Avere trent’anni, un lavoro, una famiglia, una vita. E un sogno che ti fa stare sveglio la notte e lascia pochissimo spazio al resto. Si chiama Drabzeen e a portarlo avanti da due anni sono Hassan Manasrah e Khalid Sadaqa, entrambi art director in importanti agenzie di animazione e comunicazione digitale, entrambi con radici in Palestina e passaporto giordano. E una visione chiara, affacciati al balcone.
Drabzeen in arabo significa ringhiera, balaustra. Un nome importante, legato ai confini, ai limiti.
“In realtà è uscito per caso – rivela Hassan – cercavamo un nome per il nostro progetto e la prima cosa che abbiamo visto fuori dalla finestra era un parapetto, un drabzeen appunto. Ci suonava bene e quindi l’abbiamo tenuto”.
A giudicare dalle loro vignette, quella balaustra è piaciuta talmente tanto, che torna come un filo rosso: due personaggi che settimana dopo settimana riflettono sulla vita, sulla società e sull’essere umano appoggiati al parapetto di un ipotetico balcone affacciato sul mondo.
Tre partecipazioni a mostre internazionali del fumetto in due anni scarsi di attività, il sogno di Hassan e Khalid prosegue spedito verso il suo obiettivo. “Quando abbiamo iniziato, disegnavamo per noi, quindi i due personaggi non potevamo che essere noi: fisicamente e caratterialmente uno ero io e l’altro Khalid. Poi con il tempo ci siamo sganciati da quest’idea e abbiamo dato ai nostri due uomini una loro vita, non più così legata alle nostre”.
E continua Hassan: “Volevamo raccontare quello che ci succedeva, quello che pensavamo vivevamo, a un livello molto intimo, nostro. Poi, dopo l’apertura della pagina su Facebook, abbiamo deciso di fare un passo ulteriore, parlando di cose più generali, che tutti potessero capire, abbandonando la dimensione del nostro piccolo mondo, degli scherzi e dei riferimenti che solo noi potevamo capire. Ora Drabzeen parla di relazioni tra i sessi, tabù sociali, religione, di quello che può capitare nella vita di ognuno di noi. Solo che noi lo disegnamo. Ci alterniamo nel disegno, una settimana per uno. Ognuno scrive i suoi testi e disegna con il suo stile, ma ci confrontiamo sempre”.
Un lavoro duro, quello di far vivere ogni settimana due personaggi che, ad oggi, contano più di diecimila fan.
Ma c’è un perché: “Abbiamo un sogno, ed è quello di riuscire a vederlo stampato, Drabzeen. Ci siamo vicini, ma c’è ancora tanto lavoro da fare. Abbiamo in testa una rivista, che metta insieme i nostri fumetti e i contributi di altri artisti arabi, provenienti sia dalle arti visive che dal mondo delle lettere. Abbiamo già molti contatti, molta gente che vorrebbe lavorare con noi, ma è difficile”.
“Dobbiamo per forza fare una dura selezione, perchè qui funziona che se sei mio amico, va bene tutto, non importa se sei bravo o no. Noi vogliamo uscire da questa logica e dare spazio a chi fa qualcosa di buono, indipendentemente dal nome o dalle conoscenze”.
“Presenteremo il progetto ad Algeri, dopo l’estate, al Festival Internazionale del Fumetto FIBDA. Altro progetto trasversale che stiamo tentando di portare avanti è l’animazione di Drabzeen. Noi veniamo da lì, è quello il mondo con cui ci misuriamo ogni giorno. Non sarebbe male ‘animare’ i nostri personaggi”.
Ma perché lo fate?
“Perché sono stanco di quello che faccio” – dice Khalid, una laurea in giornalismo e una pessima opinione del mondo dell’informazione. “Ho bisogno di esprimermi. Convivo ogni giorno con milioni di domande che mi ronzano per la testa e devo trovare una risposta. Per il momento non so nemmeno chi sono io, se sono un pittore, un artista, uno scrittore. Non lo so, ma per scoprirlo devo continuare nella ricerca, non mi posso fermare”.
Hassan ha una risposta molto più semplice: “Io lo faccio perché amo i fumetti. Cerco la mia via in questa società vittima dei suoi stessi schemi. Creo le mie storie e le racconto nell’unico modo in cui so farlo. Bisogna aprire queste scatole in cui costringiamo il pensiero. Io lo faccio disegnando”.
