di Marco Di Donato I rapporti fra Libano e Francia affondano le proprie radici nella storia, in quella volontà dell’Eliseo di proteggere la comunità cristiana d’oriente fornendole una nazione in cui vivere e prosperare. Oggi la lingua francese è ancora di uso comune e per molti Parigi è quasi una seconda casa. Eppure, la recente ‘battaglia’ del presidente Hollande non sembra essere stata particolarmente gradita all’elite politica libanese. Partendo dal ministro degli Interni, Marwan Charbel, che si è scagliato contro la decisione adottata dal governo d’oltralpe sostenendo che se l’Eliseo “ha deciso di ammettere il matrimonio fra due sessi”, da parte sua “il Libano ribadisce la sua ostlità all’omosessualità” Di qui l’allarme lanciato dal blogger Elie Fares, secondo cui il paese dei cedri si appresta a diventare una ‘no-gay zone’.
La definizione del Libano come ‘oasi della tolleranza’ è stata recentemente proposta dal giornalista Shane Farrel, che ha indagato la realtà omosessuale libanese chiedendosi se davvero Beirut sia quel paradiso di libertà di cui molti parlano. Risultati contraddittori che spingono lo stesso Farrel ad osservare che “mentre i gay bar e i club sono la normalità, l’articolo 534 del codice penale libanese definisce come illegale ogni atto sessuale contrario alla natura umana”. E se è vero che viene raramente applicato, è altrettanto innegabile che l’omosessualità resta un fenomeno tollerato piuttosto che socialmente accettato. Eppure in Libano ha sede un’agenzia di viaggi – la ‘LebTour’ – che si occupa di organizzare viaggi e escursioni per una clientela prettamente omosessuale, così come la rivista ‘Gay Star’ eleva Beirut a “paradiso gay”.
Restando sulla legislazione libanese, non vanno poi dimenticati i cosiddetti “test per determinare l’orientamento sessuale di una persona”, quelli che la comunità Lbgt ha ribattezzato i ‘test della vergogna’. Qualsiasi individuo arrestato e condotto in caserma può essere sottoposto a questa forma di “controllo sessuale”, qualora gli agenti di polizia lo ritengano necessario. E anche se il sindacato dei medici ha espressamente vietato ai suoi iscritti tale pratica, denunce in merito sono giunte nel giugno 2012 dall’attivista Nizar Saghieh, che durante una conferenza stampa ha denunciato come i test abbiano lo scopo dichiarato di “intimidire” la cittadinanza. Ed è sempre Saghieh a rivelare che alcune donne libanesi continuano a essere sottoposte a test sulla verginità per controllare se esercitino forme di prostituzione, proprio come è accaduto recentemente a manifestanti egiziane nelle stazioni di polizia del Cairo. Agli omosessuali tocca invece l’ispezioni del retto anale e l’analisi dello sperma, pratiche che la comunità Lgbt condanna come ‘inutili, dannose e discriminatori’ in quanto basate su criteri medici del diciannovesimo secolo. Pratiche intimidatorie tese a violentare psicologicamente gli individui, espressione di un atteggiamento omofobico che, nonostante l’apparenza, resta evidentemente vivo anche all’interno della società libanese. Foto by Flag-map_of_Lebanon.svg: Darwinek Gay_flag.svg: derivative work: Fry1989 eh? 00:27, 10 September 2011 (UTC) (Flag-map_of_Lebanon.svg Gay_flag.svg) [CC-BY-SA-3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)], via Wikimedia Commons May 6, 2013 Libano,
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