Giordania. Zaatari a/r, il controesodo dei profughi siriani

Doveva accogliere i disperati in fuga dalla Siria. Sapremo mai quello che sta davvero accadendo nel campo profughi più grande della Giordania?

L’inferno si chiama Zaatari e si trova nel nord del paese. Il campo profughi inaugurato qualche mese fa doveva accogliere migliaia di persone.

Ma non ce ne sarà bisogno. Ogni giorno, decine di siriani scelgono di lasciare la ‘sicura’ Giordania per tornare in patria.

Il sole sta tramontando, mentre l’ennesima famiglia abbandona la tenda di fortuna che le hanno assegnato. Sono 360 mila ad aver oltrepassato il confine, ma anche il controesodo si annuncia intenso. Perché se in patria si rischia di morire, a Zaatari l’agonia è solo più lenta: “La fine è la stessa”, sospira Hussain Ayish, alzando lo sguardo verso un jet militare giordano e una flotta di elicotteri che sorvegliano il campo dall’alto.

I bambini corrono tra i vicoli polverosi del campo. E’ l’unico momento di sollievo per chi vive in questa prigione a cielo aperto, fatta di tende ingiallite dalle tempeste di sabbia, cibo scadente (e scaduto) e servizi inesistenti.

“Persino gli uccelli si rifiutano di mangiare il riso,il formaggio è andato a male e il tonno, puzza”: è così che fiorisce il mercato ‘alternativo‘ di Zaatari, che permette ai più ricchi di integrare le razioni di cibo fornite da chi gestisce la struttura. In fondo, come ha ammesso lo stesso rappresentante dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati: “Non si può costruire un campo a cinque stelle, se non hai le risorse”.

E la paura dei giorni della fuga lascia spazio alla frustrazione di chi sperava di trovare protezione.

Solo lunedì notte sono arrivate 522 persone, tra cui 44 bambini, il più giovane dei quali aveva meno di 48 ore di vita. La settimana scorsa era stata la volta di una donna di oltre 90 anni. L’atmosfera è incandescente, gli scontri tra i rifugiati e i loro ‘ospiti’ giordani sono all’ordine del giorno.

Il 23 ottobre, un incendio ha visto andare in fumo almeno 20 tende. Ad appiccare il rogo, un gruppo di rifugiati che protestavano contro la promessa mai mantenuta di fornire “più roulotte per tutti”, in vista dell’arrivo dell’inverno.

Le condizioni igieniche non sono più sostenibili, dicono. Recentemente uno studio ha rivelato la presenza di almeno 720 donne in gravidanza, senza contare il fenomeno – sempre più diffuso – dei matrimoni precoci e dello sfruttamento minorile.

Qui si sopravvive “con succo di frutta e un po’ di biscotti”, nella migliore delle ipotesi: “Ci stanno trattando peggio degli animali” afferma Saeed Howshan parlando ai microfoni Bbc, subito fermata da un agente giordano pronto a smentire “tutte le menzogne che circolano su questo campo”.

“Il governo – dichiara – ha soddisfatto i bisogni fondamentali dei rifugiati, i problemi li stanno causando i sostenitori del regime siriano”.

Eppure – secondo diverse testimonianze – la settimana scorsa 300 uomini delle forze dell’ordine avrebbero chiuso la strada principale e sparato gas lacrimogeni contro manifestanti pacifici che protestavano contro la qualità del cibo e la mancanza d’acqua pulita.

Sta di fatto – osserva la Bbc – che polizia e soldati pattugliano il perimetro del campo giorno e notte: “Viviamo in una prigione”, insiste Saeed Howshan, mentre il buio della notte avvolge la distesa di tende di Za’atari, e le autorità costringono la giornalista ad abbandonare “immediatamente” il campo.

Perché potrebbe essere “pericoloso” sostengono, colti da improvvisa amnesia: appena qualche minuti prima avevano dichiarato che dentro al campo “tutto filava liscio, infiltrati permettendo”.

November 4, 2012

di: Francesca ManfroniGiordania,Siria,Articoli Correlati:

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