Come si è arrivati alla disgregazione dello Stato iracheno, che ha spianato la strada all’avanzata dell’IS? Lo studioso turco Ali Gökpınar indaga la logica del processo di “de-ba’athificazione” messo in atto in Iraq a partire dal 2003. Esaminandone le origini, l’attuazione e gli effetti, fino ad arrivare alle conseguenze più recenti.
Come siamo arrivati all’attuale disgregazione dello Stato iracheno, che ha spianato la strada all’avanzata dello Stato Islamico (IS)? Secondo lo studio di Ali Zeynel Gökpınar, accademico turco e collaboratore del sito “Today’s Zaman”, la debolezza odierna è in gran parte attribuibile alle conseguenze della “de-ba’athificazione”, ovvero il processo di epurazione dei sunniti appartenenti al partito di Saddam Hussein da tutti gli apparati di governo e istituzioni, messo in moto a partire dalla caduta del dittatore nel 2003.
Intitolato “La logica di de-ba’athificazione dell’Iraq: ricostruzione o distruzione?”, lo studio di Gökpınar indaga la logica di questo processo esaminandone le origini, l’attuazione e gli effetti, dalla sua nascita – la legge apposita promulgata nel maggio 2003 dall’allora amministratore Usa del territorio, Paul Bremer – fino alle conseguenze più recenti.
Eccone alcuni estratti.
“Il confronto dell’Iraq con l’eredità istituzionale e sociale del partito Ba’ath è uno dei casi più controversi della giustizia di transizione. Il Ba’ath in Iraq ha governato dal 1968 fino all’invasione guidata dagli Stati Uniti del 2003. La sua leadership e le alte sfere venivano esclusivamente dalla minoranza sunnita e in particolare dalla città di Tikrit, anche se tra le fila del partito c’erano anche sciiti e curdi. Il partito ha istituito un regime nazionalista arabo laico basato sui principi di unità, libertà e socialismo”.
“Saddam Hussein è salito al potere dopo aver costretto suo cugino e presidente iracheno, Ahmed Hassan al-Bakr, a dimettersi nel 1979. Ha consolidato il suo regime autoritario che operava su un sistema di violenza, repressione di Stato e ricompense per i seguaci. Gli orrori del Ba’ath sono tristemente famosi, e si estendono dalla campagna genocida di Anfal contro i curdi nel 1988 alla repressione continua degli sciiti fino a una guerra prolungata contro l’Iran e l’invasione del Kuwait”.
“Così, una domanda chiave dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003 è stata: come l’amministrazione statunitense e il nuovo regime iracheno avrebbero trattato con il partito Ba’ath e i suoi funzionari? In particolare, ci si poneva di fronte a un dilemma pressante: gli ex funzionari del partito Baath dovevano essere esclusi dalle nuove strutture governative e statali oppure no?”
Gökpınar si sofferma quindi sul concetto di “lustrazione”, usato in diversa misura anche nei processi di transizione dei paesi dell’Europa centrale e orientale post-comunisti, definendolo un processo dalla duplice natura: amministrativa così come un rituale di purificazione sociale, “che simboleggia una nuova partenza rispetto al vecchio regime, porta alla democratizzazione della società, e trasforma la cultura politica”.
In Iraq la “lustrazione”, che ha preso appunto il nome di “de-ba’athificazione”, si è istituzionalizzata attraverso le leggi promulgate dall’allora leader statunitense della Coalition Provisional Authority (CPA), Paul Bremer. L’Ordine Generale n.1 sanciva che i membri del Ba’ath non potessero occupare nessuna carica nei primi tre livelli di ogni istituzione governativa.
Il secondo ordine di Bremer ha invece decretato lo scioglimento dell’esercito iracheno, smobilitando 400mila coscritti ben addestrati, “ma non è riuscito a raccogliere le loro armi e offrire loro un percorso per il futuro, cancellando formalmente la capacità istituzionale dello Stato iracheno, la memoria e la forza lavoro qualificata. I dati dell’Alta Commissione Nazionale della de-ba’athificazione (HNDC) dicono che questi ordini generali al 2004 avevano già ha licenziato più di 600mila iracheni”.
