di Francesca Manfroni
Era la primavera del 2011, quando i pubblici ministeri di Milano aprivano quella che oggi è considerata la madre di tutte le inchieste, anche di quella che ha portato in questi giorni alle dimissioni del numero uno dell’italiana Saipem, costola dell’Eni, colosso petrolifero che di lì a poco sarebbe stato travolto anche da un altro caso di corruzione internazionale, questa volta su suolo iracheno.
Oltre un anno e mezzo fa, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro* decidevano di avviare un’indagine su alcune attività giudicate “sospette” a seguito dell’esame dei conti della società di casa Eni.
In Algeria, la Saipem era già famosa per essersi aggiudicata contratti milionari con la Sonatrach, il gigante locale che controlla lo sfruttamento di idrocarburi (98% delle esportazioni), al tempo in cui a dirigere il ministero dell’energia c’era l’onnipotente Chakib Khelil.
Dalla metà degli anni 2000, la compagnia italiana è diventata un cliente molto ‘speciale’, al punto che si è assistito ad una vera e propria moltiplicazione degli appalti.
Nel 2008, la controllata del gruppo Eni attiva nell’ingegneria petrolifera, si aggiudicava più di 6,5 miliardi di dollari di lavori. Tra il 2006 e il 2009, il suo fatturato in Algeria è arrivato a toccare quota 20 miliardi di euro.
Ma torniamo alle indagini. Indagini che a un certo punto si sono incrociate con un’inchiesta internazionale condotta sulle attività della Saipem in Nigeria, avviata nell’estate del 2009 dalla procura di Milano riguardo a un giro di tangenti pagate – tra il 1995 e il 2004 – dal consorzio internazionale TSKJ (che comprendeva Snamprogetti , filiale o controllata di Saipem) al fine di aggiudicarsi importanti appalti.
Indagini che hanno poi condotto la procura di Milano fino all’Algeria. Qui, la Saipem era già al centro di uno scandalo legato al suo lavoro con la Sonatrach, che a sua volta aveva molti dirigenti perseguiti per appropriazione indebita e presunta corruzione.
Uno scandalo scoppiato il 12 gennaio 2010, quando l’amministratore delegato, Mohamed Meziane, i suoi due figli, l’ex direttore del CPA (credito popolare di Algeria) e molti alti dirigenti di Sonatrach venivano accusati e imprigionati per appropriazione indebita e presunta corruzione.
Un blizt che seguiva la conclusione di altre indagini avviate a partire dall’autunno 2009 dai finanzieri del DRS (Dipartimento di Ricerca e Sicurezza, intelligence militare) rispetto ad alcuni contratti stipulati dalla Sonatrach con aziende straniere.
Tre in particolare: un accordo del valore di 142 milioni di dollari per l’istallazione di un sistema di telesorveglianza, un altro di 580 milioni con la Saipem per la realizzazione di un gasdotto (noto come GK3) e infine l’ultimo per la ristrutturazione del decimo piano della sede di Ghermoul (Algeri), a vantaggio del CCIC (Consolidated Contractors Company International).
Secondo le indagini condotte dalle autorità algerine, la relazione privilegiata tra Sonatrach e Saipem passava per la mediazione dei due figli dell’ex-amministratore delegato Mohamed Meziane, con la benedizione di un altro ex, l’allora ministro dell’Energia e delle Miniere, Chakib Khelil, padrone indiscusso del settore per oltre dieci anni e uomo di fiducia del presidente Abdelaziz Bouteflika.
Il 5 dicembre, Pietro Franco Tali, amministratore delegato di Saipem, ha annunciato le sue dimissioni. Al termine della riunione del consiglio di amministrazione che ha sancito la sua uscita di scena, il gruppo ha precisato che le accuse della procura di Milano riguarderebbero solo i contratti stipulati dalla società fino al 2009.
Assicurando “di aver sempre agito nel rispetto della legge”, la dirigenza ricorda che sebbene non sia sotto inchiesta, l’ex ad ha comunque deciso di dimettersi per facilitare le indagini degli investigatori.
Il gruppo comunica inoltre di aver invece “sospeso” altri due dirigenti, tra cui Pietro Varone, perché menzionati nell’ambito dell’inchiesta riguardante la costruzione del GK3.
Lascia anche l’attuale direttore finanziario dell’Eni, Alessandro Bernini, che ha ricoperto questa posizione presso la società italiana al tempo dei fatti contestati dalla Procura di Milano.
