Kurdistan iracheno. E’ “colpo di stato”?

Foto di Hider Omar

Nel Kurdistan iracheno il partito al potere ha bloccato l’intero sistema politico. Come si spiega questo nel caso di una regione, spesso considerata come un “altro Iraq” per la sua stabilità e prosperità? L’analisi del sito iracheno indipendente Niqash tradotta da Osservatorio Iraq.

Le ripercussioni della manifestazione del 12 ottobre 2015, svoltasi alle porte di Erbil, la capitale della regione semi-autonoma del Kurdistan iracheno, continueranno ad avere un impatto politico negli anni a venire.

Una decisione di un partito – imposta con le armi – ha messo la parola fine al processo democratico nella regione. Uomini armati appartenenti ad una delle maggiori formazioni politiche della regione, il Partito Democratico del Kurdistan, o KDP, ha chiuso le porte della città al presidente del Parlamento curdo e ad alcuni deputati, impedendo loro di recarsi negli uffici governativi.

Poche ore più tardi, a Sulaymaniyah, altra grande città della regione, in una conferenza stampa lo stesso presidente del Parlamento, Mohammed Yusuf, dichiarava ai media che c’era stato un “colpo di stato contro la legittimità del Parlamento”.

Spesso chiamato “l’altro Iraq” per la sua relativa stabilità, sicurezza e crescita economica, il Kurdistan iracheno si ritrova oggi ad affrontare una prova molto difficile. Un partito politico – il KDP – che ha solo 38 seggi all’interno di un Parlamento che ne comprende 111 in totale è stato in grado di sospendere i lavori del governo, senza dover rispondere ad alcuna domanda. Il KDP ha anche annunciato un nuovo gruppo di ministri e deputati per sostituire quelli che lui stesso ha fatto fuori.

Così, davvero l'”altro Iraq” é così stabile e progressista come a molte persone piace pensare?

Prima dei fatti del 12 ottobre vi erano già stati sit-in e manifestazioni in alcune aree di Sulaymaniyah, conosciuta come la più liberale delle tre province del Kurdistan iracheno. Queste dimostrazioni sono state organizzate, in primis, da insegnanti locali che protestavano il fatto di non ricevere regolarmente il proprio stipendio da diverse settimane. Ai sit-in hanno fatto seguito poi proteste pacifiche, trasformatesi in violente dopo l’attacco contro la sede del KDP.

Fonti mediche riferiscono che cinque persone sono state uccise negli scontri tra forze di sicurezza e manifestanti e circa 180 persone sono rimaste ferite.

Il KDP ha subito dato la colpa per le proteste ad uno degli altri politici nella regione, il “movimento del cambiamento”, noto anche come Goran, affermando che quest’ultimo – che era entrato in Parlamento grazie ad un programma incentrato sulla lotta alla corruzione, di fatto alterando l’equilibrio politico nel Kurdistan iracheno – aveva incitato alla violenza.

Ma, naturalmente, ciò che molti locali sanno è tutto questo ha a che fare con la questione della presidenza del Kurdistan iracheno.

Nel 2005 il Parlamento nominava come presidente della regione Massoud Barzani, del KDP. Questa posizione, in teoria, può durare soltanto per due mandati di quattro anni e il secondo termine di Barzani avrebbe dovuto concludersi nel 2013. Ma Barzani fu abile, due anni fa, ad aggrapparsi alla Presidenza attraverso intelligenti giochi di prestigio su una legislazione che molti considerano tutt’oggi per lo meno ambigua.

In questo modo é riuscito ad ottenere altri due anni – che si sono conclusi a mezzanotte di mercoledì 20 agosto. Da allora, tutta la politica curdo-irachena si é concentrata su questo tema perché il KDP crede fermamente che Barzani debba rimanere al suo posto.

Il suo partito giustifica questa posizione dicendo che mentre la regione si trova ad affrontare una seria crisi di sicurezza e un tale nemico quale il gruppo estremista Daesh, noto anche come Stato islamico, la gente ha bisogno di un leader forte. Tuttavia, da quando la questione della presidenza è stata posta, tutte le altre parti della regione si sono dette contrarie ad un’ulteriore estensione – soprattutto se Barzani è in grado di mantenere i poteri che ha già.

Attualmente la situazione sembra in fase di stallo e per molti nel “altro Iraq”, é relativamente instabile con timori circa ulteriori proteste e altre possibili violenze (le proteste a Sulaymaniyah sono continuate e numerosi arresti sono stati eseguiti dai servizi segreti in tutta la regione, ndt).

Se c’é dunque in Iraq un sistema politico vicino al fallimento, questo sembra essere il cosiddetto “altro Iraq” fintanto che c’é un partito che può paralizzare l’intera regione.

La questione può essere esaminata anche in modo più dettagliato.