Un’operazione a tappeto, fatta in fretta e furia e che ha spesso assunto i toni di una “caccia alle streghe”, ma non solo.
“L’Ordine generale n.1 si è basato sul presupposto erroneo secondo cui se una persona aveva mantenuto una posizione di primo livello all’interno del partito, doveva senz’altro aver commesso gravi violazioni dei diritti umani. Questa ipotesi ha portato la CPA e i funzionari iracheni a giudicare i baathisti sulla base della colpa collettiva piuttosto che sulla base della presunta innocenza e responsabilità individuale, anche se molte prove erano state distrutte a causa del saccheggio degli archivi del partito Baath”.
Mancando così di legittimità, secondo Gökpınar la de-ba’athificazione, piuttosto che trasformare positivamente le divisioni esistenti, avrebbe aumentato la rigida percezione dei confini etnico-religiosi, con numerosi ex baathisti che hanno formato o si sono uniti a gruppi insurrezionali già dalla fine del 2003, in un circolo vizioso che a sua volta avrebbe contribuito a una più spinta de-ba’athificazione, rendendola “strumentale alla realizzazione della fantasia di una nuova struttura statale in grado di rispecchiare gli interessi dei gruppi sciiti e curdi”.
Non facendo altro che aggravare le divisioni settarie: “La prima fase di de-ba’athificazione si è dimostrata controproducente in termini di sicurezza, e strumentale alla insorgenza della guerra civile in gran parte perché ha sradicato la capacità e la legittimità dello Stato e ha trasformato il settarismo banale in un settarismo assertivo”.
“La seconda fase della de-ba’athificazione coincide con la Costituzione del 2005 il cui articolo 7 ha sancito in modo definitivo il divieto dei simboli Ba’ath e l’interdizione degli ex baathisti da tutte le posizioni di governo a livello senior. La privazione dei diritti civili e dell’identità sunnita è stata ulteriormente aggravata dall’ascesa sciitia alla burocrazia irachena, facilitata dalla de-ba’athificazione.
“La coalizione del partito di governo al-Da’wa sotto la guida di Ibrahim al-Jaafari ha sostituito gli ex baathisti con gli sciiti e ha permesso alle milizie sciite di infiltrarsi nelle forze di sicurezza (International Crisis Group, 2008, 2006).”
“In una società altamente militarizzata che ha sperimentato tre guerre in 20 anni, l’epurazione dei sunniti in termini categorici è stata determinante nell’evocare linee di frattura nell’identità politica e religiosa dell’Iraq”.
Questo fino a che, con una strisciante guerra civile acuitasi tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006, il governo di al-Maliki intravide la necessità di una riforma del programma di de-ba’athificazione in senso più pragmatico.
“Il progetto di sensibilizzazione sunnita dell’ambasciatore Usa Zalmay Khalilzad e lo svolgimento della guerra civile si sono intrecciati con l’agenda di Nuri al-Maliki per consolidare il suo potere subito dopo la sostituzione del primo ministro sciita Ibrahim al-Jaafari”.
“Maliki si è pubblicamente impegnato a riformare la legge di de-ba’athificazione trasformandola nella Accountability and Justice Law (AJL), una legge che è rimasta nel limbo per un anno ed è riuscita a passare attraverso requisiti tecnici piuttosto che con l’approvazione del Parlamento. Maliki ha anche tentato di migliorare i meccanismi di processo esistenti mentre cercava di mostrare le sue capacità all’amministrazione Usa, ponendo fine la guerra civile, e consolidando la sua base di potere”.
In base alla riforma, “più di 80mila ex funzionari della sicurezza e militari sono stati reintegrati nel 2008, quasi un’inversione ‘a u’ nel programma di de-ba’athificazione dell’Iraq. Molte di queste persone, tuttavia, avevano combattuto contro gli Stati Uniti e le forze di sicurezza statali irachene durante la guerra civile creando sospetti tra chi riteneva che avrebbero potuto servire gli interessi dei gruppi ribelli baathisti. Tuttavia, il governo iracheno in questo modo è riuscito a smobilitare i ribelli e ad integrarli nelle strutture di sicurezza esistenti, incapaci di trattare con i gruppi di insorti”.
