Nel 2011 sono accaduti diversi fatti che hanno in qualche modo provocato fastidio al Regno dell’Arabia Saudita. Tuttavia, il più spiacevole è forse avvenuto a luglio, e non ha riguardato sommosse popolari, proteste o combattimenti.
Si tratta dell’emissione, da parte dell’OPEC, dei dati relativi alle riserve di greggio per i diversi paesi nel mondo: per la prima volta dal 1967, l’Arabia Saudita ha perso la prima posizione. Da quest’anno è il Venezuela, con 296 miliardi di barili, il paese al mondo con le maggiori riserve accertate di greggio. L’aumento del 40% delle sue riserve, rispetto allo scorso anno, è dovuto, secondo il locale Ministro delle infrastrutture, a nuovi giacimenti scoperti nei campi già esistenti di Barcelona, Maracaibo e Barinas, così come grazie a progetti off-shore.
Malgrado questo sorpasso sia passato perlopiù sotto silenzio, esso è gravido di conseguenze. L’Arabia Saudita infatti è un paese di primati. Nel 2010 era il primo paese al mondo per riserve di petrolio (264,6 miliardi di barili, allora il 20% delle riserve mondiali, secondo i dati CIA Factbook), quarto paese per riserve di gas (7,461 miliardi di mc) e terzo paese per riserve di oro e di valuta estera (456,2 miliardi di dollari). Soprattutto il petrolio, tuttavia, è la pietra fondante su cui poggia l’intero sistema economico saudita. Secondo i dati ICE, nel 2010 il 52% del PIL saudita è derivato dal settore petrolifero, e i piani della tanto necessaria diversificazione dell’economia riguardano soprattutto il settore petrolchimico, con plastica e derivati del petrolio, oltre che le infrastrutture e le costruzioni. La perdita del primato non ha grandi ripercussioni sull’economia del paese – in fin dei conti l’Arabia Saudita detiene le stesse riserve dello scorso anno -, ma mina la sua leadership mondiale sul settore più importante al mondo e mette in discussione l’intero sistema di leverage finora a disposizione dei sauditi e imperniato sullo strapotere contrattuale dato dalle sue riserve. Certamente, il potere si basa anche sugli investimenti strategici che il Regno ha effettuato in varie parti del mondo, grazie all’ingente disponibilità di capitali che il mercato del petrolio garantisce al paese. Tuttavia, il sorpasso assume un carattere simbolico importantissimo e avviene in un anno, il 2011, che ha sottoposto la monarchia dei Saud a diverse preoccupazioni, nazionali, interregionali e internazionali.
Le proteste di parte della popolazione avvenute nei primi mesi del 2011 hanno spinto le autorità ad operare alcune scelte nella ripartizione della spesa pubblica per l’anno in corso. Il budget del 2011 doveva inizialmente aumentare del 7% rispetto allo scorso anno e il 46% della somma totale doveva essere impiegato nell’istruzione e formazione, nei servizi socio-sanitari e nelle infrastrutture. In seguito alle proteste verificatesi nel paese, è stato approvato un pacchetto aggiuntivo di misure economiche e sociali del valore di quasi 130 miliardi di dollari, che ha portato l’aumento della spesa pubblica, rispetto al 2010, al 34%. Il pacchetto prevede misure simili a quelle adottate da altri stati arabi colpiti dalle rivolte, e prevede anche l’aumento dei salari ai dipendenti pubblici, l’introduzione del sussidio di disoccupazione e la costruzione di nuovi alloggi. Inoltre, l’Arabia Saudita ha intrapreso nel 2011 un programma di ampliamento delle proprie riserve di grano: l’obiettivo è l’incremento di 550 mila tonnellate nei prossimi tre anni per limitare l’impatto del crescente costo dei beni alimentari sulla propria economia. I dati dell’Autorità portuale saudita indicano che nel corso del 2010 i prodotti alimentari sono risultati il bene più importato negli otto porti del Regno: una dipendenza pericolosa, quella alimentare, che rischia di minare la sicurezza del solido governo.
Tutte queste misure, quindi, sebbene attuate da uno stato ricco dotato di ingenti risorse economiche e materiali, sono frutto di un certo disagio della monarchia saudita e, soprattutto, dimostrano come l’Arabia Saudita intende affrontare questo difficile 2011.
Pertanto, gli altri problemi che affliggono da decenni l’economia saudita, come la scarsa diversificazione della produzione, la preponderanza del settore pubblico (nel 2010 circa il 70% del PIL) sul privato, la riduzione della disoccupazione, o la scarsa produttività dell’economia, saranno momentaneamente tralasciati a favore di questioni più attuali e stringenti.
Sempre più pressante diviene la questione della politica monetaria del paese: il rial saudita è infatti legato a tasso di cambio fisso con il dollaro statunitense, e pertanto la politica monetaria del paese è vincolata alle decisioni della FED. Tuttavia, negli ultimi anni è nato un forte dibattito sulla necessità di revisione dal tasso fisso, a causa dell’indebolimento della valuta statunitense e in previsione di una sempre più attuabile unione monetaria con altri paesi del CCG. Anche da questo punto di vista, il 2011 potrebbe rivelarsi un anno di svolta.
Infine, a livello OPEC, non va dimenticato l’increscioso bisticcio scoppiato durante l’incontro di giungo. In quell’occasione, l’Arabia Saudita, spalleggiata dagli inseparabili Kuwait ed Emirati Arabi, aveva proposto una manovra per l’aumento della produzione di petrolio di 1,5 milioni di barili al giorno. L’innalzamento delle quote di produzione era finalizzato a coprire le carenze libiche, così da evitare che l’offerta di petrolio scendesse e causasse un eccessivo aumento del suo prezzo. A tale mozione si sono opposti Iran, Venezuela ed Ecuador, tre paesi, soprattutto i primi due, che negli ultimi tempi non hanno ottimi rapporti con la monarchia saudita: dal loro punto di vista un aumento della produzione di petrolio, combinato con un minor utilizzo di energia da parte delle economie sviluppate, già fiaccate da diverse crisi, in breve tempo avrebbe trascinato il prezzo del greggio ben sotto gli 80 dollari al barile previsti dall’Arabia Saudita. Ad oggi, la realtà dei fatti sembra dar loro ragione: il prezzo del petrolio, a causa della minore richiesta da parte delle economie sviluppate, si attesta attorno agli 80-85 dollari al barile. Il piano saudita è così saltato e l’incontro di giugno si è concluso con una batosta alla tradizionale capacità di decisione del paese in seno all’OPEC.
A ben vedere, quindi, il 2011 delle rivolte arabe ha fatto sentire il suo effetto anche nel dorato e inaccessibile Regno saudita, e l’inverno che sta per arrivare si preannuncia particolarmente rovente.
Photo by MaYShita on Flickr
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di: Giovanni AndrioloArabia SauditaArticoli Correlati:
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