La Francia è un paese a vocazione mediterranea, o almeno così la pensa Sarkozy, con la ‘sua’ Unione per il Mediterraneo e il suo attivismo ai tempi della ‘Primavera araba’. Ma di fronte a barconi e immigrati, la grandeur lascia spazio all’indifferenza. Ora però l’Eliseo deve fare i conti con una tragedia evitabile, che si è consumata lo scorso marzo.
di Maria Letizia Perugini da Parigi
Nei giorni scorsi nove associazioni per la difesa dei diritti umani (Agenzia Habeshia, ARCI, Boat4People, Ciré, FIDH, GISTI, LDH, Migreurop, Progress Lawyers Network) hanno presentato una denuncia presso la procura della Repubblica di Parigi per la morte nel Mar Mediterraneo di 63 immigrati di origine subsahariana.
L’atto d’accusa è partito da 4 dei 10 sopravvissuti alla tragedia, ed è rivolta contro l’esercito francese.
Siamo nei giorni caldi della guerra civile libica, nel marzo 2011, l’imbarcazione si prepara a salpare con a bordo 72 persone: uomini, donne e bambini provenienti dal sud del Sahara.
Di passaggio in Libia nel corso di un viaggio iniziato mesi e anni prima, per scappare da fame e guerra incappano in un’altra guerra.
La pelle scura diventa la loro disgrazia: sono i mesi in cui le voci di miliziani subsahariani al soldo di Gheddafi scatenano un’ondata di feroci aggressioni contro le persone di colore.
Su questo punto i racconti dei quattro sopravvissuti sono chiari: “scappavamo da questa persecuzione e dalle bombe della Nato”.
“Alcuni stranieri sono potuti fuggire molto rapidamente: i governi dei paesi occidentali hanno organizzato senza indugio il rimpatrio in aereo per i propri cittadini (…), mentre per un’ultima categoria di stranieri già in fuga da mesi o anni dal Darfour, dall’Eritrea, dalla Somalia, dall’Etiopia, dalla Costa d’Avorio o da altri paesi in guerra, il viaggio di ritorno non poteva essere preso in considerazione”.
La strada alle loro spalle è sbarrata, non possono riaffrontare il deserto, devono andare avanti. E davanti c’è solo il Mediterraneo.
S’imbarcano nella notte tra il 26 e il 27 marzo, con destinazione Lampedusa.
Già il 27 marzo l’imbarcazione viene fotografata da un aereo militare francese. Si tratta della prima di una lunga serie di testimonianze che dimostrano come i militari d’oltralpe e tutte le forze Nato fossero a conoscenza della loro presenza in mezzo al mare.
Sono i mesi dei bombardamenti occidentali. Navi ed elicotteri fanno la spola tra le due sponde per far rispettare l’embargo di armi verso la Libia.
Durante il secondo giorno di navigazione, dalla barca parte una richesta d’aiuto attraverso un telefono satellitare. Vengono informate le autorità italiane, e con loro la base Nato di Napoli.
Le autorità costiere italiane continueranno a rilanciare l’SOS molte volte tra il 28 marzo e il 6 aprile. Nessuno interverrà.
Dal 28 marzo l’imbarcazione inizia ad andare alla deriva. A partire dal sesto giorno di viaggio senza più una meta e un comando preciso, a bordo s’iniziano a contare le prime vittime.
Tra il 3 e il 4 aprile, la barca incrocia la rotta di una grande nave militare, le due imbarcazioni restano per un certo periodo vicine, i soldati si affacciano e fanno foto, e poi si allontanano senza prestare soccorso.
Il 10 aprile con i passeggeri ormai allo stremo delle forze, la piccola imbarcazione viene rigettata sulle coste della Libia da una tempesta.
I dieci spravvissuti si ritrovano sulla spiaggia di Zliten, e individuati dalle autorità libiche vengono portati in prigione.
Questo è quello che è accaduto nei 15 tragici giorni del naufragio, senza che nessuno intervenisse: “L’esercito francese non poteva ignorare la presenza della barca nella zona, o ignorare che era in difficoltà. Tra navi, sottomarini ed elicotteri, l’esercito francese era quello con la più grande presenza nel Mediterraneo” , spiega Stéphane Maugendre avvocato incaricato del dossier intervistato da France 24.
La Francia da parte sua respinge ogni accusa, con il ministro della Difesa Gérard Longuet che dichiara: “Nulla permette oggi a queste ong di accusare la Francia del mancato salvataggio ai migranti” e fa riferimento al rapporto presentato dal Consiglio d’Europa sui fatti descritti, in cui secondo il ministro non viene fatto nessun esplicito riferimento all’armata francese.
E in effetti l’inchiesta avviata dal Consiglio d’Europa non ha potuto fare molta luce sulle responsabilità dirette del mancato soccorso, la Nato ha dichiarato che nessuna delle sue imbarcazioni è passata da quelle parti in quei giorni.
Ma le foto dell’imbarcazione esistono e le testimonianze dei sopravvissuti sono credibili. Stavolta la Francia e la Nato dovranno assumersi le proprie responsibilità.
April 18, 2012
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