La violenza di genere continua ad essere una pratica socialmente accettata che rappresenta un filo rosso capace di attraversare epoche, culture e Stati. E’ così in Egitto, dove le cose stanno cambiando grazie al lavoro dei gruppi volontari nati in questi anni, che insistono: la Storia appartiene anche alle donne.
Lo scorso settembre, la sedicenne Eman Mustafa stava camminando con un’amica nel villaggio di Arab Al Kablat ad Assiut, quando un uomo le ha palpeggiato il seno. La ragazza si è girata verso di lui e gli ha sputato in faccia. Lui l’ha uccisa con un colpo di fucile, facendole pagare a caro prezzo il suo coraggio.
La morte di Eman Mustafa ha aperto gli occhi a tutti quelli che affermano che la violenza sessuale è un problema confinato alle città. Grazie al lavoro delle organizzazioni per i diritti umani e ai gruppi di attivisti, l’assassino della giovane è stato condannato all’ergastolo lo scorso giugno.
La violenza di genere continua ad essere una pratica socialmente accettata – quando non la norma – che rappresenta un filo rosso capace di attraversare epoche, culture e Stati. Sia in campo politico sia a livello di consapevolezza sociale, abbiamo fallito nell’affrontare questo argomento con il dovuto rigore. Di conseguenza, assistiamo a un’escalation in termini di brutalità.
In Egitto, le molestie sessuali sono molto diffuse e toccano la vita della maggioranza delle donne, in strada, sui mezzi di trasporto pubblico, al supermercato, sul posto di lavoro o durante le manifestazioni. Anche se tuttora manca una definizione chiara del fenomeno, nella prassi non è difficile identificare cosa si intenda per ‘violazioni sessuali’, sia verbali che fisiche.
Molti egiziani, donne incluse, non hanno le idee chiare su cosa possa costituire una molestia. Altri, sfortunatamente, non si pongono neanche il problema. Una cosa è chiara però: i governi che si sono succeduti negli ultimi trent’anni si sono limitati a dichiarazioni di rammarico e promesse non mantenute.
La parola taharrush (molestia) rappresenta un termine relativamente nuovo nel lessico quotidiano. Fino a poco tempo fa, le molestie sessuali erano definite mu’aksa (flirt). E’ quindi la lingua stessa a svelare i molteplici stadi del rifiuto, della misoginia e della violenza che gli egiziani devono affrontare quando hanno a che fare con questo fenomeno.
Oltre allo stupro e all’aggressione fisica, c’è un vasto spettro di atti – tra cui gli appellativi non graditi, il palpeggiamento e le situazioni in cui le donne sono travolte da inviti sessuali – che normalizzano la violenza e l’odio contro le donne, che devono diventare socialmente inaccettabili.
Nonostante Eman Mustafa fosse una giovane velata di un villaggio, uno degli argomenti chiave utilizzati per colpevolizzare le vittime – pratica comune nel dibattito quotidiano – è la diffusa e volgare percezione che la molestia sessuale avvenga quando una donna è vestita in maniera provocante. In realtà, la sola cosa che gli egiziani vittime di molestie sessuali hanno in comune è che nel 99% dei casi si tratta di donne.
Negli ultimi dieci anni, in Egitto si è lavorato duramente per diffondere una nuova consapevolezza sociale e legale della violenza sessuale e delle molestie. Nel 2005, l’Egyptian Center for Women’sRights ha lanciato la campagna “Strade Sicure per Tutti”, un’iniziativa per combattere le molestie. Nel 2008, più di sedici organizzazioni per i diritti umani e gruppi indipendenti hanno formato la “Task Force contro la Violenza Sessuale” che, nel 2010, ha ideato una proposta di legge volta a modificare gli articoli del Codice penale sulla violenza di genere.
Quest’anno, inoltre, l’iniziativa su base volontaria Harassmap ha creato un nuovo programma informatico gratuito che permette di ricevere ed inviare sms anonimi di denuncia e convertirli in un sistema di mappatura della città. La sua missione è rendere socialmente inaccettabile la violenza di genere.
Nel corso degli ultimi due anni, gli attivisti hanno dato vita a molti altri movimenti indipendenti e gruppi on-line che accrescono la consapevolezza e forniscono alle donne gli strumenti necessari per lottare contro la violenza di genere e denunciarla attraverso la condivisone di testimonianze e idee. In seguito alla morte di Eman Mustafa lo scorso settembre, alcune proteste contro le molestie sessuali sono state organizzate presso l’università di Assiut per condannare l’assassinio di questa ragazza che ha combattuto per i propri diritti e la sua integrità fisica.
