La foto* qui sopra è stata scattata ieri alle 19:15, in Israele, in un bosco al confine con l’Egitto, poco distante dal carcere di Holot, nel deserto del Negev. Tre agenti della polizia di frontiera trascinano per terra un richiedente asilo eritreo, considerato un “infiltrato” dalla legge israeliana.
A partire da venerdì 27 giugno circa 1.000 persone nella stessa condizione di quest’ultimo, ovvero richiedenti asilo di origine sudanese o eritrea costretti a vivere in un “centro aperto” che funge in modo strettamente simile a un carcere, si sono messe in marcia verso la frontiera egiziana. In un vero e proprio atto di protesta, che segue tante altre manifestazioni e dimostrazioni avute luogo nei mesi scorsi, il loro gesto simbolico intendeva mandare un messaggio alle autorità di Tel Aviv:
“Vogliamo andare via, chiediamo all’UNHCR (Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite, ndr) di intervenire affinché le nostre richieste di asilo vengano esaminate da un altro Stato”.
I manifestanti hanno cercato in un primo momento di oltrepassare i confini ma hanno incontrato la netta opposizione della polizia di frontiera. Rifiutandosi di tornare ad Holot, dove risiedono oltre 2.300 migranti che lamentano condizione igienico-sanitarie non adeguate, ulteriore motivo per cui buona parte dei prigionieri protestano dal 19 giugno scorso, hanno deciso di rimanere nei pressi della frontiera e di restarvi finché non sarebbe stata data loro una risposta. Queste le loro richieste, diramate in un comunicato ricevuto dalla nostra redazione:
1) Se Holot è una struttura aperta, perché e fino a quando siamo costretti a rimanere lì rinchiusi? E se si tratta di una prigione, qual è il nostro crimine?
2) Riforma immediata del sistema sanitario del carcere, e trattamento decente dei pazienti.
3) Rilascio immediate dei detenuti da più di due anni (in un altro carcere, quello di Saharonim dove venivano condotti tutti gli “infiltrate” prima della sentenza della Corte Suprema che ha dichiarato incostituzionale l’arresto senza processo dei richiedenti asilo, ndr), vittime di tortura nel Sinai e arrestate in violazione degli standard internazionali.
4) Chiediamo al governo israeliano di passare i nostri casi all’UNHCR, e non vogliamo più che Israele accetti o meno le nostre richieste di asilo. Chiediamo di essere accolti da un altro paese.
5) Liberare dall’isolamento i nostri fratelli arrestati dalla polizia di frontiere perché accusati di aver organizzato le proteste.
Allo scadere delle 48 ore entro le quali i detenuti di Holot devono necessariamente rientrare in sede, pur eludendo l’obbligo di firma di 5 volte al giorno, la polizia di frontiera è intervenuta violentemente nel campo di protesta. Negli scontri ci sono stati diversi feriti, compresi alcuni attivisti israeliani che manifestavano in supporto ai richiedenti asilo. Tutti i migranti sono stati portati nel carcere di Saharonim, e non ad Holot.
Ciononostante, un’ulteriore azione di protesta è in atto da ieri sera, direttamente dalle prigioni, con uno sciopero della fame collettivo.
*La foto è di Simone Wilson, giornalista free-lance israeliana, che ringraziamo per la gentile concessione.
June 30, 2014di: Stefano NanniIsraele,Articoli Correlati:
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