Egitto. La ‘transizione’ secondo Twitter

Dal 30 giugno scorso, i riflettori dei media internazionali sono tutti puntati sul Cairo. Ma cosa dicono davvero i blogger e i giornalisti egiziani? 

 

Il 4 luglio, il giorno dopo la deposizione dell’ex presidente Morsi, il giornalista Hossam Al-Hamalawi twittava: “Nei prossimi giorni sarà necessario camminare in punta dei piedi. Ci troviamo nella stessa situazione in cui ci trovammo nel febbraio del 2011, ma siamo meno euforici, appesantiti dalle preoccupazioni per il futuro”.

Il giorno successivo, quando ormai la violenza fra sostenitori e oppositori di Morsi deflagrava in tutto il paese, l’attivista Rawah Badrawi scriveva: “Tutti devono andare a casa, qualsiasi cosa succeda stanotte è una trappola”.

Poco prima invece, la blogger Zeinobia chiosava: “In conclusione, è finita egiziani contro egiziani, grazie Morsi!”.

Con soli 140 caratteri a disposizione, giovani operatori dell’informazione o semplici attivisti continuano a raccontare la transizione politica minuto per minuto, a colpi di cinguettii, video e foto. Un flusso di notizie ininterrotto che però resta difficile da verificare perché, come ha scritto la stessa blogger Gigi Ibrahim due giorni fa,: “Nessuno sa cosa sta succedendo…troppe voci di corridoio e troppi report non confermati”.

Non a caso a questo proprosito, Quinta Smith ed Eline Kasanwidjojo (ricercatrici dell’Arab West Report) affermano: “Oggi seguire i media ci ha fatto impazzire. Troppi rumors che vengono presentati come fatti. La televisione statale non sta mostrando le proteste pro-Morsi e […] chi fa informazione cerca di polarizzare ulteriormente il paese. […] nell’attuale lotta per il potere, il peso dei media non deve essere sottovalutato. Sono loro a controllare e influenzare l’operato di milioni di persone”. 

Ma non è solo la cronaca a trovare spazio in rete. Sul web si aprono vere e proprie discussioni come quelle sulla natura dell’attuale transizione e sul fenomeno degli stupri di gruppo.

 

Inqilab au iradat al-shaab? Colpo di stato o volontà popolare?

“Certamente si è trattato di un colpo di Stato militare, ma non solo di quello. E’ stato un colpo di Stato accompagnato da una rivolta popolare”, ha twittato Rawya Rageh, giornalista di Al-Jazeera al Cairo, lanciando in rete la prima, nonché fondamentale, questione che ha animato molti dibattiti del post-Morsi.

E se sulla stessa linea Hossam al-Hamalawi spiega: “L’esercito non avrebbe osato intervenire se 30 milioni di egiziani non fossero scesi in piazza a protestare per chiedere la deposizione di Morsi”, d’altro canto Jamal Elshayyal ricorda le ragioni dello schieramento pro-Morsi, sottolineando che “in Egitto, i supporter dei Fratelli Musulmani continuano a tenere in alto gli striscioni con la scritta ‘Dov’è il mio voto?'”.

Anche tra i blogger egiziani più famosi non sembra esserci accordo sulla natura e direzione dell’attuale transizione politica. Mentre Zeinobia parla infatti di “colpo di Stato legittimo”, una ‘firma’ del web come Wael Abbas mostra molta meno fiducia nei confronti dell’operato dell’esercito, con Khaled Shaalan che su Jadiliyya accusa invece i media occidentali di fornire una lettura distorta degli avvenimenti egiziani, calcando la mano sull’idea di una polarizzazione della società civile ed etichettando la deposizione di Morsi come un colpo di Stato tout court.

Una polemica che è rimbalzata anche su Twitter dove, in un post indirizzato alla CNN, la blogger Gigi Ibrahim sentenzia: “Questo non è un coup, è la nostra rivoluzione”.

 

Se dalle violenze sessuali ci si difende con un tweet

Il web non sembra ignorare neanche l’esplosione del fenomeno delle violenze sessuali contro le manifestanti: in un tweet datato 5 luglio l’attivista Mariam Kirollos dichiarava: “Sapete cos’è ancora più doloroso della violenza di genere e degli stupri di Tahrir? Il fatto che ci siano persone che neghino che questi fatti siano avvenuti”.

Ieri invece, in un post genericamente indirizzato ai manifestanti anti-Morsi, la giornalista Amira Salah-Ahmed scriveva: “Sapete di cos’altro ha bisogno la vostra rabbia? Degli attacchi sessuali di gruppo e degli incidenti di stupro che avvengono mentre voi guardate i bei fuochi di artificio di Tahrir. Svegliatevi!”.

 

Molte critiche degli attivisti sono indirizzate contro i partiti politici che hanno organizzato le proteste. In un post di domenica, il ricercatore H.A. Heller accusava: “Vergogna per tutte quelle forze politiche che hanno ispirato le manifestazioni ma non hanno fornito un supporto totale all’Operation Anti-Sexual Harassment per proteggere le donne dalla violenza sessuale”.

Tante anche le associazioni nate proprio per combattere questo fenomeno e che usano la rete per coordinare le loro attività, avvertire di potenziali pericoli e diramare comunicati importanti sulla situazione di Piazza Tahrir.

In conclusione, anche se spesso appare più che difficile verificare le informazioni che circolano sul web, i social media si confermano uno specchio importante per leggere l’attuale società civile egiziana: plurale, frammentata ma soprattutto in perenne fermento e sempre pronta al dibattito. E in una transizione fluida come questa, la rete e la diffusione del citizen journalism sembrano davvero essenziali per poter osservare quanto accade al di là della riva sud del Mediterraneo.

 

 

July 08, 2013di: Valentina MarconiEgitto,Articoli Correlati: 

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