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Il sorriso di Hosni

Giornalisti in prigione, civili a giudizio nei tribunali militari, la Fratellanza etichettata come gruppo terroristico, forze di sicurezza sempre più brutali, la candidatura di un Feldmaresciallo alle prossime elezioni presidenziali. L’ancien regime è tornato, più forte che mai.

Possiamo solo immaginare lo sguardo, soddisfatto, di Hosni Mubarak dietro i suoi spessi occhiali neri. La “rivoluzione” che lo ha umiliato, costretto alle dimissioni, obbligato in carcere prima ed in ospedale poi, sta fallendo. Giorno dopo giorno.

Poco importa se non è il figlio Gamal o qualche suo delfino ad aver preso in mano le redini del gioco: il Fledmaresciallo al-Sisi è pur sempre un militare, uno dei “suoi”: meglio lui che lasciare il Paese in mano ad uno di quei sbarbati giovani che ancora oggi nelle piazze si ostinano a gridare “abbasso il regime militare” o, ancora peggio, permettere che un presidente islamista governi legittimamente il Paese.

Mustahil, impossibile.

La stessa parola, con valori ed umori diametralmente opposti, deve essere passata per la mente dei 20 giornalisti (egiziani e stranieri) arrestati con l’accusa di terrorismo a causa della, loro collaborazione con la qatarina al-Jazeera. I loro nomi, secondo il sito egiziano Mada Masr, sono: Peter Greste, Dominic Laurence, Susane Melanie, Johanna Ideniette e gli egiziani Mohamed Fahmy, Baher Mohamed, Anas al-Beltagy ed altri due le cui identità non sono state ancora resee note. Altri 11 sono considerati fuggitivi.

Dall’atto di accusa si legge:

[Essi] trasmettono attraverso al-Jazeera per sostenere il gruppo terroristico [I Fratelli Musulmani] nella realizzazione delle loro finalità al fine di influenzare l’opinione pubblica all’estero. L’accusa generale ha ispezionato le attrezzature, gli strumenti, i filmati, i mezzi sequestrati agli imputati e ha affiancato nell’ispezione una squadra dell’Unione egiziana per la televisione e la radio nonché esperti forensi. Le loro relazioni tecniche hanno dimostrato che i filmati contenevano scene alterate e modificate, utilizzando software e apparecchiature di editing di alto livello e che utilizzavano scene a detrimento della sicurezza nazionale del paese.

L’accusa generale ha addebitato agli imputati egiziani i reati di appartenenza ad una organizzazione terroristica in violazione della legge […] la messa in pericolo delle libertà personali dei cittadini e dell’unità nazionale danneggiando la pace sociale ed utilizzando il terrorismo come mezzo per realizzare i propri scopi.
 
Ma del resto perché sorprendersi di giornalisti accusati, a causa del loro lavoro, di essere terroristi affiliati alla Fratellanza se l’Egitto è il terzo Paese più pericoloso per svolgere il lavoro di informazione dopo Siria ed Iraq? (Parola e statistiche di svariate organizzazioni internazionali)

Il governo stringe inevitabilmente il cappio della repressione dei media e, come afferma la nota attivista Sarah Carr in un suo post di Facebook, questa volta la questione è particolarmente seria ed il processo a carico dei 20 giornalisti è tutt’altro che episodico. Conferme, parziali, alle sensazioni espressa dalla Carr giungono anche da altre fonti locali che confermano come anche freelance e fotografi indipendenti siano sottoposti a controlli serrati. 

Il prossimo presidente dell’Egitto dovrà necessariamente affrontare queste tematiche. O forse no. Già perché il prossimo presidente dell’Egitto sarà con tutta probabilità il Feldamaresciallo al-Sisi, l’uomo forte, il custode dell’eredità di Nasser (stando ai media locali), con buona pace dei giovani rivoluzionari che paiono ormai del tutto destatisi dal sogno rivoluzionario. 

Molti mezzi di informazioni occidentali alcuni giorni fa si sono sorpresi ed indignati nel vedere alcune bambine (nonché donne) manifestare mettendosi sul capo gli stivali militari in segno di riconoscenza verso al-Sisi. Anceh qui trattasi di ridestamento tardivo, poiché da tempo i bambini egiziani sono divenuti mezzo privilegiato attraverso il quale propagandare il proprio messaggio: lo hanno fatto a Raba’a vestendoli di bianco, lo hanno fatto i militari facendogli cantare canzoni inneggianti l’esercito, sono stati utilizzati per i messaggi elettorali precedenti l’ultimo referendum.

La storia si ritorce contro se stessa quando il simbolo delle due dita, a forma di V, diventa non più solo il simbolo della vittoria, ma un gesto per sostenere il Feldmaresciallo al-Sisi, come se il successo e la sua figura fossero legati a doppio filo. Qualcuno lo ha definito un uomo dall’ambizione smisurata. Una ambizione, come giustamente sottolinea Hesham Sallam dalla colonne di Jadaliyya, che dovrà comunque tenere nel giusto conto la volontà dei colleghi militari senza i quali al-Sisi non avrebbe nemmeno ricevuto il via libera per la sua candidatura.

L’impressione che se ne ricava è che in realtà, dopo tre anni, le logiche di potere interne all’Egitto non siano cambiate, che in fondo la “rivoluzione” non abbia minimamente “rivoluzionati” i poteri forti che hanno continuato ad agire secondo i propri interessi, manovrando e pilotando il processo di transizione. Non è una questione di uomini, quanto piuttosto di sistema. I soggetti che lo compongono sono pedine sostituibili proprio perché molte e differenziate. Mubarak stesso è stato identificato con il sistema, ma quando è uscito di gioco il sistema si è reinventato ed ha retto.

La cronaca locale, nel frattempo, è diventata di una drammatica ripetitività: manifestazioni, lancio di pietre, molotov, colpi di arma da fuoco, feriti, morti.

Il sorriso di Mubarak, si allarga, forse un po’ più amaro. Dopo essersi dimesso, dopo aver scampato una pena all’ergastolo, dopo essere stato rilasciato per motivi di salute, in fondo lui è ancora lì. Più anziano, più malato, depauperato dei propri poteri ma sempre presente sebbene sotto altra forma: con aspetto diverso il luccichio delle mostrine rimane ben in vista ad abbagliare il popolo. Non sarà lui ma al-Sisi, non più il NDP ma l’immacolato Masr Baladi.

Cambiando gli addendi il risultato, però, non cambia: i militari rimangono sempre al loro posto ed è forse questa l’unica grande consolazione del trentennale dittatore.

Amira Howeidy ha recentemente intitolato un suo articolo per il settimanale al-Ahram con queste parole: Ancien régime comeback sparks fear, ossia il ritorno dell’ancien regime diffonde paura. Purtroppo è solo una questione di punti di vista.

January 31, 2014di: Marco Di DonatoEgitto,Articoli Correlati: 

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