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Ahalil: il canto mistico del deserto algerino

Dall’oasi rossa di Gourara una tradizione musicale da proteggere.

 

Un tesoro culturale inestimabile fatto di versi, canti dal tramonto all’alba, strumenti antichi e socialità, tramandato di generazione in generazione e arrivato fino a noi da un passato millenario, tra le dune rosse del deserto nordafricano: si chiama Ahalil ed è una delle principali forme musicali tradizionali del Sahara algerino, così importante da essere stato designato dall’Unesco nel 2008 quale “patrimonio culturale immateriale” dell’umanità, da preservare e salvaguardare. 

Un documentario, uscito pochi giorni per Aljazeera e intitolato “Music of the Red Oasis”, ci racconta la bellezza e l’importanza cruciale di questa musica che è una celebrazione di Dio e del creato, della bellezza e della tradizione (Ahalil significa infatti “lode”), e lo fa attraverso le parole dei musicisti, dei cantanti, dei membri della comunità e dei maestri liutai, per i quali l’Ahalil è da sempre parte integrante della vita. 

Questa forma di musica è praticata dappertutto in Algeria ma principalmente nella regione di Gourara, parte del cosiddetto “Triangolo del Fuoco”, una pianura desertica più o meno delle dimensioni della Francia, che è tra i luoghi più caldi e inospitali della terra. 

Fulcro della regione è la sua capitale, Timimoun, che si trova vicino a un’oasi ed è stata a lungo un crocevia di cultura Amazigh, africana e araba. 

E proprio come l’acqua che dà vita all’oasi, questa musica e lo sforzo di preservarla definisce l’essenza stessa degli abitanti di Gourara, che in modo più o meno spontaneo continuano a riunirsi in cerchio la sera, attorno al fuoco, e da secoli offrono allo sterminato cielo del deserto i loro canti che possono essere versi poetici laici o religiosi, o anche versi d’amore, celebrazioni di eroi e santi, o racconti del passato (guerre tribali comprese). 

Se l’Ahalil nasce come poetica della bellezza della natura e delle donne, con l’avvento dell’Islam nella regione si è raffinato e intriso di misticismo, tanto che viene spesso paragonato alla musica sufi.

“Non riesco a descrivere i miei sentimenti quando sono dentro un cerchio Ahalil. Mi sembra di essere in un altro mondo” racconta infatti uno dei maestri anziani intervistati nel documentario. “E’ qualcosa di… quasi magico”.

Questa sorta di trance mistica è data, oltre che dai canti, anche dai suoni degli strumenti musicali utilizzati durante le lodi. 

Tra i principali c’è il bengri, una sorta di liuto ricavato dalle zucche, dotato di manico in legno e corde di nylon, ricoperto nella parte della cassa da pelle di capra. 

C’è il tamja, flauto dai molti fori, lungo 50 centimetri (e quindi leggermente più corto del flauto arabo che ne misura 70), che in genere si suona in piedi. Il tamja ha sostituito, per le parti soliste, il tradizionale imzad (sorta di violino a una sola corda), oggi pressoché scomparso nell’ Ahalil.

E poi ci sono i tamburi, e le pietre sbattute l’una contro l’altra per dare il ritmo ai canti, dal suono antico e suggestivo, insieme alle mani battute a tempo.

In genere, l’Ahalil si divide in tre stadi: il primo cerchio, il Lemsarah, è in genere aperto a tutti e si cantano preghiere e poemi famigliari fino a tarda sera; il secondo, l’Ougrout, può durare anche fino all’alba e solo i cantanti più esperti possono partecipare; infine c’è il Thara, il cerchio delle lunghe poesie, a cui accedono solo i grandi maestri.

Proprio questi lunghi poemi sono oggi quelli maggiormente in pericolo: “Molti di essi sono scomparsi, oggi la gente non ha più la pazienza di ascoltarli” lamenta uno dei maestri di Ahalil. 

Da sempre, i maestri hanno il compito di tramandare i canti e le regole delle cerimonie a coloro che li vogliono imparare, ai discepoli e ai propri famigliari. E’ così che la tradizione si è conservata fino a noi.

Tra questi non sono mai mancate le donne, che oggi sono tra le principali protagoniste di questa lotta incessante contro il tempo e il pericolo dell’oblio. “Ormai conoscono molti più versi e canti rispetto agli uomini” si ripete più volte durante il documentario.

E se gli abitanti dei villaggi preservano questo tesoro orale come possono, di recente anche il governo algerino si è reso conto dell’importanza di questo patrimonio musicale e sociale, e ha creato l’anno scorso tre parchi “eco-culturali” (tra cui il Touat, che comprende la città di Timimoun e l’oasi rossa di Gourara) e il festival folkloristico annuale a cui partecipano i villaggi di tutta la regione. 

“In passato ci si riuniva con la famiglia e gli amici, oggi c’è il festival” commentano con una punta di nostalgia gli anziani. 

Ma tutti lavorano affinché l’Ahalil, che pure è cambiato e cambierà ancora nel tempo com’è nella natura delle cose, conservi comunque l’essenza, il suo vero spirito di musica, poesia, gioia di vivere e condivisione dell’amore per la Natura e la Bellezza: “L’Ahalil – dicono alla fine – è legato all’umanità”.

 

Per vedere il documentario “Music of the Red Oasis” clicca qui.

 

 

Sabato, Febbraio 28, 2015 – 11:15di: Anna ToroAlgeria,

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