In seguito alla deposizione di Muhammad Morsi si è ristabilito lo schema economico in vigore prima del 2011: i militari accentrano produzione e introiti, mentre viene rinsaldata la più classica delle alleanze con i paesi del Golfo. Il 30 giugno 2013 ha segnato profondamente gli equilibri egiziani, non solo in termini politici e sociali, ma anche da un punto di vista economico.
Da una parte, l’esercito ha potuto riportare a pieno regime e accentrare nelle sue mani l’ingranaggio produttivo che ha caratterizzato gli ultimi cinquant’anni dell’economia del paese. Dall’altra i paesi del Golfo, con l’esclusione del Qatar, si sono presentati nuovamente come i salvatori dell’economia egiziana immettendo ingenti quantità di denaro nelle casse del Cairo.
Il tutto a discapito della Fratellanza e della porzione economica da essa (direttamente o indirettamente) controllata.
“L’esercito non influenza l’economia egiziana in nessuna maniera” afferma il colonnello Ahmed Alì, portavoce dei militari. “Possiede diverse industrie e compagnie ma il suo obiettivo è lo sviluppo piuttosto che il profitto.”
In realtà in Egitto i militari sono da sempre il principale gruppo economico del paese e anche se è forte la tentazione di mantenere nascosto, soprattutto all’estero, il legame tra gran parte dell’industria e del settore terziario con le sfere militari, è inconfutabile che siano proprio le forze teoricamente impegnate nella difesa del paese a manovrare e segnare l’economia locale.
Dal real-estate alla produzione di cibo e acqua minerale, dalla costruzione di infrastrutture alla produzione di utensili, all’assemblaggio di televisori e computer l’elenco è decisamente esteso.
Le stime non sono ufficiali perché su gran parte della produzione vige il “segreto militare”, ma si tratterebbe di una porzione compresa tra il 25 e il 40 % dell’economia egiziana e protetta da un sistema non tassato e che gode di un status extra-legale.
Neanche la rivoluzione e la presidenza dei Fratelli Musulmani sono riusciti a scalfire le basi del sistema nepotistico e corrotto messo in piedi dai militari negli ultimi 50 anni.
Addirittura, secondo un report del CMI (centro di ricerca indipendente norvegese) i Fratelli Musulmani aiutarono ad “espandere l’inaudito e non tassato impero economico dei militari” per ottenere vantaggi politici, ad esempio attraverso il trasferimento di alcune imprese di possesso statale al ministero della Produzione Militare.
Tornati al potere (anche se da dietro le quinte), le alte schiere dell’esercito hanno ritrovato la situazione nella stessa posizione di tre anni fa, con la sola differenza che adesso il paese si trova in una situazione di forte recesso e non è più in grado di far fronte alle immani spese pubbliche: sussidi, import e lavori pubblici.
Dopo un periodo di relazioni complicate tra i paesi del Golfo e l’Egitto, il legame sembra essere tornato più solido che mai in seguito alla caduta del ex presidente Mohamed Morsi.
Tranne l’emirato del Qatar, strettamente legato alla Fratellanza Musulmana, gli altri regnanti della penisola hanno caldamente accolto il cambiamento politico egiziano manifestando sostegno diplomatico e economico al nuovo governo sostenuto dai militari.
Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait durante l’anno di mandato avevano fortemente osteggiato la guida dei Fratelli Musulmani sia a livello diplomatico sia attraverso il sostegno diretto di alcune correnti salafite. Quando però il 30 giugno 2013 l’esercito ha ripreso in mano il controllo del paese, i tre paesi del Golfo non hanno tardo ad elargire aiuti per un totale di quasi 13 miliardi di dollari (ai quali vanno aggiunti i 50 di investimenti in progetti vari), permettendo all’Egitto di far fronte alla carenza di valuta straniera, fondamentale per regolare l’elevatissimo livello di importazioni necessarie sia per il sostentamento del paese che per registrare un surplus nel bilancio del primo trimestre finanziario del 2014.
