di Valentina Marconi
“Magdy si trova nella stazione di polizia di Qasr el-Nil e sta finendo di compilare i documenti per il suo rilascio. Non sappiamo però quanto ci vorrà”, ha fatto sapere il 23 aprile alle 14:30 su Twitter il giovane scrittore egiziano Muhammed Aladdin, nel tentativo di calmare gli animi.
Ci è voluto un pomeriggio intero prima del rilascio su cauzione, e solo in serata la notizia ha cominciato a circolare in rete.
“Magdy è fuori” ha scritto Susan Harris di Words Without Borders intorno alle 20:00, postando una foto in cui si distingue il volto del vignettista che, circondato da altri, fa il segno della vittoria.
E ancora “Magdy è libero, ma ha ancora bisogno di supporto contro le accuse false mosse contro di lui”, si legge in un altro post, pubblicato circa dieci minuti dopo.
In questi quattro giorni carichi di angoscia, molti hanno seguito la vicenda sui social network. Su Twitter è stato creato l’hashtag #freemagdy per aggiornare in tempo reale sulle condizioni del detenuto e diffondere la protesta contro il suo arresto.
Magdy El-Shafee, vignettista egiziano, è finito in manette venerdì scorso mentre passeggiava in piazza Abdel Moneim Riyad, una zona centrale del Cairo, ignaro di quello che stava per accadergli.
Lì vicino si stava svolgendo una manifestazione organizzata dalla Fratellanza Musulmana per chiedere una “riforma radicale della magistratura” e all’improvviso sono scoppiati dei tafferugli.
Secondo varie ricostruzioni, il vignettista è intervenuto per cercare di placare gli animi degli astanti ma le forze di sicurezza non hanno fatto distinzioni, arrestando lui e altre 39 persone (inclusi due cittadini stranieri e alcuni minorenni). Magdy non avrebbe opposto alcuna resistenza, ma nonostante questo sarebbe stato malmenato dagli agenti.
Dopo l’arresto, la polizia l’ha trasferito nella centrale di Qasr al-Nil per interrogarlo e infine è stato portato nella prigione di Tora.
Contro di lui le autorità hanno costruito un impianto accusatorio particolarmente grave: partecipazione alla manifestazione, minaccia dell’uso della forza, acquisto di una pistola senza autorizzazione, detenzione di armi da fuoco e munizioni, oltre al tentato omicidio di tre poliziotti, l’assalto a pubblico ufficiale e la distruzione di strutture pubbliche e private.
“Le politiche securitarie sotto Morsi sono le stesse di quelle dell’era Mubarak, se non peggio”, ha scritto il giornalista Amr Ezz El-Din su El-Watan commentando l’arresto del vignettista.
“Dopo la rivoluzione tutto è rimasto invariato, l’unico vero cambiamento è stato il passaggio ad un regime retto dai civili, ma le forze di sicurezza sono ancora al servizio del sistema politico, preferendolo di gran lunga al popolo egiziano”, ha dichiarato in un’intervista televisiva la moglie di Magdy, chiudendo il suo intervento con un appello all’imparzialità e alla correttezza della magistratura.
All’epoca di Mubarak, nel 2008, il vignettista era già finito nella mani del sistema giudiziario con l’accusa di “oltraggio alla morale pubblica” per il suo lavoro: “Metro”, la prima graphic novel egiziana che si rivelò perfetta immagine della dilagante corruzione nel paese.
In quell’occasione venne arrestato e processato insieme al suo editore e infine condannato a pagare una multa di 5.000 sterline egiziane.
Ufficialmente Magdy El-Shafee è stato arrestato perché scambiato per un criminale dalle forze dell’ordine: in questo senso la sua storia riflette gli abusi di cui sono vittima i cittadini egiziani da parte della polizia.
Tuttavia, il suo caso rappresenta anche la storia di un uomo conosciuto all’estero che può godere dell’appoggio e della mobilitazione di tanti giornalisti, scrittori e artisti.
Il suo arresto è in parte dimostrazione di quanto poco sia cambiato il ruolo e il modus operandi delle forze dell’ordine nell’Egitto post-Mubarak, senza dimenticare come proprio la brutalità della polizia di Mubarak sia stata fra i motivi principali della rivolta del gennaio 2011.
Nel corso degli ultimi due anni, polizia e militari hanno continuato a rendersi complici di molti abusi e atti di violenza contro i cittadini, come documentato anche dall’ultimo leak pubblicato dal Guardian.
Basti pensare che la stragrande maggioranza dei responsabili della morte di almeno 846 manifestanti è ancora a piede libero, e solo 4 dei 36 processi contro agenti di basso e medio rango accusati di aver provocato vittime nei pressi delle centrali di polizia si sono conclusi con una sentenza di condanna.
“Stiamo assistendo a nuovi casi di tortura e uso eccessivo della forza (…) senza che il governo si assuma alcuna responsabilità o abbia la volontà politica per fare delle riforme serie del settore della sicurezza. (In questo modo) la speranza di porre fine agli abusi è minima” ha dichiarato Nadim Houry, direttore di Human Rights Watch Egitto.
(Foto edizioni Il Sirente)
24 aprile 2013
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