Il nuovo associazionismo a carattere religioso non può essere ridotto ad un fenomeno importato dal Golfo né può essere semplicemente etichettato come “progetto fondamentalista”. E’, in primis, il frutto dell’apertura di nuovi spazi e delle carenze strutturali in tema di welfare.
Nel periodo successivo alla caduta del regime di Ben Ali, la transizione democratica è stata caratterizzata da un processo di liberalizzazione sociale e politica. La prima conseguenza è stato il diffondersi di “segnali” di islamizzazione sullo spazio pubblico. Il modo in cui molte persone hanno rivelato la propria identità religiosa – attraverso un particolare modo di vestire, o diverse forme di comportamenti sociali – ha dato a buona parte della società laica la sensazione che “la Tunisia non fosse più lo stesso paese” che avevano conosciuto una volta.
Oltre alla libertà individuale acquisita e alla libertà di mostrare la propria appartenenza religiosa, è emerso anche un fenomeno sociale capace di attivare un sistema di valori morali che ha spinto molte persone ad organizzare il proprio impegno sociale. Sull’onda di questo entusiasmo post-rivoluzionario, e in un lasso di tempo molto ridotto, è comparso un gran numero di associazioni, e i gruppi religiosi sono divenuti visibili come mai prima.
La crisi umanitaria scatenata dall’arrivo di rifugiati libici al confine tra Libia e Tunisia ad esempio, nelle province di Tataouine e Medenine, è stata il punto di partenza per la costruzione di un enorme sistema di assistenza umanitaria, creato in un momento di emergenza prima ancora che arrivassero gli aiuti delle organizzazioni internazionali. Da quel momento in poi, sono stati costruiti network locali per coordinare gli sforzi internazionali e fornire aiuti tecnici (in termini di expertise*) e finanziari. L’apertura di questo spazio sociale è stata l’opportunità per nuove figure di fare il proprio ingresso sulla scena nazionale. Gli imprenditori locali del settore sociale, per la maggior parte laici ed occidentalizzati, hanno scoperto che un nuovo gruppo di attori – vasto e molto motivato – stava occupando il loro spazio sociale, non senza provocare una sensazione di diffusa diffidenza.
L’emergere di questo nuovo panorama di associazioni ha provocato l’avvio di un dibattito sulla natura delle influenze esterne in Tunisia (…), sul reale contributo che stavano dando alla formazione di una nuova società civile, o se piuttosto non fossero da considerare strumenti utili ad un piano di islamizzazione della società dietro la ‘copertura’ dell’assistenza umanitaria e dei progetti di sviluppo. Il paese avrebbe davvero dovuto accettare aiuti finanziari da paesi come il Qatar – non certo conosciuto per il rispetto dei diritti umani o per la trasparenza nei criteri di finanziamento – o piuttosto avrebbe dovuto rifiutarli, limitando i propri contatti ad attori che operano all’interno di un contesto di rispetto dei diritti umani e democrazia?
La risposta a questa domanda ha a che fare più con una dinamica di lotta intestina (tra i cosiddetti laici e islamisti, ndr) che con questioni geopolitiche. Il blocco sociale islamico sta senza dubbio emergendo, ma più che di un occulto progetto di islamizzazione, si tratta di un processo di attivazione – sia materiale che di risorse umane – di una middle class conservatrice che, fino alla rivoluzione del 2011, era rimasta esclusa.
L’ascesa di una nuova società civile
La mobilitazione delle associazioni caritative islamiche in Tunisia ha un punto di inizio simbolico: l’afflusso di rifugiati libici alla frontiera del paese nelle province di Medenine e Tataouine**. Abdelmonem Daymi, oggi direttore di Tunisia Charity, è stato uno dei primi coordinatori ad operare durante la fase di emergenza. Ci ha spiegato come lui ed altri cittadini di Tataouine fossero parte del primo gruppo locale di sostegno composto da volontari, e che Tunisia Charity è uno dei primi nuclei associativi sbocciati sul territorio. L’intervento volontario di individui è poi diventato un network strutturato che si è organizzato per fornire aiuti umanitari. Un gran numero di persone ha partecipato attivamente alla distribuzione di cibo e altri beni di prima necessità; altri hanno messo a disposizione le proprie case per i rifugiati, in cambio di un contributo finanziario mensile garantito.
