Se quello di milioni di egiziani che ieri hanno riempito le strade della capitale e di tutte le maggiori città del paese era un assedio democratico, quello condotto contro le sedi della Fratellanza è stato particolarmente violento. E l’esercito sembra pronto a intervenire.
L’Egitto ha dato dimostrazione di saper esercitare lo strumento della partecipazione democratica su larga scala: questo è il primo risultato di una giornata (quella del 30 giugno) iniziata con moltissime tensioni, e in realtà conclusasi senza particolari incidenti, almeno al Cairo.
Purtroppo però, la marea umana che ha invaso le strade della capitale non è stato l’unico elemento salito agli onori della cronaca.
Nel nord del paese la situazione è degenerata, così come ad Assiut e Beni Sueif si sono registrati scontri a fuoco e alcuni cecchini hanno preso di mira i manifestanti. Le versioni sono ovviamente contrastanti tra chi (sostenitori di Morsi) ritiene di aver solo esercitato un diritto all’autodifesa e chi (gli oppositori) sostiene di essere stato attaccato.
In tutto l’Egitto si parla di circa 900 feriti e 14 morti, ma i dati potrebbero essere ancora parziali. Secondo Egyptian Street, ad essere particolarmente colpite le aree di Kafr El Sheikh, Beheira, Fayyoum e Gharbiya.
Al Cairo il movimento Tamarud ha organizzato quella che è stata, per larghissimi tratti, una manifestazione pacifica fatta di fuochi di artificio, canti, danze e slogan che hanno chiesto a più riprese le dimissioni del presidente e nuove elezioni a brevissimo giro. Tuttavia anche qui non sono mancate le violenze.
Alcuni uffici di rappresentanza della Fratellanza sono stati incendiati e vandalizzati, in particolare l’ufficio della Guida suprema, che è stato circondato da alcuni manifestanti (dai quali Tamarud ha immediatamente le distanze).
Da parte sua Morsi ha ricevuto un ultimatum molto chiaro dalla piazza: la protesta si trasformerà presto in disobbedienze civile e proseguirà sino a quando il presidente non avrà rassegnato le proprie dimissioni.
E l’esercito? Hamdeen Sabbahi ha espressamente chiesto l’intervento delle forze armate qualora Morsi non si attenga alle rivendicazioni espresse dalla piazza, mentre il presidente gli ha dato indicazioni di non permettere una degenerazione della sicurezza e per ora in effetti i militari appaiono schierati solo a protezione dei palazzi governativi.
Tuttavia, secondo al-Arabiya, la situazione potrebbe subire una svolta. L’esercito potrebbe infatti spingere il ‘palazzo’ a mediare con la ‘piazza’, con l’ambizione di tornare ad essere un elemento essenziale della politica egiziana. Non a caso sia Morsi che Sabbahi lo hanno invitato a intervenire, il primo per ottenere protezione, il secondo per chiedere la rimozione forzata del presidente.
Il “giorno del giudizio”, come titola il quotidiano al-Watan, non è arrivato, ma si avvicina pericolosamente. E ancora una volta lo sforzo, immane e oceanico, di un’intera popolazione rischia di essere invalidato dall’esercito e dalla politica. Con Open Democracy che paventa la possibilità che lo spettro dell’intervento militare si materializzi di qui a breve.
July 01, 2013di: Marco Di DonatoEgitto,