Nell’ultima riunione della Lega Araba i paesi sunniti hanno definito “terroristica” la natura di Hezbollah, inserendo il movimento libanese all’interno delle proprie black-list. Una nuova mossa della partita a scacchi in cui si affrontano da un millennio i due blocchi del mondo islamico.
Nel corso del summit del Cairo dell’11 marzo scorso, il Consiglio decisionale dei 22 paesi della Lega Araba ha dichiarato il movimento islamista-sciita libanese Hezbollah “un’organizzazione terroristica”.
La risoluzione, approvata dai ministri degli Esteri di tutti i suoi membri ad eccezione di Libano e Iraq, è arrivata una settimana dopo che un altro organismo intra-arabo – il Consiglio di Cooperazione dei paesi del Golfo (GCC) – aveva preso la medesima decisione.
Le due organizzazioni internazionali sarebbero giunte a tale decisione per la presunta attività di reclutamento di miliziani promossa dal Partito di Dio tra Medio Oriente, Golfo e Nordafrica per colpire obiettivi civili del mondo arabo.
Dopo essere stato inserito nelle black-list di Stati e organizzazioni occidentali – Unione Europea, Stati Uniti, Israele, Francia, Paesi Bassi, Canada e Australia – Hezbollah è stato dunque accusato di terrorismo anche dalla parte di mondo a lui più vicina.
A ben vedere, la questione va ad inserirsi nella millenaria tensione che contrappone i seguaci di sunnismo e sciismo da oltre un millennio. Data la crescente tensione delle due correnti musulmane all’interno dello scacchiere mediorientale, il carattere politico della mozione – presentata tanto alla Lega Araba quanto al GCC dall’Arabia Saudita, culla dell’Islam sunnita – appare abbastanza evidente. Hezbollah rappresenta infatti uno dei baluardi del panorama sciita.
Fondato nel 1982 in reazione all’invasione israeliana del Libano meridionale, fedele alleato dell’Iran (paese che nel 1979 dell’Islam sciita ha fatto la sua religione di Stato) e dotato di una potente ala militare, da sempre Hezbollah accosta alla sua attività di politica interna un crescente impegno sul piano internazionale.
Nell’ultimo quinquennio, in particolare, il movimento ha mostrato grande reattività al crescente caos dei paesi mediorientali, prendendo attivamente parte insieme all’Iran alle guerre di Siria e Yemen, sostenendo rispettivamente Bashar al-Asad (di fede sciita-alawita) e i miliziani Huthi (di religione sciita-zaydita).
In entrambi i campi di battaglia, dunque, i miliziani libanesi si sono trovati ad assumere posizioni antitetiche a quelle dei Sauditi, schierati al fianco delle milizie islamiste ribelli in Siria e a capo di una coalizione intenta a reprimere la ribellione huthi/sciita nello Yemen occidentale).
Più che a specifici e recenti avvenimenti che portino a ritenere “terroristiche” le attività di Hezbollah, le pronunce delle due organizzazioni intra-arabe sembrano dunque legate ai contrasti religiosi e politici che da sempre dividono il mondo arabo-islamico.
Non devono stupire, in questo senso, il voto contrario alla mozione saudita dell’Iraq – unico paese arabo, insieme al Libano, ad essere guidato da un governo composto anche da ministri di fede sciita – e l’immediata condanna arrivata da Teheran all’indirizzo della Lega araba.
L’iniziativa saudita rappresenta l’apice del peggioramento delle relazioni tra Riyad e Beirut iniziato lo scorso 10 gennaio, quando il Libano si era rifiutato di votare a favore di una mozione della Lega araba – presentata anche in quel caso dall’Arabia Saudita – che condannava le interferenze dell’Iran all’interno del mondo arabo.
A questa, tra le varie misure prese dalla casa reale saudita, era seguito il taglio di un aiuto economico da 4 miliardi di dollari che Riyad aveva destinato all’Esercito nazionale libanese e la diffida ai viaggiatori di nazionalità saudita a recarsi verso il paese dei Cedri.
Secondo Hasan Nasrallah, leader di Hezbollah dal 1992, le misure promosse dall’Arabia Saudita in seno a Lega Araba e GCC sono mirate all’isolamento del suo partito in Libano e all’esasperazione delle tensioni all’interno del paese.
L’aria che si respira a Beirut e dintorni, in effetti, non sembra promettere nulla di buono: il paese versa ormai da anni in una profonda crisi economica, complice la presenza sul territorio di 2 milioni di rifugiati siriani e palestinesi (su una popolazione di poco più di 4 milioni di persone) che ha fatto impennare un già alto tasso di disoccupazione. A tali problematiche si accostano una serie di difficoltà politiche, che comprendono l’assenza di un governo (che il primo ministro non riesce a formare da oltre 2 anni) e la crescita di scontri e tensioni tra i vari gruppi sociali e religiosi presenti nell’eterogenea società libanese.
Dopo essersi concentrata sul terreno di Siria, Iraq e Yemen, la guerra per procura tra Iran e Arabia Saudita, dunque, sembrerebbe sul punto di raggiungere anche il Libano.
La rivalità politica tra sunniti e sciiti si sta dirigendo verso quello che ogni giorno di più assume i contorni di un punto di non ritorno. Oltre alle relazioni tra paesi, essa rischia di minare la convivenza pacifica delle diverse comunità religiose che compongono gli eterogenei mosaici di alcune società arabe.
Oltre al caso del Libano, le frizioni intra-comunitarie sono crescenti anche in Iraq, teatro nell’ultimo biennio di decine di attentati di stampo religioso; in Bahrain, in cui regna una casa reale sunnita storicamente discriminante nei confronti della maggioranza bahreinita sciita; e in Kuwait, vittima, il 26 giugno 2015, di un attentato a una moschea sciita.
March 18, 2016di: Luigi Giorgi Arabia SauditaIran,Libano,Qatar,Yemen,