La partecipazione di così tante persone, la complessa organizzazione della macchina degli aiuti e il coordinamento tra diversi attori necessitava però di fondi ed expertise. È in questo momento che ha fatto la propria comparsa sulla scena, per la prima volta, un nuovo tipo di attore sociale: quello generalmente percepito come “mosso dalla morale islamica”. Abbiamo scelto di utilizzare questo termine, “islamico”, per descrivere azioni mosse da valori sociali islamici, e un approccio orientato religiosamente***. Daymi, tuttavia, tiene a sottolineare che “Tunisia Charity non è (una realtà, ndt) islamica. Non siamo ideologici, non siamo politici. Il nostro obiettivo è fare beneficenza senza alcuna discriminazione, in accordo con il nostro credo religioso”.
Le persone impegnate in questa esperienza hanno poi iniziato a sviluppare un sistema strutturato di assistenza umanitaria. Dopo questa prima fase, è emerso un nuovo mondo di associazioni che ha tentato di partecipare alla costruzione di una rinnovata società civile nel paese. Un fenomeno non certo sconosciuto: tanto l’Egitto quanto la Giordania – paesi in cui l’attivismo islamico di tipo sociale è un aspetto importante dell’azione della Fratellanza Musulmana – offrono numerosi esempi e casi di studio (…).
L’emergere di questo attivismo, in Tunisia, si è sviluppato attraverso un doppio processo di costruzione di reti tanto interne quanto esterne, che hanno fornito le basi necessarie a sostenere nell’immediato questi nuovi “imprenditori sociali”.
Un network locale e internazionale
(…) L’avvio di questo particolare sistema associativo è principalmente dovuto alla forza di alcuni soggetti, che hanno fornito risorse sociali ed economiche, e che si dividono in due categorie.
Il primo tipo di attore è quello che costruisce alla base il tessuto sociale, un sistema di rete prevalentemente basato sull’attivazione di relazioni personali. Un processo non nuovo per l’Egitto, ad esempio, ma possibile in Tunisia solo dopo la rivoluzione, perché l’etica culturale dominante sotto il vecchio regime rifiutava qualsiasi tipo di affiliazione basata sul sistema di valori islamico. Una middle class conservatrice e religiosa, con un peso economico tangibile, è sempre esistita, ma in passato è rimasta esclusa dai circuiti del potere istituzionale e dalle dinamiche sociali.
Il secondo tipo di attore è generalmente un uomo d’affari, spesso un imprenditore locale influente nel suo campo, incoraggiato a contribuire attraverso campagne di aiuti o progetti di sviluppo.
Le tre più importanti nuove associazioni che seguono questo modello – Tunisia Charity, Marhama e Attaawn, che insieme hanno avviato il processo di civil society-building – mantengono stretti legami con le risorse interne ed esterne dei loro fondatori.
Daymi (Tunisia Charity), Mohsen Jandoubi (Marhama) e Mohamed Nejib Karoui (Attaawn) sono tre influenti imprenditori che hanno attivato un solido sistema di relazioni, collegando il naturale processo di affermazione di un nuovo attivismo sociale interno con il mondo esterno (…).
I donatori internazionali coinvolti in questo processo sono alcuni degli attori più affermati che stanno dietro al sistema sociale islamico sviluppatosi negli ultimi decenni, come Islamic Relief e Qatar Charity o altre organizzazioni del Kiwait – come l’associazione di beneficenza dello Sheikh Abdullah al-Nouri – e l’International Islamic Charity Organization, considerata dalla rivista economica Forbes come una delle più trasparenti nella lista delle grandi organizzazioni islamiche (…).
Questo mondo di connessioni – interne ed esterne – è stato sfruttato per fornire gli strumenti e l’expertise necessari ad un nuovo gruppo sociale emergente, come parte di quel sistema di ristrutturazione del potere, innescato in seguito alle sollevazioni arabe (…). L’emergere di queste nuove associazione islamiche riflette, su un altro livello, la stessa battaglia politica che si sta svolgendo tra laici ed islamisti sull’arena politica: una nuova categoria sta tentando di occupare questo spazio, in lotta con la vecchia.