Le donne che sono state vittime di episodi sono spesso riluttanti a raccontare le loro storie, temendo rappresaglie e l’orribile etichetta di ‘provocatrici’. Eppure, se un cambiamento di rilievo nella lotta contro le molestie sessuali in Egitto si è verificato, è quello rappresentato dal numero crescente di vittime che decidono di raccontare pubblicamente quanto accaduto, denunciando i loro aggressori.
Un altro importante sviluppo è dato dai nuovi gruppi di volontari che combattono la violenza sessuale sul campo in tutto il paese. Nel 2010, ad Harassmap è stato chiesto di estendere le sue attività ad Alessandria, Daqahliya e Minya e quest’anno è diventato operativo anche in 16 nuovi governatorati fuori dal Cairo. Con l’aiuto di oltre 700 volontari in tutto l’Egitto, l’iniziativa sta raggiungendo anche le comunità rurali per combattere la pratica dell’accettazione sociale delle molestie.
Risale al giugno del 2008 la vicenda di Noha al-Ostaz, vittima di aggressione sessuale per le strade del Cairo che, non volendo ignorare il comportamento del colpevole, con l’aiuto di un’amica e di un passante, è riuscita a portarlo in una stazione di polizia e a sporgere denuncia.
Tre mesi dopo e, per la prima volta in Egitto, l’uomo è stato condannato a tre anni di prigione con l’accusa di molestie sessuali. Al-Ostaz ha aperto la strada per altre donne affinché reclamino i loro diritti. La sua storia ha dato il coraggio di denunciare a moltissime altre vittime.
Gli attacchi di gruppo a sfondo sessuale non sono un fenomeno nuovo in Egitto. Durante le festività religiose seguite al Ramadan, nel 2006, alcuni blogger egiziani denunciarono (per la prima volta, ndt) alcuni episodi di aggressioni di gruppo nel centro del Cairo. Un tipo di crimine, questo, che continua a verificarsi negli spazi pubblici in modo particolare durante le festività, e più recentemente nel corso di manifestazioni e proteste (…).
L’uso della violenza sessuale come strumento politico contro le donne nel corso di manifestazioni e proteste risale al 25 maggio 2005, una giornata ricordata come “mercoledì nero”.
Fu in quella occasione che alcune manifestanti, nel corso di una protesta contro gli emendamenti costituzionali che avrebbero permesso a Gamal Mubarak (figlio di Hosni Mubarak, ndt) di ereditare la presidenza, furono prese di mira e assalite sessualmente da poliziotti in borghese e delinquenti sostenitori del regime.
Il procuratore a cui venne affidato questo caso decise di non dargli seguito a livello giudiziario. Tuttavia l’anno seguente, quattro giornaliste presentarono un reclamo formale alla Commissione africana per i diritti umani con l’aiuto dell’Egyptian Initiative for personal rights.
Dopo quasi otto anni d’indagini, la Commissione ha emesso il suo verdetto, accusando il governo egiziano per l’incidente. Ha inoltre richiesto un compenso in denaro per le vittime e l’apertura di una nuova indagine da parte della Procura. Una decisione che ha rappresentato un passo avanti positivo per il movimento egiziano contro la violenza di genere.
Dopo la destituzione di Mubarak l’11 febbraio 2011, i governi successivi sono stati corresponsabili della violenza sessuale compiuta contro le manifestanti, a cominciare dai test di verginità che i militari hanno compiuto su sette donne il 9 marzo del 2011, per arrivare fino ad oggi. In qualche modo è addirittura positivo che una giovane manifestante brutalmente picchiata dai militari nel dicembre 2011 fosse avvolta in una abaya (mantello lungo, ndt): la sua anonimità getta luce sul fatto che la violenza viene utilizzata contro qualunque dimostrante di sesso femminile (a prescindere dall’abbigliamento, ndt), portata avanti dallo Stato o coperta con la sua complicità.
Gli episodi di violenza denunciati alle organizzazioni per i diritti umani e ai gruppi contro le molestie sessuali è aumentata significativamente negli ultimi mesi, specialmente durante le proteste nei pressi di piazza Tahrir. L’impunità però prevale ancora.
