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Iraq. L’odissea delle minoranze

Prima da Mosul, ora da Qara Qosh. Gli attacchi dell’ISIS spingono alla fuga gli iracheni delle minoranze cristiane, vittime di politiche settarie che hanno reso l’Iraq un Paese lacerato e  in fiamme. 

 

 

Mentre una raffica di attentati colpisce nuovamente Baghdad e Kirkuk, per la prima volta da quando è sotto il controllo dei Peshmerga curdi – almeno una dozzina i morti – il premier Nouri Al-Maliki alza le barricate nella capitale. 

Da un lato rifiutando gli inviti statunitensi e della più importante autorità sciita irachena, l’ayatollah Ali Sistani, di formare un governo di unità nazionale, e dall’altro intensificando la controffensiva che rende sempre più duri in diverse aree del Paese gli scontri tra forze governative e ISIS (Stato Islamico di Iraq e Siria) 

Tranne a nord, dove le minoranze religiose e culturali cercano di rifugiarsi e subiscono pesantissimi attacchi.

In questa settimana ci sono stati duri scontri nella città di Qara Qosh a 30 km da Mosul, e a circa 70 da Erbil, la principale enclave cristiana del nord Iraq, dove abitano più di 40mila iracheni appartenenti a minoranze, in prevalenza cristiani. E dove in seguito all’occupazione di Mosul del 10 giugno si erano rifugiate altre 10mila persone, tra yazidi, shabaki, turcomanni e kaka’i. 

Stando a quanto riferiscono gli operatori dell’associazione italiana Un ponte per…, impegnati da giorni nella distribuzione di beni di prima necessità per le minoranze nel nord dell’Iraq, mercoledì un gruppo di miliziani – non solo dell’ISIS – ha cercato di entrare in un villaggio alle porte di Qara Qosh. In un primo momento gli attacchi sono stati respinti dai peshmerga (esercito curdo, ndr), intervenuti in soccorso essendo vicinissimo il confine con la regione autonoma kurda. A quel punto l’ISIS ha cominciato a bersagliare Qara Qosh e le zone limitrofe con colpi di mortaio. 

Colti dalla paura e la disperazione, dopo giorni senza acqua corrente ed elettricità, quasi tutti gli abitanti di Qara Qosh e della vicina Karemlesh hanno lasciato le proprie case, svuotando quasi interamente le città.

Circa 2.000 cristiani soltanto nella notte tra mercoledì e giovedì hanno attraversato i checkpoint e sono entrati nel Kurdistan iracheno. Molti di loro oggi si trovano ora ad Ankawa, il quartiere cristiano di Erbil e sono al momento ospitate da parenti ed amici. 

Gli stessi collaboratori ed operatori di Un ponte per… hanno accolto circa 25-40 persone per casa.

La situazione è allarmante. 

Dopo la fuga immediata da Mosul, con oltre 500mila persone riversatisi verso nord e attorno alla circostante piana di Ninewa, le minoranze speravano di aver trovato un minimo di sicurezza. Al contrario, sono di nuovo costrette a scappare, e non è chiaro se gli attacchi continueranno. Occorre urgentemente trovare spazi e risorse per i nuovi sfollati. 

Il vescovo di Erbil è subito intervenuto per aprire scuole, centri culturali e chiese per accogliere le persone e per trovare loro cibo e vestiti. Ieri i checkpoint di Khazar e Kalak, alle porte di Erbil, si sono nuovamente saturati di macchine e persone, per defluire lentamente col passare delle ore. 

A Qara Qosh, stando agli ultimissimi aggiornamenti, è rimasto circa un centinaio di persone, di cui 18 giovani che proteggono da soli scuole e chiese. Anche a Karamlesh sono in pochissimi ad abitare la città.

Ma gli attacchi contro i cristiani non rappresentano una dinamica degli ultimi due giorni, in Iraq. Molto prima della crescita in termini di potere dell’ISIS nel corso degli ultimi mesi, da troppo tempo le comunità cristiane e sciite (che, tra l’altro, rimane la comunità di maggioranza in Iraq) sono considerate dagli estremisti sunniti come infedeli, ladri e disprezzati in ogni modo.

Già a maggio scorso  uomini armati, forse dell’ISIS, hanno condotto un attacco contro 6 contadini yazidi a Ninewa, uccidendoli e costringendo migliaia di persone a scappare nella cittdina di Sanjar, ad ovest di Mosul, soltanto per ritrovarsi di nuovo in fuga a causa dei recenti attacchi. 

Oltre a Qara Qosh, contemporaneamente a partire da domenica, altri villaggi, abitati prevalentemente da sciiti turcomanni e minoranze cristiane, sono stati attaccati.

Domenica 22 giugno è stata una giornata di scontri e violenze nel distretto di Hamdaniyah, immediatamente a sud-est di Mosul. All’alba miliziani sunniti hanno fatto irruzione nelle abitazioni lasciando senza dimora altri 26 cittadini di origine sciita turcomanna, dopo due settimane di attacchi sporadici, in una situazione in cui mancano acqua corrente, elettricità, e gli ospedali sono quasi vuoti, sia di personale che di medicine. 

Secondo un reportage della ricercatrice di Human Rights Watch, Letta Tayler, per la CNN , al pronto soccorso locale uno dei pochi dottori rimasti in servizio, Zakar Bayati, lamenta l’assenza cronica di medicinali. “Non abbiamo nemmeno farmaci contro il veleno degli scorpioni”, ha affermato il dottore, “che trovano il loro habitat naturale in condizioni di alte temperature e scarse condizioni igieniche”. 

“Colpiscono in particolare i bambini, che di queste ferite possono anche morire”. 

Bayati, pediatra, si è trasferito al reparto di urgenza perché la maggior parte dei dottori vive a circa 25 chilometri a nord-ovest da Mosul: troppi per mettersi in viaggio in questo clima di insicurezza e con i combattenti dell’ISIS a pattugliare le strade. “In genere ci sono almeno 15 dottori primari ogni giorno. Oggi (martedì 24 giugno, ndr) siamo in 4”. 

Secondo altre voci raccolte da Tayler, la paura tra le minoranze cresce ogni ora di più. “In quanto minoranza riceviamo una doppia minaccia. Sembra che l’Iraq vada verso una divisione tra sunniti, sciiti e curdi. E noi cristiani, dove dovremmo andare?” 

Le minoranze in Iraq, concentrate d’altronde proprio nella Piana di Ninewa, hanno ragioni storiche per cui avere paura. Del più di un milioni di cristiani che vivevano in Iraq nel 2003 ad oggi ne sono rimasti circa 400mila, costretti a lasciare il Paese in un clima di politiche settarie portate avanti dal premier Al-Maliki, uscito ancora una volta vincitore dalle ultime elezioni del 30 aprile scorso. 

Non sono ancora chiare le motivazioni dell’offensiva ISIS degli ultimi giorni nelle aree nei pressi del confine curdo. 

Da un lato la piana di Ninewa è particolarmente ricca di petrolio, e per questo risulta di interesse strategico sia per i peshmerga, che nei giorni scorsi hanno riconquistato la città petrolifera di Kirkuk, al confine curdo, che per l’ISIS. Entrambi sembrano essere ad ogni modo in una fase di posizionamento, con i secondi che probabilmente intendono testare le reali forze dei curdi. 

Non sono quindi da escludere ulteriori attacchi nei prossimi giorni.

June 27, 2014di: Stefano NanniIraq,Articoli Correlati: 

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