In “AlefBa”, il compositore e sassofonista belga guida un gruppo di straordinari musicisti provenienti dalla Turchia, dall’Egitto, dalla Siria e non solo, in un ricettacolo di emozioni in cui anime e culture dialogano e si incrociano. L’abbiamo intervistato per voi.
Alef-Ba: Perché hai scelto proprio le prime lettere dell’alfabeto?
Questo progetto ha due facce allo stesso tempo opposte e complementari. Come un Requiem, la A è impregnata dello spirito delle primavere arabe; la B è come una manifestazione di gioia per il piacere di suonare insieme, nello spirito della fusione di musica e culture.
Man mano che si costituiva questo progetto, ho capito subito che bisognava lasciar vivere ad ognuno gli spazi di espressione relativi alle loro realtà quotidiane, senza interferire; e, dall’altro, ho capito che bisognava prendere tempo per godere la delizia senza tempo della musica araba: il piacere incrociare le musiche e le anime.
E’ difficile riunire tanti musicisti che provengono dal Medio Oriente? Com’è ti è venuta l’idea per questo progetto?
Un progetto come questo richiede diversi anni per essere completato. E’ necessario prima di tutto che ci sia una esperienza di vita a monte, e io da 25 anni dedico il mio lavoro a quello che oggi è chiamato il “multiculturale”.
Ho dunque un passato intenso con le diverse tradizioni del mondo arabo, così come l’Africa o dell’India. Ed è stato naturale riconsiderare le cose sulla scia della primavera araba e connettermi con il Medio Oriente. Bisogna innanzitutto creare dei dialoghi con gli artisti, viaggiare per incontrare le persone il più vicino possibile alle loro realtà di vita. E’ con loro che il progetto si è costruito, in base alle loro esigenze.
AlefBa è nato durante la mia residenza presso la Fondazione Royaumont, che ha una grande attenzione verso tutte queste tematiche, in collaborazione con Marsiglia, Capitale della Cultura 2013 e il Festival Lirico di Aix en Provence.
Che ruolo hanno l’improvvisazione – tipica del jazz ma non solo – e la tradizione orale/ classica della musica araba? E come tutto questo si è sposato con l’esigenza di una creazione complessiva compiuta e ben definita?
Il rapporto tra scrittura e tradizione orale mi affascina da molto tempo. E per ognuno di questi musicisti l’improvvisazione è al centro del linguaggio, l’oralità è una parte dei loro ricordi. Un concerto è al tempo stesso uno spazio di espressione individuale e collettiva, lo vedo come una costruzione drammaturgica dove ognuno fa eco ad un altro.
Ho anche fatto appello a un musicista architetto siriano, Fawaz Baker, per aiutarmi in questo processo, per essere il più precisi possibile nelle proposte. E’ necessario anche sincronizzarsi tra gli elementi musicali, che sono molto sottili, e la poesia cantata. I musicisti sono di alta qualità e dunque sono esigenti.
Ci racconti qualcosa di più sulle parti cantate?
Ho scoperto in questo progetto che la Divina Commedia di Dante aveva le sue radici nella poesia araba composta da ben prima, e a cui Dante si è ispirato. Alcune parti dell’Inferno vengono cantate in AlefBa. Ogni poesia è una scelta personale dei cantanti ma viene riconsiderata insieme. E’ come un “oratorio della vita” in cui vengono proposti tutti i tipi di aspetti e sfumature.
Anche gli strumenti coinvolti rientrano nel mosaico geografico-musicale del progetto?
La personalità dei musicisti prevale sull’orchestrazione. E abbiamo l’oud, il santur, la derbuka e, naturalmente, la voce.
Nelle rivoluzioni arabe i protagonisti sono stati soprattutto i giovani, tra nuovi media e nuovi linguaggi anche artistici. Hanno portato nuova linfa anche nella musica tradizionale?
Penso che siamo nel mezzo di una svolta artistica in cui molti giovani conoscono molto bene le loro tradizioni e contemporaneamente si volgono anche verso altre musiche. Penso anche che molti di questi giovani si stiano organizzando in modi diversi per incidere sul pubblico in tutto il canale arabo e allo stesso tempo per cercare un’apertura verso il mondo esterno.
Ho avuto l’opportunità di condurre un workshop questo mese di luglio con giovani da tutto il Mediterraneo e sono rimasto stupito dal livello di conoscenza della loro storia musicale. La musica tradizionale araba trova nuovi sbocchi e Mustafa Said (oud, voci, Ndr.) e Amir El Safar (tromba, santur, voci, Ndr.) sono esempi perfetti: anche se sono musicisti maturi, la loro ricerca è iniziata molto prima. Per alcuni giovani pregusto i prossimi anni in cui si vedrà il vero impatto.
