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Egitto. Il governo ad interim si muove dietro le quinte

Da alcuni mesi diversi partiti politici ed altrettante Ong stanno tentando di portare l’attenzione sull’operato del governo ad interim. Le denunce si susseguono numerose, ma il loro seguito mediatico raramente è proporzionato. 

 

 

 

La “nuova” legge anti-terrorismo

Da luglio scorso sono stati numerosi gli appelli da parte di organizzazioni che si occupano di monitorare il rispetto dei diritti umani per sensibilizzare l’attenzione pubblica e le forze politiche sull’operato del Generale al-Sisi.

Basti pensare al caso della legge sulla limitazione della libertà di dimostrazione – definita dalla Egyptian Organization for Human Rights un “pericoloso regresso in materia di diritti umani” – o di quella che condanna pesantemente la produzione di graffiti (da ricordare l’importanza fondamentale della street art nelle proteste giovanili degli ultimi anni). Nei confonti di queste proposte di legge avanzate, le critiche da parte delle organizzazioni si stanno moltiplicando. 

L’ultimo campanello d’allarme è suonato giovedì scorso, quando un gruppo di venti organizzazioni egiziane ed internazionali ha rilasciato un comunicato riguardante la recente bozza di legge anti-terrorismo promulgata dal ministero degli Interni, accusandola di rappresentare  una chiara violazione dei diritti umani e una pericolosa arma politica che potrebbe riportare il paese verso quello Stato di polizia tipico dell’era Mubarak.

A causa di questa proposta di legge, non ancora approvata dal majlis al-wuzara (il Cabinet del governo), l’esecutivo è accusato di disporre di un’interpretazione talmente ampia del concetto di “terrorismo” da poter portare avanti politiche persecutorie nei confronti degli avversari politici, limitandone la libertà di espressione e disponendone l’arresto senza seguire le regolari procedure.

La condanna di queste Ong, tra cui l’Arabic Network for Human Rights e il Cairo Institutes for Human Rights Studies, non solo non è nuova ma è la riproposizione quasi letterale di una campagna che era terminata nel 2010 con la pubblicazione di un report dell’International Federation for Human Rights (FIDH) nel quale si contestava la legge in materia di misure anti-terroristiche emanata sotto la presidenza Mubārak nel 1992.

Proteste che erano state avanzate anche dal Relatore Speciale delle Nazione Unite per la promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali che aveva redarguito la Repubblica araba di non adempiere ai doveri imposti dalla sottoscrizione dei trattati internazionali in termini di diritti umani.

 

I punti critici della bozza

Sostanzialmente, le accuse del Relatore Speciale e delle Ong sono di tentare di restaurare le misure repressive tipiche dell’era Mubarak, autorizzando poteri speciali al di fuori della rule of law, senza per altro adottare quelle riforme sociali ed economiche ritenute necessarie per combattere più efficacemente il fenomeno del terrorismo. Nel dettaglio, la proposta di legge contestata vìola numerosi princìpi fondamentali.

Innanzitutto le definizioni usate per “terrorismo” e “atti terroristici” sarebbero così ampie e definite con forme tanto vaghe da rappresentare una comoda arma repressiva nelle mani di chi detiene il potere e una possibile minaccia per i gruppi o i partiti all’opposizione.

L’articolo 13 in particolare rappresenterebbe lo strumento vero e proprio tramite il quale colpire i leader di partiti o movimenti che intentino delle revisioni all’ordine costituito, non necessariamente legati a intenti e pratiche terroristiche: una severissima pena detentiva, non commisurata al reato commesso, resa possibile dalla giustificante del “terrorismo”. 

Nella bozza è prevista la pena di morte per tutti quegli atti che producano il decesso di individui, senza valutarne le intenzioni o le modalità, rendendo la pena contraria ai più basilari diritti umani.

Ancor di più, vi sarebbe una misura proposta nella bozza di legge, l’articolo 40, che prevede la formazione di un organo specifico chiamato a giudicare coloro che, anche in passato, sono stati accusati di “atti terroristici”. Le organizzazioni firmatarie della denuncia hanno ribadito fermamente che questa è una chiara violazione non solo del principio di uguaglianza davanti alla legge, ma anche un ingiustificato intervento dell’esecutivo in materia giudiziale. 

Infine, nella proposta di legge l’unico intento concreto sarebbe quello di criminalizzare chi si oppone alla gestione governativa, anche chi con la categoria di “terrorista” non ha nulla a che vedere.

Nessuna proposta costruttiva in termini di politiche sociali ed economiche sarebbe invece stata avanzata (nemmeno per la delicata situazione del Sinai), dimostrando così come la lotta al terrorismo di questo governo non differisca per nulla dalla sterile gestione pre-rivoluzionaria che era più interessata a tenere a bada avversari politici. 

La creazione dei meccanismi extra-ordinari previsti dalla legge emanata dal ministero non solo sarebbe inefficace, ma risulterebbe dannosa sia per la deriva che rischia di trascinare l’Egitto in scenari politici già tristemente noti, sia perché in realtà non sarebbe di nessuna utilità per la lotta al terrorismo.   

Sembrerebbe, insomma che questa proposta di legge sia nuova solo per nome e numero ma che riprenda in tutto e per tutto lo schema di quelle leggi (in particolare la n. 97 del 1992) in vigore nel passato, che rendevano possibile quello Stato di polizia che gli egiziani, scendendo in piazza all’inizio del 2011, si sono battuti per abolire.

Se questa normativa trovasse spazio nella nuova Costituzione – sostiene ancora il comunicato – il governo avrebbe la possibilità di riportare il paese a un police state, limitando le libertà personali e ostracizzando anche le opposizioni legittime. Dopo due anni di rivoluzione e di richieste di libertà, dialogare di queste questioni dovrebbe essere una priorità dell’intera società civile egiziana.

 

*Foto Thierry Ehrmann via Flickr in CC

November 13, 2013di: Matteo Gramaglia Egitto,Articoli Correlati: 

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