“Crediamo che questa applicazione permetterà alle persone di scoprire il passato della Palestina attraverso una mappa”. Intervista a Raneen Jeries, ideatrice dell’applicazione “iNakba”.
Il 6 maggio in Israele si è celebrata la Festa dell’Indipendenza (Yom Ha’atzmaut, in ebraico), giorno molto sentito in tutto il paese, che si trasforma in un’atmosfera di fuochi d’artificio, feste in spiaggia, barbecue e aquiloni. Ma non è così per tutti.
Per i palestinesi, come ogni anno, la Festa dell’Indipendenza vuol dire un altro anno passato dalla Nakba, la catastrofe che ha portato all’espulsione di oltre 800mila persone e la distruzione di centinaia e centinaia di villaggi nel 1948.
Lunedì scorso a Tel Aviv, alla vigilia dello Yom Ha’atzmaut, veniva lanciata l’iNakba, un’applicazione per telefoni cellulari iPhone che, sfruttando la connessione internet e Google Maps, permette di individuare tutti i villaggi palestinesi che oggi non ci sono più.
L’applicazione, creata dall’organizzazione non governativa Zochrot, il cui nome significa “ricordare” e le cui attività mirano alla diffusione della conoscenza e del riconoscimento della Nakba in Israele, contiene al momento informazioni e immagini di oltre 500 villaggi, destinati probabilmente ad aumentare dato che, ad oggi, alcuni luoghi in cui i palestinesi vivevano prima del ’48 sono ancora sconosciuti.
L’applicazione è molto semplice. Si va sull’AppStore e si cerca iNakba. The invisible land. La si scarica gratuitamente e la si inizia ad usare cercando tra il database oppure inserendo direttamente il nome del villaggio di interesse. Cliccando su di esso, appariranno le immagini reali, in modalità street view secondo la tecnologia Google Maps.
Ma non è un errore se al posto di case e persone si troveranno foreste o spazi vuoi, oppure monumenti o musei. Occorre sempre ricordarsi che quel villaggio non c’è più: la Nakba se l’è portato via 66 anni fa.
Osservatorio Iraq ha avuto il piacere di intervistare colei che ha lavorato per oltre due anni allo sviluppo di questa applicazione, Raneen Jeries. Di seguito le sue #ParoleDautore.
Un’applicazione per iPhone su una questione così delicata come la Nakba: di cosa stiamo parlando?
Si può dire che iNakba è in realtà un risultato molto importante di un percorso, quello di Zochrot, che è partito nel 2002, quando è nata l’organizzazione. Da allora abbiamo iniziato a visitare e scoprire i luoghi dove prima sorgevano le città e i villaggi palestinesi, e lo abbiamo fatto e lo facciamo ancora oggi sia da soli che insieme ai rifugiati che un tempo li abitavano.
Si sono uniti a noi molti attivisti da tutto il mondo, soprattutto palestinesi che vivono in Europa e Nord America, e sono stati loro stessi a contattarci per chiederci foto, immagini o più informazioni possibili sui loro villaggi, dato che è stato fatto di tutto per seppellirne le tracce, sia fisicamente che a livello di memoria.
Ieri, ad esempio, eravamo sul sito di un antico villaggio palestinese, sulle cui rovine è stato costruito un parco. Ecco, per trovare i resti del cimitero bisogna inoltrarsi nel parco e sapere che in un certo punto ci sono quei resti, altrimenti nessuno mai in Israele lo saprà e lo dirà. Occorreva uno strumento che riscoprisse questo passato, e l’idea dell’iNakba è proprio questa.
Crediamo che questa applicazione permetterà alle persone di scoprire da sole il loro passato, o il passato della Palestina, attraverso una mappa che, credo nell’arco di due o tre anni, sarà per la prima volta la più accurata e più fedele possibile alla realtà.
Fino ad oggi sono stati diversi i tentativi di ricostruire una mappatura precisa di quella che era la Palestina storica, con tutti i suoi villaggi e quelli odierni. Penso ad esempio all’Atlas of Palestine di Salam Abu Sitta, che rappresenta il tentativo migliore di mappa geografica della Palestina, completa di strade, colline, montagne e i rispettivi nomi.
Con l’iNakba siamo convinti di aver fatto un passo ulteriore, perché finalmente, grazie alla tecnologia GPS, i margini di errore saranno ridotti al minimo e soprattutto si ha a disposizione uno strumento moderno e semplice da usare per tutti, anche per chi non ha familiarità con l’uso delle mappe cartacee.
Quanto tempo ci è voluto per realizzarla e soprattutto com’è stato possibile?
Oggi la maggior parte di noi usa Google Maps o i navigatori satellitari per spostarsi, e per questo due anni fa abbiamo iniziato a pensare alla possibilità di fare un’applicazione per iPhone. Quello che ci serviva erano le coordinate geografiche e la lista di tutti i villaggi.
Conoscendo già la stragrande maggioranza di questi ultimi, per le coordinate ci siamo serviti delle mappe britanniche, che già contenevano molti e importanti dettagli su ciascun villaggio, comprese alcune foto. Successivamente le abbiamo inserite su una mappa digitale e il grosso del lavoro era ormai fatto.
