“Vietato l’ingresso a Fratelli Musulmani, feloul e militari”. Così recitava uno striscione mostrato ieri a Tahrir. Nell’anniversario degli scontri di Muhammad Mahmoud, l’Egitto mostra le ferite di due anni di “rivoluzione”.
“First they run over you, then they shoot you, then they blind you, and if you win, they build a memorial monument to commemorate the ones they killed”. (Mariam Kirollos)
Un memoriale costruito ed inaugurato con tanto di banda e rappresentanze ufficiali, governative, per ricordare i martiri della rivoluzione egiziana. Il governo in carica è stato chiaro: quei martiri fanno parte della nostra storia recente. Peccato, fanno notare alcuni attivisti, che quei martiri siano stati uccisi dai militari e dalla polizia, da quella stessa classe dirigente, sostengono altri, che oggi è al potere.
“Questa è la nostra rivoluzione”, sostiene su Facebook l’attivista Gigi Ibrahim, “e nessuno ce la ruberà”. Del resto per alcuni sembra di rivedere un film già visto l’anno scorso con i Fratelli Musulmani.
I temi, le rivendicazioni, la memoria di Piazza Tahrir depredata da chi in Piazza Tahrir non ci è mai stato.
Per questo il sito internet Mada Masr ritiene che oggi in Egitto sia in corso una battaglia per la memoria.
Per questo motivo il governo ha deciso di inaugurare il memoriale per i martiri della rivoluzione il 18 novembre, e per lo stesso motivo nella serata di ieri centinaia di manifestanti proprio sotto quel monumento si sono riuniti ed hanno deciso di “vandalizzarlo”, se atto da vandali può essere considerato quello di riappropriarsi della propria memoria.
Gli egiziani che ieri sera erano a Tahrir hanno voluto mettere un punto fermo nella storia del loro paese: la memoria non si baratta. Nessuno vuole dimenticare i tanti amici, compagni, conoscenti e manifestanti che in questi due anni hanno perduto chi un occhio, chi un arto, chi la vita.
E, purtroppo, non sembra essere finita qui.
In queste ore a Piazza Tahrir si consuma quella che potrà essere ricordata come una nuova battaglia tra manifestanti e ancien regime.
Ieri erano i sostenitori di Mubarak a caricare i manifestanti assembrati nella piazza. Oggi sono invece i sostenitori di al-Sisi che si scontrano con quelli che su Twitter sono identificati come “i sostenitori di Muhammad Mahmoud”, e che stanno cercando di occupare Tahrir in segno di protesta.
Altri scontri, altri feriti e forse, tra qualche ora, altri morti.
Del resto nei giorni scorsi l’esercito era stato chiaro: non permetteremo ai violenti di infangare la giornata per il ricordo dei morti di Shera’a Muhammad Mahmoud. Peccato, sostengono i “violenti” manifestanti di oggi, che quei morti il 19 novembre 2011 li abbia causati proprio l’esercito.
Non si tratta di due versioni che raccontano la stessa storia da punti differenti: c’è una parte che racconta ed un’altra che ricorda.
Le immagini video del resto sono chiare ed inequivocabili.
Anche i Fratelli Musulmani sono scesi in piazza oggi. Non a Tahrir ma in altre città dell’Egitto. A Minya ad esempio, dove l’immagine del presidente Morsi campeggia alta sopra le teste dei manifestanti. Fuori dall’università del Cairo, dove molti studenti si sono riuniti “contro il colpo di Stato e nel ricordo di Muhammad Mahmoud”.
Nelle strade egiziane troviamo Fratelli Musulmani che protestano contro i militari ma, teoricamente, al fianco delle rivendicazioni degli attuali occupanti di Piazza Tahrir. I quali, a loro volta, per affermare la paternità del processo rivoluzionario, hanno nuovamente occupato la centrale piazza cairota. Piazza che però ospita anche alcuni aficionados dell’attuale uomo forte del paese, il generale al-Sisi, riuniti intorno al memoriale distrutto ieri notte da quelli che oggi occupano la piazza.
Quasi ovvio che la gente comune sia confusa, come del resto testimoniano i tweet della giornalista Bel Trew (@Beltrew), direttamente dal centro della capitale egiziana. Secondo la sua esperienza, pare che molta gente osservando i manifestanti si sia chiesta: ma sono Fratelli Musulmani o sostenitori di al-Sisi?
L’attuale confusione non può che giovare a chi in questo momento è al potere, o a chi, teoricamente, si interpone fra i manifestanti e prova a ristabilire la calma. Sono quegli stessi soggetti che domani potranno presentarsi come garanti della stabilità della nazione agli occhi di una popolazione confusa e stanca.
Talmente stanca da non riuscire nemmeno più a distinguere tra sostenitori di al-Sisi e Fratellanza.
Ancora una volta sembra di osservare un caos controllato in cui il tutti contro tutti finisce con il logorare le teoriche forze di opposizione. Forse chi è al potere ha imparato – del resto sulla propria pelle – che un fronte di opposizione, per quanto variegato e multiforme, può unirsi e cementarsi per raggiungere un unico obiettivo.
Meglio dunque frammentarlo, spezzettarlo, ridurlo in tante piccole opposizioni. Perché Tamarrod avrebbe dovuto altrimenti rifiutare di partecipare alla odierna giornata di commemorazione? Il comunicato ufficiale, riportato anche da Aswat Masriyya e secondo il quale il movimento avrebbe rifiutato di manifestare oggi per non prestare il fianco ai “membri della terrorista Fratellanza Musulmana che andranno armati a piazza Tahrir, fingendo di essere rivoluzionari”, non convince del tutto.
Forse è più convincente ricordare che recentemente Tamarrod ha sostenuto la candidatura alle prossime presidenziali di al-Sisi ponendo dunque un problema logistico al movimento: fosse sceso in piazza oggi su quale fronte si sarebbe schierato? Quello dei sostenitori dei militari oppure quello dei “rivoluzionari”?
Meglio non rischiare ulteriori confusioni e rimanere a casa.
Così come del resto a casa sono rimasti migliaia, se non milioni, di egiziani. Paura? No, forse solo stanchezza, disorientamento.
Forse i media stanno lavorando bene al servizio del potere (oggi la pagina online di al-Ahram in inglese ha dedicato moltissimo spazio all’esplosione di una autobomba a Beirut coprendo con ritardo le manifestazioni di piazza Tahrir).
Forse la voglia di tornare alla “normalità” (in attesa, ancora, di definire cosa sia o non sia normale in questo momento in Egitto) è troppo grande rispetto alla necessità di continuare la rivoluzione. Forse la memoria egiziana non è breve, ma solo parziale.
Quello che è certo è che per osservare il completamento del processo rivoluzionario, ammesso che sia ancora in atto, di tempo ne dovrà trascorrere ancora molto.
*Foto Marfilynegro via Flickr in CC.
November 19, 2013di: Marco Di DonatoEgitto,Articoli Correlati:
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