L’inchiesta che ha fatto saltare i vertici della Saipem riguarda il famoso GK3, il gasdotto per cui la società italiana si è aggiudicata i lavori di costruzione di un tratto lungo circa 350 chilometri che dovrebbe collegare due località situate nel nord-est del paese alle città costiere di Skikda e di El-Kala.
Secondo i pm italiani, il contratto per la realizzazione del gasdotto GK3 sarebbe stato ottenuto dalla società italiana “in condizioni dubbiose”, in cambio di “servizi” o “commissioni”.
L’obiettivo del progetto è aumentare la capacità di trasporto della Sonatrach così da alimentare, tra l’altro, il Galsi, il gasdotto che dovrebbe collegare l’Algeria alla Toscana attraverso la Sardegna, e la cui realizzazione è affidata a una società partecipata da Sonatrach, Edison, Enel, Hera e Sfirs, la finanziaria di investimento della Regione Sardegna.
L’opera ha ricevuto il parere positivo dei ministeri competenti sulla valutazione di impatto ambientale proprio qualche giorno fa.
Il valore della commessa sul GK3, assegnata nel 2009 a Saipem e alla stessa Sonatrach, è di 580 milioni di dollari.
*Sono gli stessi pm che sostengono l’accusa nel processo che si apre il prossimo 5 aprile a carico di cinque ex manager di Snamprogetti – controllata di Saipem – e contro la stessa Saipem per corruzione internazionale in Nigeria
Scandalo dopo scandalo, l’Algeria figura oggi al 105esimo posto (su 176) nella classifica dei più corrotti del mondo nel 2012. Transparency International punta il dito sull’impunità totale riservata ai ministri colti in fragrante e sull’inerzia della macchina giudiziaria.
Anche se negli anni passati la situazione è stata addirittura peggiore (nel 2010 il paese occupava il 112 ° posto), l’Ong si dice seriamente preoccupata dall’atteggiamento della leadership al potere che oltre a non mostrare quella volontà politica necessaria ad attuare le riforme per contrastare il fenomeno, continua “a reprimere ogni iniziativa della società civile”.
Concretamente, Transparency International chiede alle autorità algerine di attuare la legge del 20 febbraio 2006 e di renderla più coerente con i contenuti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla lotta alla corruzione.
Da parte sua, Farouk Ksentini, presidente della Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei Diritti Umani (CNPPDH) e rappresentante di quella leadership che viene continuamente colta con le mani nel sacco, ha rincarato la dose, sostenendo che la corruzione è effettivamente diventata “una piaga endemica” dell’Algeria.
Commentando gli ultimi scandali, Ksentini ha poi dichiarato che la corruzione è da considerarsi alla stregua di uno “sport nazionale praticato a tutti i livelli di governo”: “Un flagello che ostacola lo sviluppo dell’economia nazionale”.
Ciononostante, l’autorevole membro dell’establishment, non ha mancato di evidenziare gli sforzi del governo per arginare il fenomeno, citando, tra l’altro, la creazione di una commissione nazionale per la lotta alla corruzione, che però “non è ancora potuta entrare in attività”.
In attesa che qualcosa cambi davvero, l’Algeria continua a essere terra di mazzette, tangenti e violazioni varie, che vedono coinvolti personalità molto vicine al presidente Bouteflika e la sua stessa famiglia, ma anche molte firme straniere (italiane incluse).
E’ di due giorni fa la notizia dell’incontro bilaterale tra il Commissario europeo per l’allargamento Štefan Füle e i rappresentanti algerini.
Dopo aver sottolineato che i rapporti tra le capitali delle due rive “sono ora abbastanza forti da permetterci di abbracciare l’intero spettro dei problemi che ci riguardano”, Füle ha ribadito che l’Ue nutre grandi speranze per le “riforme socio-economiche necessarie all’Algeria per stimolare imprese, investimenti privati nazionali ed esteri e, quindi per creare nuovi posti di lavoro”.
Ovviamente resta molto da fare per garantire la penetrazione delle società europee sul territorio algerino, come afferma il commissario quando riafferma la posizione di Bruxelles in materia di limitazioni imposte alla partecipazione straniera.
Ciononostante, la Commissione – apparentemente (?) incurante del brutto voto assegnato da Transparency International all’Algeria solo qualche giorno fa – ha deciso di sostenere il processo di “modernizzazione” del paese.
Con due programmi. Il primo diretto a favorire la diversificazione dell’economia e in particolare il promettente settore della pesca. Il secondo studiato per accelerare la modernizzazione della pubblica amministrazione attraverso il gemellaggio con Stati membri dell’Unione.
Nel complesso, la Commissione s’impegna a realizzare i suoi obiettivi per 45.000.000 di euro.
December 8, 2012
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