L’1 febbraio 2013, Yasmine al Baramawy, un’eroina egiziana, coinvolta in una aggressione di gruppo nel novembre scorso, ha condiviso pubblicamente in televisione la sua terribile esperienza a piazza Tahrir. “Ogni volta che vedo Mohammed Mahmoud Street, stringo più forte la cintura dei pantaloni”, ha dichiarato. Per molte donne è divenuta un simbolo di resistenza e forza, non solo in Egitto ma in tutto il mondo.
La sua presa di posizione e la sua presenza alla protesta contro il terrorismo sessuale in Egitto che si è svolta il 12 febbraio 2013 continua ad essere ispirazione per le donne: per proseguire nella loro rivoluzione e combattere la marginalizzazione.
Il 25 gennaio di quest’anno, durante le manifestazioni a piazza Tahrir per commemorare il secondo anniversario dell’inizio della rivoluzione egiziana, Operation Anti-SexualHarassment/Assault (OpAntiSH) – un infaticabile gruppo di attivisti fondato nel novembre 2012 per intervenire in caso di assalti di gruppo durante le proteste, a cui sono orgogliosa di aver preso parte – ha documentato 19 casi di attacchi sessuali di gruppo, incluso quello di una donna stuprata con un oggetto appuntito.
Nel marzo del 2013, al Baramawy e altre sei donne hanno presentato un reclamo congiunto alla Procura relativo agli attacchi sessuali di cui erano state vittime. “I pubblici ministeri hanno aperto un’inchiesta e hanno ascoltato le testimonianze delle donne a marzo, ma l’indagine è ancora in corso e non ha portato all’apertura di un’inchiesta o alla pubblica accusa di nessuno degli aggressori”, ha dichiarato Human Rights Watch il 3 luglio scorso.
Nonostante una diffusa sfiducia nei confronti del sistema giudiziario, che solitamente ha tempi molto lunghi e non garantisce l’equo risultato dei procedimenti, molte donne continuano comunque ad utilizzare lo strumento legale contro i propri aggressori denunciandoli, con l’obiettivo di criminalizzare il loro comportamento non solo a livello giuridico, ma anche sociale.
Nell’aprile del 2013, Lyla El-Gueretly, è stata assalita verbalmente e fisicamente quando ha deciso di reagire alle molestie di cui era stata vittima, decidendo di portare avanti la denuncia nonostante gli ostacoli giuridici. Il 19 giugno scorso l’ho accompagnata alla Corte di Abdeen, al Cairo, dove è stata brevemente interrogata. Il suo assalitore, Ahmed Yousef, 37 anni, non si è presentato. Tuttavia l’avvocato di Lyla, alcune ore dopo, ci ha informate che era stato condannato in contumacia a tre mesi di reclusione. “Non male come inizio”, ha dichiarato El-Gueretly, che non nutriva speranze e fiducia nel sistema legale.
In questo senso la perseveranza delle donne nel presentare denunce e reclami è una forma di ribellione contro lo Stato, che sino ad oggi non è riuscito a riformare il settore giudiziario, ne’ a garantire loro sicurezza e protezione.
La risposta del governo a questi crimini è stata devastante su molti livelli. L’11 febbraio 2013, un membro della Commissione per i diritti umani del Consiglio della Shura ha incolpato le donne per il fatto di essere state aggredite a Tahrir. Più tardi, in aprile, insieme ad altri componenti della Commissione ha condannato la firma della dichiarazione delle Nazioni Unite per combattere ed eliminare tutte le forme di violenza contro le donne affermando che si tratta di apostasia.
L’ex-presidente Mohamed Morsi ha lanciato un’iniziativa a sostegno “dei diritti e delle libertà delle donne egiziane” nel marzo del 2013. Una campagna che ha prodotto pochi risultati concreti, tra cui la creazione di un’unità responsabile di affrontare i casi di aggressione presso il ministero dell’Interno, composta da ufficiali di polizia di sesso femminile qualificate.
Un altro risultato, per quanto tardivo, è stato la presentazione da parte del National Council for Women (Ncw) nel giugno scorso di una bozza di legge per l’eliminazione di tutte le forme di violenza contro le donne (…).