Un contro-potere sociale e politico
Questo conflitto, iniziato già l’indomani della caduta del’ex dittatore, era ben evidente durante il lavoro di ricerca sul campo svolto nella primavera del 2012 a Msaken, città situata nell’area urbana di Soussa, già conosciuta per il suo sistema clientelare durante i tempi di Ben Ali.
L’infrastruttura associativa pensata dal vecchio regime era basata su un nucleo di associazioni di beneficenza (gestite con sistemi clientelari) che lavoravano localmente selezionando in modo accurato i principali beneficiari dei loro interventi. Un vero e proprio strumento di potere socio-politico, non solo perché la fedeltà al regime era il principale criterio di selezione degli aiuti; ma anche perché gli imprenditori locali erano obbligati a partecipare al sovvenzionamento di queste ‘buone azioni’. I soldi venivano raccolti periodicamente in una banca creata ad hoc, la “Solidarity Bank”.
Questo impianto rappresentava un compromesso tra il moderno sistema welfare (nel quale tutti i cittadini contribuiscono con somme trattenute dai propri salari) e un sistema paternalista di potere. I grandi imprenditori locali erano tenuti a partecipare a questo costante processo di raccolta fondi, in cambio di alcuni privilegi in campo economico che avrebbero poi favorito i loro stessi interessi nelle relazioni con il potere.
Oggi il panorama sta cambiando. (…) Il nuovo sistema di rete della beneficenza è definito islamico perché si basa sull’attivazione di valori islamici – come la Zakat (l’elemosina rituale, terzo pilastro dell’Islam, ndt) e la pietas religiosa – e rappresenta una componente sociale che tenta di lanciare una sfida alla forza (culturale, economica e politica) del tradizionale blocco bourghibiano-nazionalista indebolito dopo la rivoluzione, ma che è ancora al suo posto, con le importanti risorse finanziarie e sociali.
Questo contro-potere islamico nato dopo la rivoluzione, ha avuto anche la possibilità di affermarsi politicamente dopo la schiacciante vittoria alle elezioni del 2011. Nonostante le differenze nella morale che lo orienta, ha le caratteristiche di qualsiasi altro sistema di potere. Il blocco, prevalentemente composto dalla coalizione Nahdha-Cpr**** ha, di fatto, tentato di riprodurre lo stesso meccanismo proprio al vecchio regime, attraverso la creazione di uno spazio sociale ed economico alla base dei suoi meccanismi di potere.
A livello locale (e questo è particolarmente vero nelle zone costiere), il campo sociale è diviso in due, sia a causa della capacità di resistenza del vecchio sistema, sia come diretto risultato della lotta che si sta svolgendo tra una vecchia ed una nuova middle class, che si considerano l’un l’altra come nemiche e che, almeno per il momento, non hanno trovato un compromesso.
La situazione politica e l’evoluzione del processo di transizione avranno necessariamente un impatto sul modo in cui questa nuova classe media verrà inglobata nel contesto sociale nazionale tunisino.
I poteri islamici: una minaccia o un’opportunità?
Per comprendere le polemiche intorno alla questione dell’influenza di partner islamici internazionali, è dunque necessario tenere a mente il fattore della rete islamica come potenziale sistema di potere.
Gli attori tunisini oggi hanno più opportunità e possibilità di scegliere i propri partner rispetto al passato (…): quella con i paesi del Golfo rischia davvero di cambiare il volto della società, come sostengono i critici, o è solo un altro modo di ottenere finanziamenti, senza gravi conseguenze politiche? (…)
La questione delle donazioni dai paesi del Golfo è controversa in Tunisia, ed ha causato forti antipatie. Le transazioni finanziarie che gli sheikhs muovono verso le associazioni o verso specifici destinatari non sempre sono trasparenti. Inoltre, azioni come la distribuzione di copie del Corano o di altri materiali religiosi potrebbero essere viste con sospetto. In un contesto di forte divisione politica come quello attuale tunisino, è facile percepire queste azioni come il tentativo di esportazione di un modello sociale basato su una specifica visione wahabita dell’Islam.
