Prima la Rivoluzione del 25 gennaio 2011, che ha rovesciato il regime trentennale di Mubarak e ha portato alla presidenza Mohammed Morsi, primo presidente democraticamente eletto nella storia egiziana, espressione dei Fratelli Musulmani. Poi le oceaniche manifestazioni popolari del 30 giugno che, appoggiate da tutti gli apparati di sicurezza, esercito compreso, ne hanno chiesto la caduta. Infine colpo di Stato del 3 luglio 2013.
di Jasmine Baraem*
Da allora non solo la storia che i miei figli leggeranno nei libri sarà ancora una volta intrisa dell’eroica immagine di un esercito di salvezza, ma la società stessa è divenuta, nuovamente, un palcoscenico da cui l’attore principale, il Generale Al Sisi, colui che ha deposto Morsi, brilla sotto ogni forma: letteralmente.
Dico nuovamente perché quello a cui stiamo assistendo è un triste déjà vu che riporta la memoria a Nasser. Anche lui, più che un uomo politico, divenne una vera e propria celebrità che aveva conquistato ogni spazio sociale arrogandosi il titolo di eroe e salvatore della patria esattamente come Al Sisi.
Ciò che li lega, oltre questa situazione a tratti comica se non avesse risvolti sanguinari, è che il primo, Nasser, aveva avuto in passato strettissimi legami con la Fratellanza Musulmana ed il secondo, Al Sisi, fu accusato di essere molto vicino al regime di Morsi. Entrambi i generali hanno lottato e lottano affinché il gruppo e la popolarità dei Fratelli Musulmani finiscano per sempre.
Vedere poster, magliette, portachiavi, segnalibri, calendari, bandiere e sciarpe con il viso di Gamal Abdel Nasser è ormai una cosa talmente naturale in questo paese che nessuno ci fa più caso.
Anche se bisogna ammettere che il volto di Al Sisi sta affiancando quello di Nasser quasi a volerlo sostituire. Una vera e propria “Al Sisi-mania” che produce gadget e souvenir dedicati al generale, ma anche pigiami ed intimo femminile con il suo viso disegnato, cioccolatini e dolcetti, portachiavi, accendini e magliette. E poi ancora negozi in suo nome, panini di fast food a lui dedicati, olio da cucina con il suo volto e calendari, segnalibri ed addirittura video di spogliarelli con il suo poster in mano.
I media locali non fanno altro che alimentare l’idea di un popolo innamorato del Generale, di donne che “ad un suo cenno cadrebbero ai suoi piedi” o “pronte a darsi a lui in spose”, come dichiarato da diverse giornaliste egiziane.
Canzoni sono state dedicate ad Al Sisi e all’esercito, cantate a squarciagola nei matrimoni, alla radio o in televisione, dove ormai “Teslam layedi” (il nome della canzone) è quasi un inno nazionale.
Ma tutto questo rappresenta davvero il popolo egiziano? Un generale, di nuovo, come lo furono Mubarak e Nasser, un membro di quell’esercito che da 60 anni con un pugno di ferro impedisce alla democrazia di affacciarsi in questo paese, è davvero questo che gli egiziani “adorano”?
Parallelamente alla “Al Sisi-mania” è nata la “Rabaa-mania”.
Rabaa Al Adaweya è il nome della piazza al Cairo che per quasi due mesi ospitò una imponente manifestazione. Il sit-in nacque pochi giorni prima delle manifestazioni contro Morsi del 30 giugno scorso e proseguì per protesta in seguito al colpo di Stato.
Raccoglieva non solo i sostenitori della Fratellanza Musulmana, ma anche coloro che avevano votato Morsi e coloro che si opponevano al colpo di Stato. Il 14 agosto il sit in fu violentemente disperso dalle forze di sicurezza e in un giorno solo morirono quasi 1.000 persone.
Questo tragico evento ha trasformato Rabaa nel simbolo dell’opposizione al colpo di Stato, rappresentata dal simbolo delle 4 dita alzate, Rabaa, ovvero “quarto”. Da allora, nonostante il simbolo di Rabaa sia considerato fuorilegge e sinonimo di terrorismo da parte del governo ad interim e dell’esercito, si trova dappertutto.
Sono nati dolci di Rabaa, poster, magliette, segnalibri, portachiavi, anelli, sciarpe, gadget, e in Turchia perfino una marca di Coca-cola è stata chiamata così. Anche per Rabaa sono nate tante canzoni, una delle quali è proprio una rivisitazione di quella dedicata all’esercito.
Persino i nomi dei nuovi nascituri fanno parte di questo scontro: Rabaa per le femmine e Al Sisi per i maschi. L’unica differenza, sostanziale, tra la “Rabaa-mania” e la “Al Sisi-mania” è che esporre simboli della prima è quasi un reato e si rischia il carcere mentre la seconda è legalmente accettata.
Se le quattro dita indicano Rabaa, le due dita a simbolo di vittoria indicano sostegno ad Al Sisi e le tre dita (come a fare ‘OK’) sono il simbolo di coloro che non vogliono ne’ l’esercito, ne’ i residui del regime di Mubarak e nemmeno la Fratellanza Musulmana.
Le tre dita sono il simbolo delle tre richieste principali della Rivoluzione del 25 gennaio 2011, ovvero “pane, libertà, giustizia sociale” e sono usate dai gruppi e movimenti rivoluzionari che sono scesi in piazza il 25 gennaio per far cadere il regime di Mubarak ma anche il 30 giugno, durante le manifestazioni contro Morsi.
