le donne dei villaggi devono affrontare lunghe ore di lavoro al telaio, dalla mattina fino a tarda sera, e non possono occuparsi della propria prole, spesso numerosa.
Per questo capita addirittura che l’oppio venga somministrato ai piccoli fin dalla nascita, ma non solo: spesso viene usato anche come farmaco o antidolorifico, dato che si può reperire molto più facilmente rispetto a qualsiasi medicina.
Secondo i medici e gli operatori umanitari, non si tratta certo di voler nuocere ai propri figli di proposito, quanto piuttosto di povertà, ignoranza, e assenza di cure e servizi. La maggior parte delle famiglie, infatti, non conosce gli effetti collaterali dell’oppio, che vanno dai problemi allo stomaco, al mal di testa, fino all’apatia e perdita di vitalità, per non parlare dei dolori dell’astinenza.
“Non sanno che se danno la droga ai loro figli, li uccidono pian piano” ha commentato, sempre all’Afp, Zarbadshah Jabarkhail, medico del Dipartimento delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC).
Nelle città, invece, un fenomeno diventato pericolosamente diffuso è quello dei bambini mendicanti a cui non solo viene somministrata la droga da parte delle madri che li portano con sé a chiedere l’elemosina, ma che ha anche alimentato un business criminoso che vede le donne “affittare” uno o due dei propri figli ad organizzazioni che si occupano di smistarli tra le varie mendicanti senza figli in modo da trarre il maggior vantaggio possibile dalla giornata in strada.
Secondo un’indagine condotta dal media indipendente afghano The Killid Group, che ha intervistato il responsabile della sicurezza di Kabul, generale Mohammad Zahir, anche queste organizzazioni danno l’oppio ai bambini. Tanto che, di recente, perfino il presidente Hamid Karzai avrebbe lanciato un appello per porre fine a questa pratica, denunciando la tossicodipendenza tra i bambini come una violazione degli insegnamenti islamici e dei diritti umani fondamentali.
In realtà, secondo l’AIHRC il governo non ha mai attuato misure realmente efficaci per arginare questa piaga. “Abbiamo sollevato la questione con il Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali in diverse riunioni, ma vi hanno prestato poca attenzione” racconta sempre al The Killid Group il coordinatore per i diritti dell’infanzia Najibullah Babrakzai”.
L’unica azione intrapresa da parte del governo – in collaborazione con una commissione formata da diversi enti pubblici e la Mezzaluna Rossa afgana (ARCS) – è stata, nel 2008, rendere fuorilegge l’accattonaggio, ma pare che da allora il problema sia addirittura aumentato, così come quello delle tossicodipendenze in un paese in cui circa il 60% della popolazione è sotto il 25 anni e ben il 52% sotto i 18.
“Stiamo ignorando queste persone, non ci prendiamo cura di loro – ha commentato ancora il medico dell’UNODC, Zarbadshah Jabarkhail – Questi bambini sono il futuro del loro paese. Ma se sono tossicodipendenti, non saranno di nessuna utilità”.
February 11, 2014di: Anna ToroAfghanistan,Articoli Correlati:
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