(…) Tuttavia le implicazioni politiche non sono una certezza, ed un’eccessiva attenzione all’uso di simboli religiosi potrebbe portarci a trascurare il fatto che questi attori sociali stiano comunque giocando un ruolo importante per quanto riguarda servizi sociali e sostegni materiali concreti e immediati, in assenza di uno Stato incapace di provvedere ai bisogni di tutti i suoi cittadini. Non dovremmo neanche escludere la possibilità che i finanziamenti possano essere garantiti senza condizioni (…). In Tunisia sta operando un vasto numero di nuove associazioni, ong e donatori stranieri (oltre ai finanziamenti del Fmi, ndt), e vale la pena studiare in cosa differiscono e cosa hanno in comune, così come si relazionano le une alle altre (…).
Ci sarebbero anche buone ragioni per dibattere più approfonditamente se i donatori internazionali abbiano responsabilità nell’alimentare le linee di frattura tra religiosi e laici quando scelgono i propri partner locali (…). C’è un bisogno urgente di cercare di superare un antagonismo oltranzista e di stemperare il processo in atto di fabbricazione del nemico a tutti i costi, che sembra voler escludere l’ipotesi dell’“alterità”. C’è bisogno piuttosto guardare al terreno comune che potrebbe aiutare una vasta gamma di attori a beneficiare gli uni degli altri in termini di esperienza e conoscenza.
Conclusioni
Quelle che abbiamo scelto di chiamare “associazioni di beneficenza islamiche” in Tunisia non possono essere ridotte ad un fenomeno importato dal Golfo, né dovrebbero essere considerate come parte di un progetto ideologico collettivo etichettato come “fondamentalista” o visto come un vago ed oscuro “processo di islamizzazione”.
Un effetto evidente dell’attività di beneficenza in Tunisia è l’emergere di una nuova middle class islamica, che oggi, dopo la rivoluzione, ha l’opportunità di organizzarsi. I suoi riferimenti sono islamici, e il suo lavoro è portato avanti nel contesto nazionale di un governo islamista. Queste associazioni sfruttano esclusivamente risorse locali in termini di network nelle aree in cui operano. Vari attori sociali sono coinvolti nelle loro attività: uomini d’affari, coordinatori e volontari locali, tutti impegnati nel fornire sostegno nelle aree più marginalizzate. Porre attenzione alla questione delle provenienza dei fondi è parte della questione (…) ma quello che è davvero importante in termini di impatto sociale e politico è che una nuova classe media si stia formando e affermando attraverso questa rete.
* Sia le reti interne che esterne sono cambiate rispetto al passato. La società civile sotto il vecchio regime era organizzata sotto il monopolio del sistema di potere, e solo un piccolo margine di azione era lasciato alle organizzazioni indipendenti, in modo particolare dall’inizio degli anni 2000, quando fu tentata una relativa liberalizzazione. Queste organizzazioni erano generalmente orientate a sinistra, e i loro referenti fuori dal paese erano organizzazioni occidentali come l’Unione Europea o partner vicini alle Nazioni Unite.
** E’ importante ricordare che queste due regioni sono tra le più conservatrici del paese, e i riferimenti islamici giocano un ruolo importante. Sono anche due roccaforti di Al-Nahdha, il partito islamista che ha vinto le elezioni del 2011 e, aspettando i risultati del “dialogo nazionale”, detiene ancora il potere.
*** Non tutti gli attori sulla scena sono islamici allo stesso modo: ci sono associazioni che incentrano la loro azione di beneficenza su bisogni sociali, basati sula raccolta fondi o progetti di sviluppo più articolati. Altre combinano la dawa (predicazione, ndt) – come la distribuzione di copie del Corano o lezioni religiose – con attività caritative.
**** La coalizione di governo è composta da 3 partiti. Oltre a Nahda e al CPR c’è la formazione socialdemocratica Ettakatol. Quest’ultima, tuttavia, non sembra dominante come i primi due sulla scena sociale e politica.
(traduzione a cura di Cecilia Dalla Negra. Per la versione originale clicca qui)
November 05, 2013di: Fabio Merone ed Evie Soli per Open DemocracyTunisia,Articoli Correlati:
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