Siamo al Cairo, facoltà di Legge. Una donna, capelli biondi, maglione colorato, cammina. Per alcuni è solo una studentessa come tante altre. Per altri una sgualdrina. La notizia, di per sé, non fa notizia. O almeno non nel senso letterale del termine. Nel senso in cui un’altra donna, l’ennesima in Egitto, viene sottoposta alle attenzioni indesiderate dell’altro sesso.
Lo abbiamo raccontato in più occasioni con testimonianze provenienti da più luoghi del paese. Abbiamo raccontato delle violenze nei dintorni di Tahrir, delle iniziative della società civile, dell’indifferenza generale.
La notizia di una donna aggredita da dieci figuri e costretta a ricorrere alla sicurezza interna dell’università per sfuggire alla loro violenza (fisica quanto verbale) non è rilevante se non ai fini delle statistiche. Contrariamente bisognerebbe scriverne ogni giorno.
Di conseguenza questo articolo non avrebbe ragione di esistere, se non nell’ottica di divenire l’ennesima cronaca di un abuso, di un gesto odioso e deprecabile. Poi però, leggendo fra le righe della notizia, si scoprono nuovi, raccapriccianti, elementi.
Li scopro leggendo un post di Mariam Kirollos, attivista egiziana che da tempo ormai si batte per l’implementazione dei diritti delle donne nel proprio paese.
“A female student sexually harassed by a mob at Cairo University was blamed by the University’s head for wearing “inappropriate clothing”. I demand immediate investigations into the incident and the arrest of assailants, a public apology by the University’s administration to the student, and the expulsion of Cairo University’s head Gaber Nassar. We still have a LONG way to go, Egypt”.
Una studentessa sessualmente molestata all’Università del Cairo è stata incolpata dal direttore (Gaber Nasser) della stessa per aver indossato “abiti inappropriati”.
La dichiarazione di Nasser mostra un atteggiamento mentale che rivela una prospettiva sinora inedita. La vittima diventa anche colpevole. Sì, la vittima provoca i molestatori e dunque si rende compartecipe della sua colpa. Certo, aggiunge Nasser, questo non giustifica l’atto di violenza, ma gli abiti succinti…
A questo punto la violenza subita dalla giovane passa in secondo piano, non di importanza ma di prospettiva.
Potrebbe essere anche una storia inventata, un’esperienza non reale, poiché le parole di Nasser rivelano invece una realtà atroce (e questa sì reale) per chi subisce una violenza in Egitto.
Non solo manca la totale ed incondizionata solidarietà, ma persino si giunge a prefigurare un dolo nell’atteggiamento di chi – e qui siamo ad altre dichiarazioni rilasciate in queste ore su alcuni programmi televisivi – si comporta come una ‘passeggiatrice’ vestita in maniera del tutto inappropriata.
La libertà di espressione diviene dunque sindacabile. Ma del resto ci si poteva aspettare altro da Nasser, che nel mese di gennaio aveva utilizzato il pugno duro contro gli studenti che manifestavano in favore dei Fratelli Musulmani paventando l’espulsione per quanti si fossero resi responsabili di atti terroristici?
Il portavoce della campagna Shoft Ta7rosh (“I saw harassment”) si è detto sconvolto per le parole del rappresentante istituzionale definendo quanto accaduto un dramma sociale.
E’ stata la sua organizzazione a raccogliere e denunciare l’accaduto. Un gruppo di circa dodici ragazzi che le si avvicina, volano offese, qualche mano si allunga, pare che qualche lembo dei vestiti venga tirato via, solo l’intervento della sicurezza risolve la situazione scortando la ragazza lontana dai suoi assalitori.
Purtroppo ha ragione Mariam Kirollos quando afferma che la strada per l’implementazione dei diritti delle donne in Egitto è ancora lunga.
Lo è certamente perché la stragrande maggioranza delle donne egiziane è quotidianamente sottoposta a vessazioni di natura sessuale, ma forse lo è anche di più poiché la società non reagisce, non mostra solidarietà, non si indigna.
La strada è molto lunga perché le donne egiziane sono sole.
Ed è ancora Nasser a ricordarlo sulle pagine del Daily News Egypt: “L’errore della studentessa non giustifica ciò che hanno fatto gli altri studenti”. Sì perché sebbene la studentessa sia entrata all’Università indossando l’abaya, ha commesso l’errore di toglierlo una volta dentro. Il sottinteso, odioso, è molto chiaro.
Yasser Mana’a, vice-direttore della sicurezza amministrativa dell’Università, lo esplicita se possibile con maniere e forme ancora più dirette. Prima nega che ci sia stata violenza (sia verbale che fisica) poi riafferma che la donna fosse vestita in maniera inappropriata ed infine, asserendo che lavorerà più a stretto contatto con Shoft Ta7rosh, ricorda che: “Sono le donne, più di tutti, a dover essere maggiormente consapevoli”.
March 18, 2014di: Marco Di DonatoEgitto,Articoli Correlati:
Su WhatsApp finalmente potrai sfruttare il trucco più atteso. Adesso potrai rispondere a chi vuoi…
Nei prossimi episodi di Endless Love Kemal riceverà un biglietto da parte di Tufan e…
Adesso è tutto più semplice per l'acquisto della tua prima casa. Sono ancora in pochi…
Se non vuoi farti spiare quando navighi, adesso c'è una funzione di Google che ti…
Ti basta solo un'App per poter evitare di fare la fila alla casa: potrai passare…
Finalmente è in arrivo un aumento incredibile per la tua pensione. Per accedere dovrai solamente…