Il “vero Iraq”, da quando é iniziato il processo democratico dopo la caduta di Saddam Hussein, ha visto succedersi quattro primi ministri e tre diversi Parlamenti. Inoltre ha avuto tre diversi presidenti, due dei quali curdi. Questi cambiamenti, é evidente, non sono stati affatto facili, ma ci sono stati. La democrazia è, appunto, un processo – anche se si può al tempo stesso anche sostenere che simili dinamiche hanno fatto dell’Iraq un luogo ancora più instabile e vittima di gruppi estremisti come Daesh.

Al contrario, l ‘”altro Iraq” ha avuto lo stesso presidente dal 2005: Massoud Barzani, la cui famiglia ha dominato la scena politica regionale nei precedenti 50 anni (almeno). Il compito del primo ministro è stato tenuto da due sole persone, uno dei quali è Nechirvan Barzani, nipote del presidente. Alcuni sostengono che l’assenza di cambiamento in ciò che può essere descritta anche come una sorta di dittatura “amichevole” rappresenta la prima fonte di stabilità e sicurezza per la regione.

I recenti disordini hanno anche ricordato a tutti come il Kurdistan iracheno sia stato spesso in guerra (vera e propria), al suo interno, a causa delle rivalità tra le due maggiori forze combattenti che sono il KDP e l’altro grande partito curdo, l’Unione Patriottica del Kurdistan, o PUK. In pratica, dopo aver smesso di combattersi tra di loro, le due parti si sono divise la regione tra di loro in termini di potere politico ed economico – questo vale anche per funzionari militari e amministrative. Il movimento Gorran, “il cambiamento”, che nasce da una dipartita popolare dal PUK e si pone come “qualcosa di diverso” dalle due principali formazioni, rappresenta per questo un problema per il sistema di condivisione del potere in vigore.

“Non c’è stato alcun sistema unificato né un’unica forza armata negli ultimi 23 anni”, dice Mahmoud Kamel, scrittore locale e analista politico. “Tutti qui siamo responsabili per la natura “di parte” del nostro Stato. Tutto in Kurdistan fuziona a seconda di quale partito si appartiene”.

Il fatto che la regione sia davvero divisa è stato ben dimostrato quando le forze armate di Erbil hanno chiuso, questa settimana, anche gli uffici di NRT, un canale televisivo privato, e del canale KNN, che è affiliato al Gorran. Entrambi hanno sede a Sulaymaniyah – territorio del PUK – e avevano uffici ad Erbil. Gli uomini armati del PDK hanno costretto i dipendenti delle stazioni televisive a tornare a Sulaymaniyah.

Il KDP è da biasimare per questa situazione, dice Rebwar Fatah, fondatore e amministratore delegato di Middle East Consultancy Services, una società con sede nel Regno Unito. “Il KDP considera il potere nella regione del Kurdistan iracheno una sua proprietà”, ha detto Fatah a Niqash. “Espelle e cambia politici ad Erbil come se fossero studenti litigiosi, e li rimanda di nuovo alle loro case in Sulaymaniyah.”

“Il Gorran è una forza curda con altrettanta legittimità come una qualsiasi delle altre parti”, ha continuato. “Nessuno può mobilitare mezzo milione di elettori senza questa. Ciò che è accaduto è incostituzionale e può essere meglio descritto come un colpo di stato.”

Nonostante questi problemi, tuttavia, il Kurdistan iracheno è ancora più avanti di Baghdad in termini di sicurezza, convivenza pacifica tra le comunità e diversità religiosa.

Anche nel sud e nel centro dell’Iraq ci sono state manifestazioni, ma “quanto succede a Baghdad é diverso”, dicono alcuni dei manifestanti.

“Vogliamo riformare il governo e cambiare coloro sono attaccati al potere”, hanno raccontato a Niqash alcuni dei manifestanti di Baghdad, che hanno scelto di rimanere anonimi. “In Kurdistan le loro richieste sono molto più modeste. Vogliono solo i loro stipendi e finire questo problema della presidenza. Noi invece non abbiamo problemi di salari. “

Infine, un’altra grande differenza. Nel “vero Iraq” non ci sono stati morti durante le proteste, anche dopo quasi 3 mesi di manifestazioni. Nel Kurdistan iracheno, in pochi giorni tre giovani sono stati uccisi nell’ufficio del KDP nel distretto Qalat Dizah, 130 chilometri a nord est di Sulaymaniyah, e ci sono stati altri due morti presso un’altra sede del KDP a Kalar, a sud della provincia.

*L’articolo é stato pubblicato originariamente da Niqash, sito iracheno di informazione indipendente. La traduzione é a cura di Stefano Nanni, mentre la foto é di Hider Omar.

October 19, 2015di: Kawa Sheikh Abdulla*Iraq,Articoli Correlati:

Impostazioni privacy