Un’azienda francese è implicata nelle torture ai danni degli oppositori libici al regime di Gheddafi? Dopo otto mesi, in cui sembrava che l’inchiesta fosse destinata all’archiviazione, il tribunale di Parigi riapre il caso Amesys.
di Anna Toro
La vicenda parte da una denuncia – depositata nell’ottobre 2011 da parte di due Ong, la FIDH (Federazione Internazionale dei Diritti Umani) e la LDH (Lega dei Diritti dell’Uomo) – secondo cui l’azienda francese Amesys, filiale del gruppo Bull, sarebbe stata complice di tortura ai danni degli oppositori libici del regime di Gheddafi.
In che modo? Attraverso la fornitura di materiale di sorveglianza altamente sofisticato.
Queste apparecchiature, infatti, avrebbero permesso al dittatore di perfezionare i mezzi di repressione contro i suoi “nemici interni”, e di mettere sotto controllo le comunicazioni dell’intera popolazione.
Se la Procura di Parigi aveva cercato di mettere i bastoni fra le ruote all’inchiesta, all’inizio del 2013 la Corte d’appello parigina ha rigettato il ricorso contro l’apertura delle indagini, e ha deciso di far ripartire la macchina investigativa.
Così, a seguito di una missione in Libia da parte della FIDH, il 10 gennaio di quest’anno cinque blogger libici si sono costituiti parte civile.
“Si tratta di una donna e quattro uomini, provenienti da Tripoli, Bengasi e Misurata”, rende noto l’avvocato della FIDH, Patrick Baudouin. “Sono stati arrestati e torturati dal regime e il loro arresto è direttamente correlato al sistema di sorveglianza Amesys”.
Le loro testimonianze verranno presto raccolte dai giudici.
La scoperta del software di spionaggio “Eagle”
La denuncia da parte delle due Ong dava seguito all’inchiesta di due giornalisti del Wall Street Journal, Paul Sonne e Margaret Coker, che dopo la liberazione di Tripoli sono riusciti ad entrare nel quartier generale dei servizi di sorveglianza e spionaggio del regime libico.
All’interno dell’edificio di sei piani, abbandonato immediatamente dopo l’arrivo dei ribelli, hanno trovato diverse prove dei coinvolgimento di Amesys, compresi manuali redatti in inglese e con impresso il logo dell’azienda francese.
I due giornalisti scoprono così che i servizi di intelligence libici erano in grado di captare e controllare telefonate, mail, perfino le chat personali. Tutto questo grazie al software “Eagle”, capace di censurare internet, e di intercettare e registrare le comunicazioni di un’intera nazione.
Ma non solo. Il giornalista del portale web ‘Owni’, Jean Marc Manach, nel suo libro intitolato Au Pays de Candy (“Nel Paese di Candy”, dal nome dell’operazione segreta tra la Francia e il regime libico), parla addirittura di tre fasi dell’accordo tra Amesys e la Libia.
La prima aveva lo scopo di “proteggere la Libia” attraverso una rete capace di cifrare tutte le comunicazioni; la seconda sarebbe stata quella delle “intercettazioni”, in cui esperti della società francese si sarebbero occupati di formare i libici nel “tracciare, intercettare e registrare” le e-mail o le voci su IP; infine la terza fase, quella delle “interferenze elettroniche”.
Amesys ha “fortemente negato” l’accusa di “complicità nelle torture”, ma ha ammesso di aver rifornito Tripoli di “attrezzature per l’analisi”, con un contratto firmato nel 2007.
L’azienda francese nega però di aver venduto una tecnologia di sorveglianza capace di spiare gli internet point o le comunicazioni via skype, e soprattutto sottolinea che l’accordo con la Libia sarebbe stato preso solo dopo la conferma del rafforzamento dei legami del paese con l’occidente.
Un modo per lasciare intendere eventuali implicazioni del governo francese nella faccenda?
Sarkozy finanziato dal regime libico?
Il fatto è che un mese fa, quasi in concomitanza con la riapertura delle indagini sul caso Amesys, il controverso uomo d’affari franco-libanese Ziad Takieddine è tornato ad accusare l’ex presidente francese Nikolas Sarkozy di aver stretto accordi segreti proprio con la Libia, per ottenere un grosso finanziamento per la propria campagna elettorale del 2007.
Lo scandalo era già emerso nella primavera dell’anno scorso, dopo che il giornale online ‘Mediapart’ aveva pubblicato un documento attribuito ad un ex dignitario libico, in cui si parlava di una cifra di 50 milioni di euro che Sarkozy avrebbe accettato da Gheddafi, per sostenerne appunto l’elezione.
L’ex presidente aveva querelato il giornale e liquidato la faccenda, sostenendo che si trattava di una macchinazione della sinistra di Hollande per spostare l’attenzione dal caso Strauss-Khan.
Ecco però che il 19 dicembre scorso, l’intermediario Ziad Takieddine (il cui nome compare in diversi casi di corruzione in Francia) è ricomparso di fronte ai giudici, sostenendo di avere la prova del suddetto finanziamento. Che, stando ai suoi racconti, supererebbe di molto la cifra di 50 milioni di euro di cui si era parlato in precedenza.
Takieddine parla anche di diversi incontri, prima delle elezioni francesi, tra il segretario particolare di Gheddafi Bechir Saleh e Claude Guéant, ex direttore di gabinetto di Sarkozy (allora ministro dell’Interno ma già in corsa per le presidenziali).
Cosa che confermerebbe quanto dichiarato nel marzo 2011 dal figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, durante un’intervista a Euronews: “Sarkozy restituisca il denaro che ha accettato dalla Libia per la sua campagna elettorale”, aveva detto.
“Siamo stati noi a finanziarla e ne abbiamo la prova. Siamo pronti a rivelare tutto. La prima cosa che chiediamo a quel pagliaccio è di restituire i soldi. Gli abbiamo accordato aiuto affinché operasse per il bene del popolo libico, ma ci ha deluso”.
Parole, queste, a cui pochi avevano dato seguito. Almeno fino a oggi.
L’ex ministro della Difesa Gérard Longue si è subito affrettato a bollare tutte queste dichiarazioni come “pure invenzioni”.
Longue è lo stesso ministro che, di fronte all’Assemblea nazionale (20 dicembre 2011), aveva dichiarato come nessuna commissione governativa avesse mai sollecitato l’autorizzazione della vendita, da parte di aziende francesi, di materiale tecnologico di sorveglianza a regimi dittatoriali come quello libico.
In pochi, però, sembrano continuare a credergli. Intanto le indagini sulle (torbide?) relazioni tra la Francia e il regime di Gheddafi proseguono.
18 gennaio 2013