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Egitto. L’anno che verrà

Prima il referendum costituzionale, poi le elezioni. Nel mezzo scontri di piazza fra sostenitori della Fratellanza e forze di sicurezza che lasciano sul terreno decine di morti. I problemi economici continuano ad affliggere il paese, la libertà di espressione è ridotta ai minimi termini, la paura spinge moltissimi ad emigrare. 

 

 

#Free Ala’a

I media internazionali si sono accorti dell’Egitto e della sua drammatica situazione quando Ala’a Abd El Fattah, uomo simbolo del 25 Gennaio 2011, è tornato per l’ennesima volta in prigione.

Oggi, tre anni dopo, la stampa torna a puntare i propri riflettori sull’Egitto perché il giudice ha emesso la propria sentenza: un anno di reclusione per Ala’a con pena sospesa. 

Il ritorno di Ala’a Abd el Fattah dietro le sbarre ha rappresentato per molti la materializzazione di un processo repressivo che in realtà affonda le sue radici ben prima della violenta irruzione nell’abitazione privata del giovane attivista egiziano.

A dicembre sono finiti in carcere Ahmed Maher, Ahmed Douma e Muhammad Adel, condannati a tre anni di galera ed una multa di 50 mila sterline egiziane. Il 2 gennaio scorso il quotidiano al-Ahram ha annunciato la condanna a due anni di reclusione e 50 mila euro di penale per Mahinour El-Masry, Hassan Mostafa, Moussa Hussein, Mohamed Abdel El-Salem ed Hassan El-Siyad, colpevoli di aver organizzato proteste non autorizzate durante il processo per la morte di Khaled Said. 

Il nuovo disegno di legge per impedire le proteste sta ottenendo i suoi primi, lugubri, risultati. E non sembra essere finita qui.

Altri attivisti – come Asmaa Mafhouz – stanno attualmente subendo una serie di indagini che potrebbero portare alla loro condanna. I morti ed i feriti durante le manifestazioni dei sostenitori della Fratellanza si aggiungono a questa lista degli orrori.

Solo nel primo venerdì del 2014 sono state uccise 13 persone e ferite altre 57.

Proteste hanno avuto luogo al Cairo, Ismailiyya, Fayyoum, Alessandria, Suez. In carcere, a fare compagnia ad Ala’a Abd el Fattah, sarebbero finite oltre duecento persone. Nemmeno i pupazzi sembrano essere più al sicuro, come dimostra la storia di Abla Fahita, famosa bambola accusata di mandare messaggi subliminali in favore dei Fratelli musulmani. 

 

Piccole aspettative

Il 2014 sembra essere partito decisamente con il piede sbagliato. Tra pupazzi, attivisti ed islamisti le galere egiziane scoppiano.

E’ in questo clima che il paese andrà al voto il 14 ed il 15 gennaio per accettare o meno i contenuti della nuova Costituzione.

L’affermazione del ‘sì’ sembra essere scontata, ma potrebbe essere una vittoria non indolore per i militari che in questi giorni stanno affrontando crescenti minacce dirette contro gli apparati di sicurezza nazionale. Tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio, alcuni ordigni esplosivi sono stati fatti detonare (ad esempio nei pressi di Nasr City) e molti altri sono stati invece neutralizzati dagli artificieri.

Facile pensare che in vista del referendum di metà gennaio la tensione salirà e con essa il numero di morti e feriti che quasi quotidianamente affollano gli obitori egiziani. Nemmeno chi prova a rinchiudersi nella sua vita privata, tentando di estraniarsi da quanto gli accade intorno – ammesso che sia possibile – riesce ad essere escluso dal clima di difficoltà e crisi che investe il paese.

Agli inizi di gennaio il Sindacato dei medici ha indetto uno sciopero nazionale cui hanno aderito l’80% dei camici bianchi presenti sul territorio nazionale. I tassisti si sono fermati a metà dicembre. Gli studenti universitari sono in costante mobilitazione: le immagini di violenza provenienti da al-Azhar hanno letteralmente fatto il giro del mondo.

Il turismo non è mai tornato ai livelli pre-rivoluzionari e, secondo analisti come Steven Cook, gli aiuti economici forniti in dose massiccia dai paesi del Golfo sono soltanto “una boccata d’aria momentanea” per la disastrosa economia locale. 

 

Torna la paura

Perché sorprendersi dunque se la gente torna ad avere paura, in un clima che molti definiscono persino peggiore dell’era Mubarak? Si sta forse preparando un ritorno dell’ex presidente?

No, piuttosto si sta preparando il terreno per la completa re-installazione dello status quo ante il 25 gennaio 2011: stesso copione, interpreti diversi o quanto meno non così famosi da essere riconosciuti dal grande pubblico. 

Uno dei tanti campanelli di allarme lo fa suonare la blogger Zeinobia, scandalizzandosi alla vista di un video che ritrae uno degli storici portavoce di Mubarak, Fathi Sorror, chiedere al popolo di votare sì al prossimo referendum e sostenere gli sforzi della rivoluzione (sic) del 30 giugno 2013.

Ecco perché allora continuare ad usare la parola ‘rivoluzione’ non sembra avere ancora molto senso. Restaurazione pare maggiormente adatta ad una realtà che non smette di sorprendere, negativamente.

I documenti di condanna pubblicati da Amnesty International sono ormai decine, le denunce delle organizzazioni non governative egiziane che da sempre lavorano per la tutela dei diritti elementari dell’uomo sono ancora più numerose. I commenti che giungono dagli amici del Cairo sempre più angoscianti. Molti vogliono scappare anche se non sanno dove. Altri raccontano di una tensione quotidiana che ormai condiziona pesantemente la loro vita.

Altri ancora, semplicemente, non sono più raggiungibili.Tutti hanno paura.

Ecco allora che forse, in questo specifico senso, il processo rivoluzionario del 25 gennaio 2011 rischia seriamente di dirsi concluso. Tornasse ad imperare la paura, questi tre anni sarebbero inghiottiti nell’oblio del ritorno alla normalità. 

 

January 07, 2014di: Marco Di DonatoEgitto,Articoli Correlati: 

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