Dal 28 giugno al 7 luglio scorsi, durante le proteste che hanno portato alla destituzione di Morsi, Nazra for Feminist Studies e OpAntiAH hanno documentato un totale di almeno 186 casi che vanno dall’attacco sessuale di gruppo, allo stupro violento subìto da tre manifestanti. In base alla ricostruzione degli eventi si potrebbe supporre che si sia trattato di aggressioni premeditate. Testimoni e volontari, tuttavia, assicurano che alcuni passanti si siano uniti spontaneamente alle violenze in corso.
Invece di aprire un’indagine su questi crimini e di portare i colpevoli davanti alla giustizia, la presidenza precedente e il partito al potere li hanno utilizzati strumentalmente per discreditare l’immagine dell’opposizione.
Come d’altronde a loro volta hanno fatto anche alcuni membri dell’opposizione, accusando la presidenza e la Fratellanza Musulmana. Nessuna delle due parti ha solide prove, ed entrambe stanno strumentalizzando eventi ad alto tasso di brutalità per i propri interessi. Il partito Libertà e Giustizia è andato oltre: non si è limitato ad utilizzare il numero dei casi per le proprie contrattazioni politiche: ha anche apertamente violato l’etica dell’informazione pubblicando dettagli – sulla carta e online – di un’aggressione.
Questo uso senza ritegno dei corpi delle donne come terreno di scontro politico tratteggia una tendenza repellente, cui dobbiamo opporci in ogni modo.
I gruppi di volontari come Operation Anti-SexualHarassment/Assault, Tahrir Bodyguard e il Movimento contro le molestie sessuali (Didd al-Taharrush), composti da donne e uomini coraggiosi di età diverse, stanno cercando di rendere sicuri i luoghi delle proteste.
Stanno svolgendo il ruolo che sia il governo sia le forze politiche non hanno mai ricoperto.
Senza di loro, e il supporto di altre organizzazioni, sarebbe stato impossibile realizzare una stima del numero di assalti di gruppo che si sono verificati negli ultimi mesi. Forniscono alle donne i necessari strumenti di empowerment e incoraggiano la loro partecipazione alla rivoluzione in modi diversi, insistendo sul fatto che la Storia appartiene anche a loro.
Il governo provvisorio egiziano deve prendere misure serie per combattere le molestie sessuali.
Nel marzo del 2011 lo SCAF ha modificato gli articoli del Codice penale relativi alle violenze sessuali rendendo le condanne previste più severe. Un passo inutile se viene dato seguito solo raramente all’obbligo di rispondere davanti alle autorità per i colpevoli. Se anche il governo attuale trasformasse in legge la bozza proposta dal Ncw, senza una seria implementazione della normativa vigente resterà tutto sulla carta.
E’ necessaria una riforma radicale dei settori della giustizia, della polizia, del sistema educativo, sanitario e mediatico.
Un passo avanti essenziale e da compiere immediatamente potrebbe essere quello di installare sistemi luminosi tali da rendere più sicure le aree urbane. Le istituzioni religiose, inoltre, dovrebbero affrontare il tema delle molestie sessuali con le loro comunità.
La marginalizzazione e l’esclusione delle donne dalla sfera pubblica e politica aggraveranno il problema. Per adesso, possiamo solo sperare che il presidente ad interim non intenda limitare i diritti delle donne alla nomina di una consigliera per gli Affari di genere e di alcune ministre. I compartimenti della metropolitana per sole donne non proteggeranno mai dalle molestie sessuali: così come un sistema sociale dominato dagli uomini.
Per evitare tragedie come quella di Eman Mustafa, e per combattere tutti i crimini basati sul genere, l’Egitto ha bisogno di un movimento organizzato per lottare contro i meccanismi innescati da ideologie sessiste, razziste, classiste, nazionaliste e militariste che opprimono le donne.
La violenza contro le donne è un prodotto dell’ineguaglianza di genere che promuove ruoli sbilanciati e ritrae il corpo della donna come un oggetto.
Date tutte le ambiguità della battaglia in e per l’Egitto, un movimento femminile organizzato e indipendente può solo rafforzare la lotta per la democrazia, l’uguaglianza, la libertà, la pace e la giustizia.
In memoria di Eman Mustafa
(Traduzione a cura di Valentina Marconi. Per la versione originale di questo articolo, pubblicato su Jadaliyya, clicca qui)
Foto By Al Jazeera English (International women day in Egypt) [CC-BY-SA-2.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)], via Wikimedia Commons
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