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Ero in un sogno chiamato Egitto…

Da fiore all’occhiello del rilancio economico dell’Egitto, il Sinai si è trasformato in un cimitero di costruzioni abbandonate, mai terminate, di strade interrotte e di scheletri di ombrelloni che appaiono simili a giganteschi ragni posti a guardia di stabilimenti fantasma. Il progetto fotografico di Andrea&Magda. 

 

 

I vestiti leggeri nell’armadio e il colore dorato della pelle che non accenna a impallidire sono il rifiuto ostentato al dolce declino dell’estate.

Buio e pioggia vengono bruscamente allontanati dalla mente, fino ad essere confinati in un futuro imprecisato, e così, senza quasi accorgersene, settembre è il nuovo agosto, periodo perfetto per concedersi una vacanza.

Alla domanda “dove andare?” l’ultimo spot promosso dall’Ente del Turismo egiziano fornisce una risposta che non lascia spazio ad alcun dubbio; la suadente voce fuori campo, infatti, recita “Ero in un sogno chiamato Egitto”, lasciando scorgere scampoli di paesaggi rubati alla fantasia di uno scrittore ed un vivido mare blu incontaminato.

Prima o poi, però, dai sogni ci si desta e quando si aprono gli occhi è impossibile distogliere lo sguardo dalle contraddizioni e brutture della realtà.

Andrea e Magda, due giovani fotografi che da anni fissano su diaframma le trasformazioni del tessuto societario mediorientale, in occasione di Fotoleggendo 2015 – manifestazione annuale gratuita promossa dall’Associazione culturale Officine Fotografiche Roma – hanno reso pubblico il loro ultimo lavoro, Sinai Park* , interamente dedicato all’Egitto e alle ripercussioni economiche manifestatesi nel paese dopo la Primavera Araba.

Dopo “The PalestinianDream”, fortunato progetto focalizzato sull’osservazione della benestante classe media palestinese, Andrea e Magda documentano l’attuale situazione della regione del Sinai, destinataria, fino a poco tempo fa, di cospicui investimenti sia nazionali che esteri nel settore turistico-alberghiero e che oggi risultano nulli a causa dell’instabilità innescata dai processi rivoluzionari ancora in atto e dall’avanzata di Daesh.

Da fiore all’occhiello del rilancio economico dell’Egitto, la regione si è trasformata in un cimitero di costruzioni abbandonate, mai terminate, di strade interrotte e di scheletri di ombrelloni che appaiono simili a giganteschi ragni posti a guardia di stabilimenti fantasma.

Come spesso accade, oltre al danno c’è anche la beffa.

La prospettiva, infatti, di ingenti guadagni derivanti da un turismo di massa, alimentato sia dalla vicina Europa che dal neo arricchito Oriente, ha spinto l’Egitto a non salvaguardare il proprio patrimonio ambientale e culturale, disseminandolo di standardizzati mostri di calcestruzzo che non verranno mai inaugurati e costringendo la popolazione beduina ad adeguare il proprio modo di vivere al life style globalizzato.

In un contesto così desolante, solo Sharm El-Sheikh sembra non aver subito alcun contraccolpo, la presenza di pallidi turisti russi ne è la conferma.

Probabilmente è tutto merito dei gettonatissimi pacchetti all inclusive, contenitori di emozioni artificiali costruiti attorno alle esigenze dei clienti e promossi in villaggi sicuri – blindati, potremmo dire, visto che entrate ed uscite sono costantemente controllate –, in cui l’autentico folklore locale è rappresentato dalla cammellata di due ore nel deserto o dall’escursione di gruppo con i quad.

Se il traveltrend egiziano è questo, difficile rimpiangere la città, le galosce e la pioggia autunnale.

 

*Come si evince dal titolo, Andrea e Magda prendono ispirazione dal lavoro di Bruce Bégout, “Le ParK”, un saggio in cui l’autore immagina un luogo utopico in cui sia possibile sperimentare qualunque forma di controllo sociale messo in atto dall’uomo. Il ParK, dunque, è contemporaneamente un parco giochi, un campo di concentramento, un giardino zoologico, un ospizio…

 

September 27, 2015di: Claudia Gifuni Egitto,

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