Tra musica, gadget in auto o espressioni verbali, moltissimi egiziani ci tengono molto a far vedere da che parte stanno.
Esonerati naturalmente da queste manifestazioni simboliche sono tutti quegli egiziani, circa il 40% della popolazione, che non sanno leggere e scrivere, che vivono di stenti, che non mangiano due pasti al giorno, che dormono per strada o vivono in villaggi senz’acqua e senza servizi minimi sanitari. Se per 60 anni queste persone sono state assistite e sostenute dalle iniziative sociali dei Fratelli Musulmani, laddove mancava il governo per scarso interesse verso lo sviluppo del popolo, oggi, in questo clima di “guerra fredda” si trovano isolate e non partecipi e in base alla situazione e alla loro specifica convenienza “tifano” per l’una o l’altra fazione.
Chi sembra essere invece pienamente consapevole è la componente degli studenti universitari, in sciopero e proteste dal giorno del colpo di Stato ad oggi.
Manifestazioni enormi quelle studentesche, che hanno coinvolto anche professori unitisi alle proteste. Gli studenti in maggioranza sono pro-Morsi, ma una buona fetta è sostanzialmente contro il ritorno di un regime militare in Egitto. Sono stati boicottati esami universitari con scioperi ad oltranza che durano fino ad oggi in moltissime università di tutto il paese.
Le proteste sono notevolmente aumentate dopo l’arresto di 14 ragazze pro-Morsi (di età compresa tra i 16 e 22 anni) condannate ad 11 anni di carcere per aver partecipato ad una catena umana a sostegno del deposto presidente portando in mano dei palloncini sui cui era disegnato il palmo giallo di Rabaa.
Prima di loro 12 studenti erano stati condannati a 17 anni di carcere per aver distrutto l’ufficio del rettore durante manifestazioni pro Morsi e contro il golpe militare. Questi arresti hanno contribuito all’aumento delle proteste non solo nelle università ma anche nelle strade da parte di coloro che non sostengono in nessun modo l’esercito. L’uccisione poi di un giovane studente di ingegneria nell’Università del Cairo nei giorni scorsi per mano delle forze di sicurezza, è stata la goccia finale di un mare di rabbia sfociata in incontenibili proteste studentesche in tutto il paese.
Le manifestazioni non coinvolgono solo le città più grandi come Il Cairo o Alessandria d’Egitto, ma sono sparse un po’ dappertutto, dal nord al sud del paese. Molto spesso si verificano scontri “tra fazioni”, ovvero tra sostenitori dell’esercito e sostenitori di Morsi o anti golpe.
Molte volte ai passaggi delle marce che espongono il simbolo di Rabaa la gente tira acqua dalle finestre sui manifestanti o terra dai vasi del balcone. Altre volte invece c’è partecipazione silenziosa con semplice esposizione delle 4 dita, e molto spesso è capitato di assistere a scene in cui le forze dell’ordine disperdono manifestazioni “aiutate” dai sostenitori dell’esercito, che li affiancano tirando sassi ai manifestanti con il placet della polizia.
Queste situazioni non fanno altro che aumentare la spaccatura sociale nata dopo il colpo di Stato. Se durante il regime di Morsi il popolo era diviso politicamente, come dappertutto nel mondo, tra sostenitori del presidente ed oppositori, oggi gli egiziani sono divisi per identità.
Sostenere Rabaa ed opporsi al colpo di Stato è divenuto sinonimo di mancanza di amore per il paese, mancanza di rispetto per le Forze Armate che da sempre proteggono l’Egitto, mancanza di patriottismo. Al contrario idolatrare Al Sisi, baciare gli anfibi dei militari (come è successo a Tahrir durante le giornate che sono seguite al golpe), rispettare incondizionatamente le forze dell’ordine significa amare il paese.
Molte amicizie sono finite, addirittura matrimoni o fidanzamenti, anche i rapporti familiari sono cambiati. Se sei con Rabaa e “la tua metà” sostiene Al Sisi inevitabilmente quest’ultima è una persona che non ha rispetto per la vita umana, visto che appoggia chi ha ucciso in cinque mesi circa 1.700 persone (il numero ufficiale delle vittime dal 3 luglio ad oggi). Se sei con Al Sisi e il tuo “altro” è con Rabaa allora hai davanti senza dubbio un terrorista, un analfabeta che non sa quello che dice, oppure qualcuno pagato dalla Fratellanza Musulmana.
Purtroppo per 60 anni agli egiziani non è stato concesso di criticare, o avere opinioni ed esprimerle liberamente.
Se tutte queste simbologie ed esternazioni sono da una parte positive, dall’altra allontanano sempre di più la possibilità di una comunicazione democratica tra il popolo che non sia mirata a “classificare” tra loro gli egiziani.
*Jasmine Baraem, blogger italo-egiziana, è nata a Roma e vive al Cairo dal 1997. Dopo la Rivoluzione del 25 gennaio 2011 ha aperto il blog “Diario della Rivoluzione egiziana” (qui la fan page di Facebook), inizialmente per passione e poi “per dovere e amore per l’informazione”. Si definisce liberale e musulmana e ci tiene a sottolineare che non ha votato per la Fratellanza ne’ ha sostenuto Morsi, ma è contraria ad un governo guidato nuovamente dall’esercito.
December 09, 2013di: Jasmine Baraem*Egitto,Articoli Correlati:
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