Il primo ad essere riconfermato nel nuovo esecutivo egiziano è stato proprio il Feldmaresciallo al-Sisi e del resto non sarebbe potuto essere diversamente se si considera che molti analisti hanno interpretato le dimissioni di Beblawi come il primo atto politico del “nuovo” presidente egiziano.
Il “nuovo” presidente egiziano è proprio lui: il Feldmaresciallo al-Sisi. Non ha dovuto sottoporsi ad un processo elettorale per salire in carica ma agisce, in realtà già da un po’ di tempo, come fosse la prima carica dello Stato.
Forse, sostengono alcuni, le dimissioni di Beblawi sono il suo primo atto presidenziale.
Il nuovo premier, Ibrahim Mahlab, sta del resto riconfermando moltissimi esponenti dell’esecutivo uscente. Uno fra tutti il ministro degli Interni Mohamed Ibrahim che qualcuno al Cairo certamente non ricorda con piacere per le sue attività ministeriali. Questo vale soprattutto per gli islamisti vicini ai Fratelli Musulmani che gli imputano il massacro di Raba’a al-Adawiyya e per moltissimi altri attivisti.
Secondo al-Ahram sarebbero ben 14 i ministri riconfermati, mentre sarebbero in corso di nomina alcune posizioni chiave come Sanità, Finanza, Giustizia, Cultura e Trasporti. Rimangono in carica uomini vicini al vecchio regime come Nabil Fahmy, Adel Labib e molti altri ancora.
Qualcuno ha scritto che l’Egitto ha cambiato governo per rispondere alelle richieste dei suoi lavoratori, per dare un senso di discontinuità con il recentissimo passato. Allora però non si capisce perché l’85% dei medici egiziani stia scioperando proprio in queste ore (paralizzando buona parte degli ospedali pubblici) e lo stesso facciano farmacisti, dentisti, operai del settore tessile, operatori dei trasporti e molti altri ancora.
Il rimpasto di governo non li ha soddisfatti oppure, più semplicemente, le preoccupazioni del palazzo sono altre?
Molti analisti faticano infatti ad inquadrare la manovra governativa che è risultata sicuramente tanto repentina quanto inattesa. Lo stesso Beblawi non ha fornito una motivazione chiara all’opinione pubblica e secondo Bassem Sabry persino alcuni ministri sarebbero stati presi di sorpresa dalle dimissioni.
Quello che è certo è che si tratta di un (ennesimo) passo indietro, un ennesimo ritorno al passato. Lo sottolinea la blogger Zeinobia, lo sottolineano i sempre attentissimi editori di Mada Masr.
Il 24 febbraio, pubblicando una foto di Ibrahim Mahlab, il sito di informazione indipendente scriveva: “Un ex membro del PND potrebbe essere il prossimo primo ministro egiziano”. Detto fatto.
Mahlab fu nominato nel 2010 come membro del Consiglio della Shura su diretta indicazione dell’allora presidente Mubarak. Non solo. Mahlab è stato parte integrante dell’High Council for Policies del PND. Il suo è il background dell’uomo di affari, un ingegnere che nel corso degli anni passati ha diretto moltissime realtà aziendali di rilievo.
Non esattamente l’uomo adatto per dialogare con i lavoratori specialmente se, come riportato dal The Egypt Indipendent, alle richieste di un aumento di salario avrebbe risposto: “Scommetto sul loro patriottismo”.
Potrebbe essere definito un governo dei feloul, non fosse che (ce lo svela l’analista Reham Mokbel) l’utilizzo di questo termine per screditare gli avversari politici non è più così tanto in uso nel paese come in seguito al 25 gennaio 2011.
Nel 2011 essere un feloul in Egitto significava avere seri problemi personali che andavano dall’aggressione fisica sino alla completa esclusione dalla vita sociale e politica del paese. Non economica però, perché l’economia è sempre rimasta nelle salde mani degli stessi personaggi, gli stessi che oggi tornano alla ribalta facendo sì che nessuno osi più utilizzare feloul in senso di spregio.
Anche oggi il cambiamento, qualunque siano state le motivazioni, non comporta nessun beneficio per quanti sono fuori dalle stanze dei bottoni. Anzi.
Le prime dichiarazioni di Mahlab riguardo le proteste dei lavoratori lasciano presagire un futuro cupo per le lotte sindacali. L’avversione nei confronti della componente politica legata alla Fratellanza Musulmana non va diminuendo di intensità ed anzi la cronaca locale ci racconta di intere famiglie dilaniate dall’esasperazione del conflitto (mariti che ripudiano le mogli, padri che accusano i figli e via dicendo).
Più di molte parole ed altrettante analisi, tutto questo sembra segnare un turning point di fondamentale importanza nel marcare una profonda differenza fra il 25 gennaio 2011 ed il 30 giugno 2013.
February 28, 2014di: Marco Di DonatoEgitto,Articoli Correlati:- Egitto. Di domande retoriche e risposte stupide…
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