Il Mediterraneo è stato sempre un crocevia di scambi e incontri. Qual è per te il significato del viaggio e come si traduce nella tua musica?
Per quasi 25 anni ho girato da un continente all’altro, da un paese all’altro, da una cultura all’altra, da un incontro all’altro. Tutto è cominciato da un viaggio nella Repubblica Centrafricana tra i Pigmei Aka. Questa esperienza di vita con loro nella foresta equatoriale ha cambiato il mio modo di vedere il mondo e di fare musica.
Ho deciso di passare il meno possibile per degli intermediari e di andare piuttosto io stesso a vedere sul posto. Da allora i viaggi si sono concatenati senza sosta.
L’oralità non passa attraverso i libri o lo fa molto poco: ora magari può essere un po’ più facile, ma non lo era certo 20 anni fa. Oggi il fenomeno Youtube ci facilita notevolmente, ma non sostituisce l’esperienza sul posto. Ad esempio, per quanto riguarda AlefBa, l’incontro al Cairo con tutti questi artisti diversi è stato essenziale e cruciale.
Il tuo progetto è lontano dalla vecchia nozione di world music, o dal solito orientalismo di matrice occidentale. Una differenza di approccio?
Il desiderio di andare al cuore dell’espressione, di partire dal seme, di evitare le associazioni troppo facili, di tener conto di ciò che è importante o prezioso per un artista che viene da altrove… tutto questo contribuisce a costruire la musica.
Dedico tutto il tempo necessario, spesso diversi anni, alla preparazione di un progetto. Ho bisogno di studiare (e talvolta parecchio!) per comprendere questo Altro che mi incuriosisce e mi attira.
Come occidentali, ci troviamo a confrontarci con la nostra storia, con i nostri comportamenti passati e presenti, che a loro volta si confrontano con il resto del mondo. Anche se io non sono direttamente interessato dai tempi del colonialismo, sento che c’è, in qualche modo, un debito che ora devo pagare simbolicamente.
Siamo in un periodo di enormi interrogativi sul nostro rapporto tra l’Occidente e il non-Occidente, è un punto di svolta per la storia dell’umanità e penso che dovrebbe riguardare tutti gli esseri umani. Abbiamo una grande responsabilità e l’Occidente ha un riflesso macchiato di malafede quando va a chiudere tutte le porte. Penso che questo riguardi tutti, senza eccezione.
Come artista, dunque, è importante per me non “imporre”, in un riflesso condizionato post-coloniale. Ascoltare e vedere emergere le idee, svilupparle in un contesto diverso, questo mi sembra essenziale.
La musica che, appunto, riflette il caos, lo ordina e poi si sparpaglia di nuovo. Musiche diverse si incontrano, si uniscono e si trasformano in qualcosa di diverso. Una metafora della storia umana e dei popoli?
Le musiche corrispondono a degli stati vibrazionali che si tendono tra loro verso altri stati vibrazionali. Questo è il Mistero… noi vibriamo con più o meno intensità, come tutte le cose della vita. Ma la musica ci fa confrontare anche con la bellezza, il senso estetico, emotivo, o la capacità di movimento. Ci sono musiche per ogni aspetto della vita, è incredibile! Questa felicità è, a mio parere, importante oggi per fare da contrappunto ad un mondo spesso troppo buio.
L’8 ottobre vi vedremo in azione al RomaEuropa Festival. Quali sono secondo te le parti più emozionanti di questo concerto?
AlefBa è un contraltare di emozioni, di impegni trasformati in parole, di gesti espressivi ed emotivi, di assunzione di rischi, di dialoghi, di flusso collettivo di virtuosismo strumentale. Lo spettacolo viene emotivamente ricostruito ogni volta in modo diverso.
AlefBa, suonato nella maestosa sala del Teatro Argentina, di cui ho un ottimo ricordo con i congolesi Fatal Blow lo scorso anno, innesca inevitabilmente degli elementi unici, e questo mi rende felice.
AlefBa – 8 ottobre 2015, h 21 Teatro Argentina (Largo di Torre Argentina, 52, Roma). Biglietti: € 25
Per tutti i nostri lettori uno SCONTO SPECIALE sui biglietti.
Il biglietto scontato – 15€ invece che 25! – si può acquistare sia telefonicamente, chiamando al botteghino di Romaeuropa (tel. 06-45553000), sia presso il botteghino di via dei Magazzini generali 20/a, presentandovi come lettori di Osservatorio Iraq.
Sarà inoltre possibile usufruire del prezzo scontato fino alla sera stessa del concerto, presentando al botteghino la copia cartacea o digitale di questo articolo o del post di Facebook.
E ancora, non perdetevi il contest nella pagina Facebook di Osservatorio Iraq: in palio ci sono 4 biglietti omaggio!
October 05, 2015di: Anna ToroEgitto,Iraq,Siria,Turchia,
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