I soldi sono serviti alle forze egiziane per ristabilire un ordine interno, per cercare di restaurare l’economia e per ottenere legittimazione internazionale. Di contro i paesi del Golfo hanno potuto mostrare il fallimento del primo presidente eletto in Egitto delegittimando le correnti rivoluzionarie che pure si stavano muovendo nel giardino di casa loro.
Inoltre, riportare l’Egitto al canonico asse con Riadh e alleati è stata una chiara vittoria dell’Arabia Saudita sul Qatar e sull’Iran.
La rinnovata disponibilità di capitali ha permesso al paese di poter far fronte all’allontanamento politico-diplomatico dall’Occidente partendo dagli Stati Uniti, che lo scorso ottobre hanno bloccato gli aiuti economici e militari.
Il flusso di denaro arabo ha inoltre dato la possibilità di mettere in stand-by il dialogo con il Fondo Monetario Internazionale (prestito di quasi 5 miliardi di dollari) che l’Egitto sta negoziando da tempi precedenti alla presidenza Morsi, di estrema rilevanza per sbloccare l’arrivo di prestiti stranieri.
È quest’ultima decisione sicuramente frutto di un preciso calcolo politico che tiene conto del breve periodo, nel quale accettare il prestito dell’FMI significherebbe dover imporre onerose tasse alla popolazione e rimuovere la maggior parte dei sussidi scatenando le ire del popolo.
Nel lungo periodo però, come si evince dallo studio WAMDA, si tratta di una scelta miope perché pregiudica una serie di investimenti stranieri del quale il paese ha estremamente bisogno.
Come sostiene Rami Khreis, l’efficacia dei prestiti provenienti dal Golfo dipenderà dalla modalità in cui i soldi degli emiri verranno usati: per rinsaldare esclusivamente il potere dell’esercito o serviranno invece per traghettare l’Egitto verso una dimensione politico-economica che produca stabilità e benessere per il suo popolo?
Come ricorda Michael Jansen l’eradicazione dei Fratelli Musulmani dalla vita sociale ed economica del paese è tutt’altro che facile poiché i membri della Fratellanza sono perfettamente inseriti nella società e gestiscono numerose strutture di notevole rilevanza, tra cui scuole, ospedali e moschee.
I provvedimenti presi dalle autorità sono andati dal divieto di operare per gli imam affiliati alla Fratellanza, alla chiusura di scuole, mense, ospedali gestiti dalla stessa e di numerose attività economiche e commerciali legate, anche indirettamente, al mondo degli Ikhwan.
Nondimeno, la loro base economica è stata erosa. Dalle proprietà dei più facoltosi Khairat el-Shater e Hassan Malek le autorità sono andate a scendere nell’organigramma della Fratellanza bloccando la maggior parte dei conti correnti dei membri di medio e alto rango, i loro uffici privati e delle persone più strettamente coinvolte. Inoltre sono state bloccate molte compagnie off shore, anche quelle indirizzate a svolgere funzioni di carità e assistenza sociale.
Come sottolinea Borzou Daragahi in un articolo comparso sul Financial Times, anche nella segretezza la Fratellanza aveva cercato di costruirsi una base sociale ritagliandosi un ruolo concreto all’interno del sistema economico egiziano.
In particolare l’Egyptian Business Development Association, un’organizzazione economica nata con lo scopo di diffondere l’etica islamica nel mondo del business (e rafforzare i legami politico-commerciali della Fratellanza), fondata da Hassan Malek e Osama Farid, è stata minuziosamente ispezionata e drasticamente ridimensionata.
Come già menzionato, l’intenzione è quella di lasciare la Fratellanza senza possibilità economiche ma data la capillarità dell’organizzazione islamista tale operazione potrebbe risultare lunga e pericolosa.
*Foto Gigi Ibrahim via Flickr in CC.
January 19, 2014di: Matteo Gramaglia Egitto,Articoli Correlati:
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