“Questa logica contraddittoria faceva della sicurezza la priorità, mentre la giustizia e la situazione politica restavano secondari”.
“Nonostante i ripristini del personale sunnita in campo militare e della sicurezza, si è comunque continuato a perseguire una politica di reintegrazione selettiva in ambito civile, impedendo ai sunniti di tornare alle loro posizioni e incoraggiandoli ad andare in pensione”.
E qui arriviamo all’ultimo periodo, il 2008-2013, in cui nonostante i miglioramenti formali, in pratica, “la de-ba’athificazione è diventata uno strumento di competizione politica”.
“Nonostante l’introduzione di linee guida per un giusto processo, la reintegrazione e le pensioni di anzianità, alcuni di questi meccanismi non sono mai stati tradotti in realtà grazie alla ferma opposizione di Ahmad Chalabi alla nuova normativa” (…).
L’attenzione dell’AJC (Commissione Responsabilità e Giustizia, la Corte Suprema che si occupava delle epurazioni) si è spostata quindi dai licenziamenti all’uso delle interdizioni come parte della competizione politica tra e all’interno di attori politici sunniti e sciiti.
“Nelle elezioni generali del 2010, in cui Chalabi e il suo vice, Ali al-Lami, erano candidati di un partito sciita rivale di al-Da’wa, l’AJC ha sbarrato 301 candidati a causa dei loro presunti ruoli in baathista Iraq. La maggior parte dei candidati eliminati venivano non solo da partiti politici sunniti, ma anche da partiti sciiti relativamente laici che perseguivano agende non settarie”.
“Dal 2011, Maliki ha consolidato il suo potere autoritario con la de-ba’athificazione come strumento di contrattazione politica per eliminare i suoi rivali e creare una rete di fedelissimi all’interno delle forze armate, dei servizi di sicurezza e della magistratura, indipendentemente dell’identità di gruppo”.
“Alcuni degli alleati di Maliki sono uomini forti sunniti che sono stati esentati dalla de-ba’athificazione, anche se, presumibilmente, avevano giocato un ruolo importante nella repressione statale contro i curdi e sciiti durante il regime di Saddam Hussein. Questa politica pericolosa è il risultato del controllo di Maliki sulla AJC, le cui decisioni non possono essere attuate senza la sua preventiva approvazione. Allo stesso modo la AJC ha eliminato altri 150 candidati alle elezioni provinciali del marzo 2013, ricattando il principale rivale di Maliki, la lista laica Iraqiya di Iyad Allawi”.
“L’uso della de-ba’athificazione come strumento politico dimostra che il processo è arrivato a un altro stadio, sotto il pieno controllo di Maliki, ma continua comunque a destabilizzare la politica irachena”.
“Gli effetti politici e sociali della de-ba’athificazione possono essere classificati in due categorie principali: la diminuzione dell’efficienza dello Stato e la trasformazione del settarismo. Entrambi gli effetti sono stati disastrosi per l’Iraq e hanno messo in dubbio l’impatto positivo atteso da questo processo. Anche se migliaia di baathisti sono stati epurati dalle istituzioni statali, lo Stato iracheno è diventato disfunzionale e inefficiente. Gli ex baathisti non si sono trasformati, al contrario molti sono rimasti orgogliosi del loro passato, né da tutto questo è emersa una cultura politica democratica”.
“Questo vuoto di potere è stato aggravato dal fatto che gli Stati Uniti hanno sperimentato una grave carenza a livello di truppe per far rispettare la sicurezza e impedire alla gente di unirsi a gruppi insurrezionali (…). Senza contare che l’occupazione americana e il governo in Iraq non avevano legittimità e quindi la de-ba’athificazione del paese è stata percepita come illegittima dalla maggior parte dei sunniti”.