Qual è la risposta del vostro pubblico? Diecimila fan non sono pochi, e non saranno facili da accontentare tutti. È di nuovo Hassan a prendere la parola: “Alla fine dipende tanto dal vissuto personale di chi ci legge. C’è chi ci accusa di essere troppo tetri, troppo pessimisti, qualcuno vede in quello che facciamo legami con il teatro dell’assurdo, come se dal nostro balcone aspettassimo sempre un Godot che non arriva mai”.
“Uno una volta ci ha scritto dicendoci che siamo delle m***e, ma è successo solo una volta. Un altro si lamentava del fatto che i nostri disegni non avevano niente di arabo. Quello che ci interessa è evitare la battuta facile, lo scherzo superficiale, e andare più in profondità, dando chiavi di lettura per tradurre quel sentimento di spiazzamento, di complessità che tutti abbiamo”.
E perché farlo qui? In Giordania non c’è nemmeno un vero mercato per il fumetto…
“Quello che ci interessa davvero – risponde Khalid – è parlare di esseri umani. Personalmente trovo interessante raccontare la storia di gente che cerca e trova lavoro, o di gente che nonostante tutto vive una vita normale”.
“Qui è facile avere dei problemi e fare fatica a mettere insieme il pranzo con la cena. Ed è facile che questa ricerca ti porti via tutto il tuo tempo e tutte le tue energie. Io voglio disegnare questo. Non mi sento per niente attaccato alla patria, alla terra. Quello che mi interessa sono le storie delle persone, e di persone ce ne sono ovunque”.
Secondo Hassan “è importante farlo qui. Forse potrei disegnare le stesse cose da una spiaggia sul Mediterraneo, magari lo farei anche meglio, ma per quanto possa essere difficile portare avanti un discorso artistico e insieme di contenuto qui, è il posto giusto dove farlo”.
“Qui manca la cultura stessa – continua Khalid – la gente non legge, non si informa. A parte qualche brutto film americano, non si appassione nemmeno al cinema. È difficile portare avanti un progetto che sia un po’ meno che superficiale”.
“La nostra storia – dice Hassan – è basata tutta sulla religione. E le religioni, in generale, impongono limiti. Si è creata nel tempo una sorta di ‘cultura ufficiale’, in Giordania, che però ha chiuso le porte all’innovazione, alla creatività, alla sperimentazione”.
“Qualunque cosa tu faccia, troverai sempre qualcuno che ti sbatte sul muso la tradizione. Così però non si va da nessuna parte”.
E continua “la Giordania è un paese nuovo, senza un passato, e nel tempo si è trasformata in una stazione, un luogo sicuro per chi nella zona avesse dei problemi. Però mentre gli altri paesi hanno radici, la Giordania è spuntata un giorno con l’altro. Come un fungo. Un fungo nel deserto!! E con questo non sto criticando niente e nessuno. Va bene così. Io sono qui, e faccio del mio meglio”.
“Parliamo spesso della città e del rapporto tra uomo e città, ma solo una volta abbiamo nomitato direttamente Amman, ed è stato Khalid con una vignetta dove riportava la data, l’ora, la temperatura e poi la scritta ‘non c’è niente da fare’, ma questo non vuol dire che il nostro riferimento sia sempre e solo Amman”.
“La città è quello che abbiamo intorno. Io sarei molto più felice se vivessi in mezzo ad un bosco o sulla riva del mare, ma vivo qui, e lotto ogni giorno con la città che mi sta attorno. È un concetto che abbiamo dentro. È per questo che ne parliamo”, puntualizza Khalid.
E continua “la cultura si stratifica. Se non costruiamo noi qualcosa ora, quelli che verranno dopo di noi non avranno nulla su cui appoggiarsi, da cui partire per andare avanti. Per questo lo facciamo. Non solo per noi”.
“Lavoriamo entrambi anche come illustratori di libri per bambini. È una cosa diversa ma molto bella: puoi essere te stesso, come artista, dall’inizio alla fine, portando avanti un progetto interamente tuo. Non come l’animazione, in cui il tuo apporto personale si perde tra le mille mani che intervengono prima che il prodotto riesca a vedere la luce. Disegnare una storia per bambini è un po’ come disegnare Drabzeen“, dice Hassan. “E poi almeno posso usare un po’ di colori. Con Drabzeen do fondo al mio lato più scuro, ai miei pensieri. Quando preparo un libro per bambini… mi si apre un arcobaleno dentro”, aggiunge Khalid. E ride.
May 24, 2013di: Marta Ghezzi da AmmanGiordania,
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