Per ogni soldato occidentale ucciso durante l’occupazione sono morti 24 civili iracheni. E’ il bilancio di nuovo studio sugli effetti della Seconda Guerra del Golfo.
Durante l’occupazione straniera dell’Iraq, ed esattamente nel periodo 2003-2011, sono stati uccisi 116.903 civili contro 4.804 militari stranieri, soprattutto americani.
Le cifre dimostrano che la Seconda Guerra del Golfo potrebbe rivelarsi il più sanguinoso conflitto del secolo e uno dei peggiori per vittime non militari.
“La proporzione di 24 a 1 è la più alta mai registrata”, confessa Barry Levy, medico e professore presso la Tufts University (USA) e co-autore dello studio apparso su Lancet.
Per stilare il numero di civili iracheni uccisi durante gli 8 anni su cui si sofferma il rapporto, i ricercatori hanno fatto riferimento anche alle statistiche dell’Iraq Body Count (IBC), un’iniziativa indipendente nata per far luce sulle conseguenze delle violenze contro la popolazione civile.
Un orrore che potrebbe assumere contorni ancor più drammatici a detta di Mike Spagat, ricercatore presso l’Università di Londra, secondo il quale i civili uccisi per ogni vittima militare potrebbero arrivare a 30, incrociando i dati IBC con le rivelazioni fatte da Wikileaks nel 2010.
Ed è lo stesso Iraq Body Count a pubblicare il conteggio delle vittime di questo mese, fino al 21 marzo 2013: 306, di cui 10 nel giorno del decimo anniversario dall’invasione americana, con il bilancio dell’ondata di attentati che hanno insaguinato il paese martedì che si è fermato a quota 79 morti.
Solo durante il 2012, l’IBC ha registrato il decesso di oltre 4.500 persone, un record negativo che vede il numero delle vittime crescere per la prima volta dal 2009.
Il paese resta quindi intrappolato in uno stato di guerra a bassa intensità, dove alla violenza quotidiana si sommano degli attacchi ‘occasionali’ condotti su vasta scala e mirati a uccidere più persone in un colpo solo, proprio come è accaduto il 19 marzo.
Gran parte dello studio è poi dedicato a quello che resta dopo la Seconda Guerra del Golfo: oggi in Iraq si assiste a un deciso aumento delle malattie mentali, a cui si somma la strage silenziosa dei bambini ben documentata dai tanti studi scientifici pubblicati in questi ultimi anni, che paragonano i tassi di malformazione dei neonati di Falluja a quelli di Hiroshima e Nagasaki.
La ricerca sottolinea inoltre gli effetti devastanti sul flusso di profughi (milioni) e sull’elevato livello di contaminazione registrato in alcune aree del paese legato all’uso dell’uranio impoverito.
Abbandonati dal loro governo e dalla comunità internazionale, a partire dal 2003 almeno un iracheno su cinque ha lasciato la propria abitazione per cercare riparo altrove, dentro e fuori dai propri confini.
Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni sarebbero meno del 10% quelli che hanno deciso di rientrare, e spesso coloro che l’hanno fatto non hanno ritrovato la propria casa. Gli sfollati interni sono costretti a vivere in sistemazioni abusive senza accesso all’acqua pulita e ai servizi igienici.
E ancora: nell’Iraq del 2013 solo il 38% della popolazione ha un’occupazione lavorativa contro un 22,5% di persone che sopravvive con appena 2 dollari al giorno.
Dati altrettanto sconfortanti riguardano i servizi fondamentali: a fronte di sole sei ore di elettricità intermittente al giorno, un iracheno su quattro non ha accesso all’acqua potabile.
Attualmente, un quinto della popolazione fra i 10 e i 49 anni è analfabeta, mentre negli anni Ottanta l’Iraq vantava una posizione di primato nella regione per l’alto livello di istruzione dei suoi cittadini.
Stando alle stime del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, negli ultimi dieci anni 4 milioni e mezzo di bambini sarebbero rimasti orfani e una donna su dieci vedova.
Infine, sono circa 600 mila i minori che vivono in strada senza accesso ai servizi essenziali come il cibo e la casa, e 700 sono invece ospitati nei pochi orfanatrofi del paese.
March 21, 2013di: Francesca ManfroniIraq,
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