Sono testimonianze agghiaccianti quelle raccolte da Human Rights Watch nel suo ultimo rapporto sulle lavoratrici domestiche e il sistema della kafala negli Emirati Arabi Uniti.
Lo studio di 79 pagine s’intitola “I Already Bought You” (Ormai ti ho comprato) e racconta in modo dettagliato la tragica situazione vissuta da migliaia di lavoratrici straniere, in un sistema in cui la totale mancanza di tutele le lascia esposte a continui abusi mentali, fisici, giuridici ed economici.
L’Occidente ha imparato a conoscere la kafala con gli scandali dei lavoratori impiegati in Qatar per la costruzione delle infrastrutture per i Mondiali di Calcio 2022: per la maggior parte provenienti dal Sud Est asiatico e dall’Africa – e spesso attirati attraverso pratiche di reclutamento ingannevoli – una volta firmato il contratto con il proprio “sponsor” non possono abbandonare il posto senza il consenso del datore di lavoro.
Non possono scappare dal paese in quanto il loro passaporto viene confiscato, e sono spesso costretti a vivere in tuguri sovraffollati e con turni e orari di lavoro massacranti.
Se l’indignazione internazionale e la cattiva pubblicità per alcune aziende costruttrici sta portando a qualche risultato positivo in Qatar, almeno nelle intenzioni, negli Emirati Arabi Uniti così come in altri Stati del Golfo la situazione è rimasta la stessa.
Incentrando il report proprio sulle lavoratrici domestiche, HRW mette in luce il problema dal punto di vista di una delle categorie più vulnerabili: non solo perché donne, ma anche in virtù dell’isolamento dato dalla mansione, con i peggiori abusi che possono rimanere anche per anni ben chiusi all’interno delle quattro mura domestiche.
Sono 99 le donne intervistate dagli autori del rapporto: alcune raccontano di essere costrette a lavorare fino a 21 ore al giorno, altre di non avere cibo sufficiente, situazione aggravata anche dal fatto che spesso non sono autorizzate a uscire di casa.
C’è chi è stata brutalmente picchiata, dagli uomini ma spesso anche dalle padrone di casa, e non mancano gli abusi sessuali. Naturalmente, quasi tutte si sono viste il loro passaporto confiscato.
“La mia padrona ha cominciato a picchiarmi dopo due settimane che ero lì. Mi ha colpito con un pugno al petto. Mi ha graffiato il collo, e mi ha schiaffeggiato sul viso. A volte mi strappava ciuffi di capelli dalla testa” racconta una ragazza indonesiana, oltre al fatto di non essere mai stata pagata.
“Il lavoro non era quello che mi aspettavo che fosse” confida un’altra ragazza, 23 anni, indonesiana anche lei. Proprio dalla sua testimonianza deriva il titolo del report: “Mi svegliavo e iniziavo a cucinare, poi pulivo, lavavo i vestiti, e poi di nuovo cucinavo. Non c’era riposo, non c’era proprio nessun riposo. Lei (la padrona) continuava a urlare, così ho iniziato a piangere e chiesto di tornare in agenzia, ma la signora mi ha detto: ‘Guarda che ormai ti ho comprato'”.
Ecco perché, secondo HRW, molti di questi abusi sono paragonabili al lavoro forzato o alla tratta, ed ecco perché secondo l’ong è importante che le altre nazioni facciano pressioni sugli Emirati affinché il governo metta fine a questo sistema al di fuori di qualsiasi standard internazionale di diritto del lavoro.
E dire che gli Eau hanno appena conquistato un posto nel consiglio dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Spinto dalla pressione delle organizzazioni per i diritti umani, già a giugno il governo aveva attuato una revisione di questo tipo di contratti prevedendo una giornata libera settimanale e 8 ore di riposo in un periodo di 24 ore.
Ma si tratta di misure prive di efficacia, e secondo HRW in realtà nessuno sforzo serio è stato intrapreso dal governo per eliminare, o almeno modificare radicalmente il sistema della kafala, che coinvolge circa 7,3 milioni di “expats” in tutti gli Emirati Arabi Uniti.
Certo, alcuni datori di lavoro sono stati perseguiti per omicidio o per eccesso di violenza fisica, ma anche in questi casi i lavoratori migranti, se decidono di agire, devono affrontare numerosi ostacoli giuridici e pratici, compresa la possibile accusa di “fuga” (un illecito amministrativo) nel caso abbandonino i propri datori di lavoro prima del termine del contratto.
In tutto questo, i paesi di provenienza hanno la loro parte di colpa nel non informare in modo appropriato i propri cittadini, anche se alcune misure in questo senso sono state intraprese ad esempio nelle Filippine.
“Dove alcuni paesi hanno bloccato la migrazione dei propri lavoratori domestici verso gli Emirati Arabi Uniti, altri paesi vanno a colmare il divario, in una sorta di corsa al ribasso che mette a rischio i lavoratori – ha commentato Rothna Begum, ricercatrice sui diritti delle donne del Medio Oriente per Human Rights Watch – I paesi devono unirsi per chiedere riforme negli Emirati Arabi Uniti, e rafforzare le loro misure di protezione”.
Per scaricare il rapporto in pdf clicca qui.
October 31, 2014di: Anna ToroEmirati Arabi UnitiVideo: Articoli Correlati:
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