“Tamarud”, la campagna per sfiduciare il presidente Morsi, sbarca in Gran Bretagna. Ma guardando a Piazza Tahrir, dove il 30 giugno è prevista la ‘grande manifestazione’ degli oppositori al governo guidato dalla Fratellanza Musulmana.
In uno shisha bar di un quartiere occidentale di Londra non lontano da EdgwareRoad, cuore pulsante della comunità araba, l’odore del tabacco profumato punge le narici. E’ qui che un piccolo gruppo di attivisti della campagna “Tamarud UK” (Ribellione) s’incontra per fare il punto della situazione e contare le adesioni raccolte.
L’iniziativa, lanciata in Egitto ad aprile scorso, si prefigge di raccogliere le firme di 15 milioni di egiziani (contro i 13 milioni che votarono per Morsi alla seconda tornata elettorale), con lo scopo di sfiduciare l’attuale presidente e convocare elezioni presidenziali anticipate.
Nonostante sia possibile firmare la petizione anche online, un piccolo gruppo di attivisti coordinati dall’imprenditore trentanovenne Hany Ishak, ha deciso di portare la campagna – e il dibattito – sulle strade della capitale e di altre città della Gran Bretagna, come Cambridge e Manchester.
“Quello che facciamo è semplice: si tratta di andare di porta in porta. Per esempio, conosciamo benissimo questa zona e sappiamo quali sono i luoghi in cui si ritrovano i nostri connazionali. Entriamo in chiese, moschee, agenzie di viaggi” racconta Ishak, che si identifica con il Movimento 6 Aprile, precisando però che “Tamarud” non ha esplicite affiliazioni politiche.
La campagna è stata fondata da un gruppo di attivisti appartenenti a Kefaya e a Corrente Popolare, ed è stata in seguito appoggiata da forze politiche come il Fronte di salvezza nazionale, coalizione di ispirazione liberale guidata da Mohamed El Baradei.
Sana Amin, 22 anni e studentessa di Scienze attuariali a Leeds, affronta settimanalmente il viaggio in treno per la capitale per aiutare nella campagna. Il lavoro, spiega Sana, computer portatile alla mano – non finisce una volta persuasa la persona a firmare la petizione.
“Raccogliamo le firme, compiliamo i dati e ci assicuriamo che sia tutto in ordine, soprattutto che il numero della carta d’identità sembri corretto, di 14 numeri. Mentre in Egitto è obbligatorio avere sempre con sé la carta d’identità, qui non tutti l’hanno a portata di mano al momento di firmare. Prendiamo dunque il loro numero di telefono, gli mandiamo un sms, loro ci mandano il numero e noi compiliamo la lista”.
“Una petizione – prosegue – è uno strumento particolarmente democratico per esprimere un’opinione. Siamo contro il regime attuale perché crediamo che gli obiettivi della rivoluzione del 2011 non siano stati raggiunti. L’economia è in scompiglio. La criminalità, i casi di molestie sessuali e quelli di detenzione illegale di attivisti anti-governativi sono aumentati a dismisura. Lo scopo principale della campagna è di esprimere un’opinione: che non ci sentiamo rappresentati da questo governo”.
Il presidente Morsi ha definito l’iniziativa priva di legittimità costituzionale, mentre il leader di Al-Gamaa Al-Islamiya, Assem Abdel Maged, ha lanciato una contro-campagna pro-Morsi chiamata “Tagarud” (Imparzialità).
Secondo Ishak, il vero scopo della campagna è di riportare il dibattito – e gli egiziani – in piazza il 30 giugno, giorno della grande manifestazione che si terrà a Tahrir. E nel caso degli egiziani residenti all’estero, di mostrare solidarietà ai connazionali in patria. “Ho seguito l’iniziativa attraverso i social media da quando fu lanciata ad aprile, e volevo fare qualcosa per l’Egitto e per la mia famiglia”, dice Rola Hafez, casalinga di 33 anni, anche lei impegnata nella raccolta adesioni. Una manifestazione è prevista anche davanti all’ambasciata egiziana a Londra.
“Firmerò la petizione perché la democrazia non si ferma con le elezioni” dichiara Mohamed Abdelghani, consulente psichiatra di 34 anni, ricordando l’energia di Tahrir, dove si trovava nel 2011.
“Non è democrazia scegliere un presidente e poi lasciare che faccia del paese ciò che vuole. Non chiediamo molto: vogliamo elezioni presidenziali anticipate. Non si può ignorare la volontà di 15 milioni di egiziani”.
E aggiunge: “Per me il 30 giugno segnerà l’inizio di una fase. Certo, la giornata è oggetto di tanta speculazione, ma quello di cui sono certo è che milioni di persone scenderanno in piazza, determinate a restarci fino a quando le richieste della rivoluzione del 25 gennaio non saranno ascoltate, fino a quando non avremo un governo che rispetti i diritti umani e la libertà di tutti gli egiziani”.
Fadi George, giovane ingegnere di 33 anni e co-fondatore del gruppo United Egyptians, un’organizzazione di cittadini egiziani in Gran Bretagna nata dopo il 2011 in sostegno della rivoluzione, spiega così i motivi che hanno portato il gruppo a sostenere la campagna: “La gente aveva iniziato a sentirsi di nuovo come ai tempi di Mubarak , tutto l’ottimismo post-rivoluzione era sparito. Con ‘Tamarud’, si è tornati a sperare. Questo è il suo punto di forza: la campagna è riuscita dove i movimenti politici hanno fallito: nell’unire di nuovo le persone, per la prima volta dal 2011”.
Rimane da vedere che ruolo ricopriranno i sostenitori del vecchio regime, quelli che alle scorse elezioni presidenziali avevano espresso la preferenza per l’ex primo ministro Ahmed Shafiq, che si è dichiarato a sostegno dell’iniziativa.
“Ogni egiziano ha diritto, come cittadino, di esprimere il suo pensiero, le sue aspirazioni e le sue richieste”, afferma Abdelghani. “Ma non lasceremo che esponenti di spicco del vecchio regime, o persone con stretti legami, prendano le redini di quest’ondata rivoluzionaria. Se vogliono partecipare alle proteste o a qualcuna delle iniziative, non sta a noi bloccarli perché è loro diritto in quanto cittadini egiziani; non siamo nella posizione di impartire moralismi. Chiunque è il benvenuto, purché abbia a cuore le richieste della rivoluzione. Quelle del famoso slogan: libertà, pane e giustizia”.
June 25, 2013di: Ylenia Gostoli da Londra Egitto,
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