“Ecco un’altra vittima, donna e intellettuale, che è stata messa a tacere”. Così il sito Marie Claire ha commentato la presunta uccisione della scrittrice saudita Balkis (o Balqees) Melhem, assassinata dai suoi due fratelli, Mohamed e Tarek, perché considerata troppo emancipata e vicina a posizione laiche.
La notizia, uscita all’inizio dell’anno, ha fatto immediatamente il giro del web, ripresa da numerosi siti e blog, in Francia e perfino in Italia, condivisa sui social e retwittata, suscitando commenti di sdegno e riprovazione contro il regno wahabita e in generale contro la religione islamica.
Peccato che, almeno questa volta, si tratti di una notizia falsa.
E’ bastato fare un piccolo controllo sempre online per rendersi conto che si trattava dello stesso pezzo copiato e incollato in tutti i siti (un vero e proprio loop), in cui si parla di non meglio specificate “fonti saudite” che certificherebbero il coinvolgimento nell’omicidio dei due fratelli della donna, entrambi ultra-religiosi.
“Secondo informazioni attendibili – si legge nell’articolo – le autorità saudite del ministero dell’Interno hanno arrestato i colpevoli grazie alla denuncia presentata dal figlio della defunta scrittrice, che accusava lo zio di aver ucciso sua madre. Le autorità stanno proseguendo con le indagini e hanno reso nota la falsificazione del certificato di morte, che descrive la morte di Balkis come naturale, mentre si tratta di un atto infame su uno sfondo di estremismo religioso all’interno della famiglia”.
Andando ancora più a fondo nella ricerca di fonti, si scopre non solo che la notizia è falsa, ma che era già uscita a maggio, tale e quale, nel giornale News of Tunisia, da cui i media occidentali alla fine l’avrebbero ripresa. Anche quella volta il pezzo era stato rigirato da numerosi giornali, con tanto di fotografia che in realtà ritrarrebbe un’altra persona, la giornalista saudita Samar Al-Mogren.
Il pezzo descrive Balkis Melhem come laureata al Dipartimento di Studi Islamici all’Università re Faycal e insegnante della scuola primaria, ma nota soprattutto per i suoi romanzi e i suoi articoli, in cui avrebbe perfino criticato l’ignoranza della famiglia del profeta. Il sito tunisino riproduce un lungo testo che Balkis avrebbe scritto pochi giorni prima della sua morte, e che sarebbe stato all’origine del delitto:
“Ci hanno insegnato che chi non esegue la preghiera di gruppo in moschea è un ipocrita! Mio padre era uno di questi. […] Che chi fuma è un fornicatore! Mio fratello Mohamed è uno di questi. […] Che la mia amica Salwa, che mi ha invitato al suo compleanno, è una cattiva compagnia! Che la nostra governante cristiana è impura! […]”
Il testo continua tutto su questo tono, e finisce con una domanda: “Continuo a chiedermi: perché ci insegnano a odiare gli altri?”
A far luce sulla questione è stato soprattutto il sito Rue89, testata partner del Nouvel Observateur, che spiega come in rete sia difficile addirittura trovare traccia di questa scrittrice, tanto che alcuni si sono interrogati sulla sua reale esistenza.
In realtà, pare che la donna esista davvero e che sia veramente una scrittrice, autrice di una raccolta di racconti dal titolo “La vedova di Ziriab”, uscita nel 2008, e di un romanzo, oltre che vincitrice di un premio letterario assegnato nel 2012 dal sito NajiNaaman.org.
Proprio la Fondazione Naji Naaman per la Cultura Libera (FCG) ha rassicurato i giornalisti: “Le voci sulla morte di Balkis risalgono al 2012. Grazie a Dio lei è ancora viva”. E sul fatto che sul sito del premio letterario l’unica foto che non appare sia proprio quella di Balkis aggiunge: “Ce l’ha mandata in ritardo. E anche quando siamo riusciti ad averla (scattata con il niqab), ci ha chiesto di non pubblicarla”.
Balqis stessa aveva smentito già la prima volta le voci insistenti sul suo assassinio, additando come responsabili per la loro diffusione le tensioni intorno alla condizione delle donne in Arabia Saudita.
“Lei non è una scrittrice molto nota in Arabia Saudita. Ma per qualche strana ragione, la voce del suo omicidio continua a riapparire all’estero e nei media internazionali, anche se lei continua a negarlo” commenta sempre a Rue89 il corrispondente del Wall Street Journal in Arabia Saudita, Ahmed Al Omran.
Tra le bufale che girano online, e per cui sono nati tantissimi siti che con pazienza cercano di smascherarle, quelle a sfondo religioso paiono essere tra le più gettonate.
Spesso si tratta di rumors nati anche da informazioni fondate, ma che vengono poi deformate o messe fuori contesto. Come quando lo scorso novembre, una citazione dal ministro angolano della Cultura che affermava di voler “vietare le sette” nel suo paese aveva causato due giorni di turbolenze internazionali e persino proteste in diversi paesi musulmani contro quello che era stato interpretato falsamente come “un divieto dell’Islam” e intenzione di distruggere tutte le moschee in Angola.
Ma ad andare per la maggiore sono proprio le bufale sull’Islam e i musulmani.
Come il video della falsa decapitazione in Siria di padre François Mourad (ucciso invece in una sparatoria), o la famosa mail sul cosiddetto massacro dei cristiani ad opera dei musulmani in Nigeria, che mostrava una foto di corpi carbonizzati in realtà scattata dopo l’esplosione di una cisterna in Congo. Tanto da far dire a William Brossard, co-fondatore del sito anti-bufale Hoaxbuster e citato dal sito cattolico francese La croix, che su Internet “un rumor su due è islamofobo” e che “gli ultimi due o tre anni, il 50% delle richieste di verifica” ricevute dal suo sito avevano a che fare proprio con questa religione e i suoi praticanti.
In realtà capita anche ai portali di informazione più autorevoli di cadere in trappole del genere, com’è accaduto nel caso di Amina, la blogger lesbica siriana rivelatasi in seguito un uomo etero americano (questa in realtà era ben congegnata e più complessa rispetto alle solite).
Se smascherarle non è difficile, a sorprendere è più il ripresentarsi delle stesse, tali e quali, anche dopo il disvelamento.
Probabilmente alla base dell’enorme diffusione di tutte queste notizie prive di fondamento c’è la pigrizia di chi vi si imbatte e non ha voglia o il tempo di cercare un riscontro e di verificarne la veridicità, come succede spesso al giornalismo di oggi, tutto lanci veloci, citizen journalism e social network. Per poi cavarsela, com’è successo per il caso della scrittrice saudita, con la rimozione del pezzo dal sito (comunque rintracciabile attraverso Google Cache, l’archivio in cui sono salvate, almeno temporaneamente, le copie di tutte le pagine internet che il motore di ricerca ha indicizzato), o con un’onesta smentita.
Ma davvero è solo pigrizia o disattenzione? Secondo il sociologo Pascal Froissart, questo tipo di disinformazione funziona anche “come un banco di prova per testare l’opinione pubblica”.
Inoltre, queste voci sarebbero spesso usate come arma politica, soprattutto quando c’è conflitto tra le comunità, ed è in questo contesto che, secondo lo studioso, si può comprendere l’aumento delle bufale che denunciano presunte atrocità commesse dai gruppi islamici in Siria e in Egitto oggi, come ieri in Iraq.
*Foto by Walter Callens via Flickr in CC.
January 09, 2014di: Anna ToroArabia SauditaEgitto,Iraq,Siria,
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