“In altre parole, una de-ba’athificazione siffatta non è riuscita a trasformare e democratizzare la cultura politica dell’Iraq, a portare giustizia, e a piantare semi di fiducia nel governo (…). Da una parte, ha tracciato solchi più profondi tra i gruppi interni, dall’altra ha aumentato la sfiducia all’interno della società, che è non solo un prodotto, ma anche una conseguenza del settarismo. I sintomi di tali difetti di progettazione si fanno ancora sentire in tutto l’Iraq, mentre la sfiducia a livello verticale resta elevata a causa della corruzione diffusa, della mancanza di trasparenza e di uno Stato di diritto ”.
“La de-ba’athificazione è stata fondamentale nell’instabilità dell’Iraq – scrive Gokpinar nelle sue conclusioni – e si è trasformata da un programma di lustrazione a uno strumento politico che viene ora utilizzato strategicamente per ricattare i rivali di Maliki. La de-ba’athificazione dell’Iraq ha consentito agli sciiti e curdi di ascendere al potere e controllare l’apparato statale iracheno”.
“Tuttavia, la de-ba’athificazione ha contribuito poco, se non niente, alla democratizzazione dell’Iraq, all’istituzionalizzazione dello Stato di diritto, e alla trasformazione della sua cultura politica. Ha creato nuove ma ingiuste norme, e non necessariamente ha corretto difetti istituzionali che, a loro volta, hanno determinato la mancanza di affidabilità delle istituzioni. Inoltre, anche se l’epurazione di molti baathisti spietati dal potere può essere considerata come l’incarnazione di una discontinuità istituzionale con il regime Ba’ath, le conseguenze della de-ba’athificazione sono state costose per l’Iraq: questa politica ha infatti trasformato il settarismo blando in un settarismo assertivo”.
“Infine, l’attuale avanzata dello Stato Islamico in Iraq è legata alla de-ba’athificazione dell’Iraq. L’esercito Naqshbandi, fondato nel 2006 e gestito da ex ba’athisti quali Izzat Ibrahim al-Duri, ha fornito legittimità locale all’IS e ha contribuito alla conquista Mosul”.
“Questi gruppi hanno raggiunto il loro obiettivo comune di buttare giù il governo di Maliki. Eppure, questa alleanza non può tenere a lungo termine viste le contraddizioni tra gli obiettivi dell’esercito Naqshbandi (inclusione e più potere su diversi livelli del sistema di governo iracheno) e gli obiettivi dello Stato Islamico (istituzione di Califfato nei territori iracheni e siriani)”.
“Il designato primo ministro iracheno Haidar al-Abadi ha una chance importante per minare questa alleanza attraverso la costruzione di un accordo che includerà importanti figure sunnite nel nuovo governo, e prendere misure concrete per rivedere le politiche di de-ba’athificazione dei precedenti governi iracheni. Una revisione delle sfumature e la creazione di meccanismi giusti, responsabili e trasparenti possono facilitare questo processo, ma ciò significherebbe anche una ri-ba’athificazione dell’Iraq. Gli effetti politici e sociali della de-ba’athificazione (e della ri-ba’athificazione, se un tale scenario dovesse materializzarsi), rischiano di rimanere salienti nei prossimi anni”.
*Di “de-ba’athificazione”, politiche settarie e disgregazione dello Stato iracheno Osservatorio Iraq ne parla in “La crisi irachena. Cause ed effetti di una storia che non insegna”, acquistabile online qui. Il 16 ottobre verrà presentato per la prima volta a Roma, al Salone dell’Editoria Sociale.
**Questo articolo costituisce un riassunto dello studio di Ali Zeynel Gökpınar intitolato “The Logic of de-Ba’athification of Iraq: Reconstruction or Destruction?”. Per leggere il paper in versione integrale, completo di fonti e note, clicca qui. La traduzione è a cura di Anna Toro. Credit foto: © pierluigi giorgi.
October 14, 2014di: Ali Zeynel Gökpınar*Iraq,Articoli Correlati:
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