Il fatto che nel 2011 sollevi tanto entusiasmo la concessione dell’elettorato attivo e passivo alle donne saudite rende già da sé l’idea di quanto drammatica sia la situazione nel ‘Regno dei Saud’, in quanto a diritti della donna. In un paese in cui al ‘gentil sesso’ è vietato sposarsi e divorziare, viaggiare (prima dei 45 anni di età), studiare, lavorare, aprire un conto in banca o sottoporsi ad operazioni mediche senza il permesso di un famigliare di sesso maschile, e in cui la legge proibisce implicitamente di guidare, il diritto all’elettorato attivo e passivo può sembrare addirittura una concessione non così prioritaria.
di Giovanni Andriolo
Innanzitutto, è bene chiarire in cosa consista una tale concessione.
Domenica scorsa il Re Abdallah ha dichiarato che le donne potranno diventare membri del Consiglio della Shura, a partire dal prossimo mandato, e candidarsi alle elezioni municipali, nonché ottenere il diritto di voto. A tutto ciò, l’anziano sovrano ha premesso che una tale decisione giunge per evitare di marginalizzare le donne nella società, per quanto attiene ai ruoli che concordano con la sharia, la legge religiosa islamica da cui il diritto saudita trae ispirazione. Già da queste poche parole emergono diverse considerazioni.
Innanzitutto, la premessa, oltre ad ammettere implicitamente che nella società saudita le donne siano marginalizzate, restringe il campo d’azione della volontà di non marginalizzazione della donna: solo per i ruoli previsti dalla sharia.
D’altra parte, la Costituzione saudita esordisce in modo chiaro: l’articolo 1 spiega come il “Libro di Allah e la Sunna del suo Profeta” siano la Costituzione del paese. La sunna, nella fattispecie, indica la pratica islamica basata sulle parole e sui gesti del profeta Mohammad.
In secondo luogo, le donne potranno diventare membri del Consiglio dal 2015: le ultime elezioni, infatti, sono avvenute nel settembre di quest’anno. Quindi, si tratta di un’apertura post-datata.
Tuttavia una domanda sorge spontanea: che cos’è questo Consiglio della Shura?
Si tratta di una sorta di organo di consultazione del re, in cui 120 consiglieri operano con un mandato di quattro anni: il re in persona deve approvare tutti i membri. Il Consiglio non può agire indipendentemente, ma ha il potere di indire dibattiti, intraprendere sedute investigative e suggerire modifiche alla legislazione emanata dal governo: l’ultima parola, in ogni caso, spetta al re. In poche parole, quando le donne saranno ammesse nel Consiglio della Shura, avranno una funzione principalmente ornamentale, all’interno del sistema legislativo saudita, alla pari dei colleghi uomini.
Fortunatamente, si potrebbe pensare che le donne si potranno candidare alle elezioni municipali, ed ottenere il diritto di voto. Anche in questo caso, è bene approfondire la questione.
Il territorio saudita è suddiviso in 13 province dal 1993, anno in cui il re stabilì che dovesse esistere una forma di governo anche a livello provinciale. Ogni provincia ha a capo un governatore, normalmente un principe o un membro della famiglia reale. Il consiglio provinciale si riunisce con il governatore quattro volte all’anno per stabilire quali istanze la provincia debba sollevare a livello ministeriale.
Nel 2003, furono creati dei consigli municipali con la funzione di assistenza ai governatori provinciali: la grossa novità fu che, per la prima volta, metà dei membri dei consigli municipali (circa 600) potevano essere eletti, tramite suffragio universale maschile. L’altra metà dei consiglieri, tuttavia, è nominata dal governo centrale. Nel 2005 ci furono le prime elezioni municipali, e la presenza alle urne fu molto bassa: il 25% degli aventi diritto nella prima fase e il 12% nella seconda. Nel settembre di quest’anno si sono svolte le seconde elezioni municipali.
Da questi accenni appare come l’apertura alla candidatura e al voto femminile, quando entrerà in vigore, non sembra poter avere conseguenze decisive sul sistema saudita: i consigli di cui queste potranno fare parte sono controllati quasi totalmente dalle decisioni del re.
In generale, tuttavia, il problema non è tanto quello della scarsa rappresentatività femminile nel sistema politico saudita, quanto piuttosto il sistema stesso. E’ infatti poco efficace il coinvolgere le donne in un sistema politico che non garantisce rappresentatività nemmeno agli uomini: una tale apertura non aumenterà la possibilità per le donne di agire all’interno del sistema politico.
Un cambiamento quantomeno simbolico ci potrà essere qualora le donne, votando in massa alle prossime elezioni, facciano aumentare la percentuale di affluenza alle urne. Affluenza che, tuttavia, servirà soltanto a garantire dei seggi nei fatti inutili.
Si sarebbe potuto parlare di una grande apertura qualora il re fosse intervenuto su questioni magari di più “basso profilo”, ma per questo più diffuse e più sentite dalla maggior parte delle donne saudite: ad esempio, la possibilità di movimento e di istruzione e di lavoro senza il benestare del tutore maschile. Tra l’altro, appare chiaro come nell’attuale sistema la donna che fosse designata per il Consiglio della Shura o eletta a livello municipale, potrebbe svolgere il proprio mandato soltanto dietro consenso del tutore.
Anche in questo caso, è chiaro come l’intero sistema potrebbe cambiare soltanto qualora la sua riforma iniziasse dal basso, proprio dai divieti che inibiscono la libertà di tutte le donne saudite nella loro esistenza quotidiana.
Come ad esempio, tema molto caro alle donne saudite, la possibilità di guidare un’automobile. Questione questa che ben dimostra la sottigliezza del sistema saudita: in realtà, nessuna legge proibisce alle donne di guidare; tuttavia, la legge proibisce di consegnare la patente di guida ad una donna: il divieto c’è, ma non si vede.
Allo stesso modo, la sottigliezza con cui Abdallah annuncia questa apertura in tema di voto è paradigmatica: evidentemente, il sovrano saudita ritiene che sia giunto il momento, nell’anno stesso in cui si sono consumate diverse primavere arabe, di correre ai ripari prima che le istanze della popolazione siano presentate a voce più alta. La mossa di Abdallah, quindi, sembra mirata a compiacere superficialmente i gruppi di attiviste ed attivisti che si muovono tra le dune del territorio saudita e, soprattutto, ad attirare un certo favore da parte del cosiddetto “mondo libero”, negli ultimi tempi abbastanza critico nei confronti di altri regimi arabi repressivi.
Sotto un tale punto di vista, la strategia di re Abdallah appare semplice: cambiare poco affinché nulla cambi.
September 28, 2011