Insistiamo molto sulla mappa perché si tratta di uno strumento politico importantissimo, perché sulle mappe si è deciso durante la Storia cosa poteva esistere e cosa no.
Israele ha agito così per la Palestina, eliminandola in tutto ciò che era. E continua a farlo ancora oggi, con l’Occupazione della Cisgiordania, le terre che una volta espropriate non sono più Palestina, con le colonie che fanno parte di Israele e con il muro che “cancella” un altro 40% della Palestina.
In poche parole l’obiettivo dell’iNakba è quello di riportare alla luce la Palestina prima della catastrofe del 1948.
Qual è la reazione degli utenti iPhone?
Molto positiva. Soltanto nelle prime 48 ore, stando alle statistiche Apple, ci sono stati 4mila download. E in pochi giorni iNakba è diventata la quinta applicazione più scaricata dell’AppStore, il sito che che contiene tutte le applicazioni per iPhone. E il trend sta continuando, con migliaia di download ogni giorno, e noi nel frattempo stiamo lavorando allo sviluppo dell’applicazione anche per altri smartphone, provando a renderla compatibile con altri sistemi operativi. Ci vorranno 3-4 mesi, ma ce la faremo.
Inoltre c’è un altro riscontro molto positivo che stiamo avendo. L’applicazione, infatti, permette alle persone di interagire sia tra di loro che con l’applicazione. In partenza, per quasi tutti i villaggi ci sono già foto e informazioni, ma ogni utente può aggiungerne di nuove e soprattutto può comunicare eventuali errori sull’esatta localizzazione di un villaggio.
Questo riguarda in particolare l’area del deserto del Naqab, nel sud di Israele, dove nel 1948 la pulizia etnica costrinse migliaia di persone a rifugiarsi a Gaza, Giordania e in Egitto, e dove fu fatta una tabula rasa dei villaggi, di cui oggi sappiamo davvero poco. E in misura minore avviene la stessa cosa per la Galilea, a nord, dove diversi villaggi palestinesi esistono ancora oggi, mentre di altri non sappiamo ancora la localizzazione precisa.
Ieri (mercoledì, ndr), ad esempio, ho ricevuto un’email da una persona che mi ha comunicato che le coordinate di un villaggio sono sbagliate. Quello che farò è andare sul sito del villaggio, riprendere le coordinate che mi ha dato l’utente e correggere l’applicazione. Ma in generale, fino ad ora stiamo ricevendo più foto e informazioni da parte di utenti palestinesi, da tutto il mondo, che tra di loro commentano e scambiano opinioni ed emozioni sui loro antichi villaggi.
Sembra dunque che la “i” che precede la parola “Nakba” abbia un significato più ampio rispetto alla semplice indicazione del marchio iPhone…
Esattamente, ci sono tanti significati dietro quella lettera. Può infatti essere la “i” di io (“I” in inglese), dando un’accezione personale della Nakba. Ma può essere anche la “i” di informazione, nel suo senso più letterale, dato che parliamo di informazioni precise e dettagliate; o anche la “i” di interazione, di cui abbiamo già parlato.
Oppure c’è un altro valore che si può dare alla pronuncia di “i”, che in inglese è la stessa di occhio (eye), e quindi: “io vedo la Nakba”, la riconosco e inizio a comprenderla. Abbiamo pensato molto a questi differenti aspetti prima di dare un nome all’applicazione, dandole anche un sottotitolo, che è “The invisible land” – di nuovo, ecco un’altra “i”.
Una terra resa invisibile che però non lo è mai stata in realtà, e che da oggi in poi sarà sempre più difficile negare anche nelle sue rappresentazioni politiche e geografiche.
Parliamo ancora di significato. L’iNakba è stata presentata martedì, in occasione dello Yom Ha’atzmaut, la festa dell’Indipendenza di Israele*. Perché?
Come ogni anno Zochrot organizza un evento particolare in quel giorno, e quest’anno il lancio dell’iNakba non poteva avere occasione migliore della sera prima della festa dell’Indipendenza. Semplicemente perché non si può celebrare sulle rovine e la catastrofe di qualcun altro.
C’è un detto tra noi di Zochrot, una sorta di frase che ripetiamo sempre, soprattutto quando svolgiamo le diverse attività sul ricordo della Nakba: “Senza parlare di quello che è realmente successo, senza parlare della Nakba e del diritto al Ritorno e senza comprendere davvero queste cose e assumersene la responsabilità in quanto ebreo di Israele, non ci sarà mai e poi mai la pace in Medio Oriente”.
Noi crediamo che qui ci sia posto per tutti, parlare di Ritorno non significa cacciare via gli ebrei, non ci sarà alcuna nuova epopea biblica, come molti immaginano. Ma per vivere insieme abbiamo bisogno di riparare quello che è iniziato a succedere nel 1948. E “riparare” significa tante cose, per questo Zochrot negli ultimi due anni sta concentrando tantissimo le sue iniziative sul Diritto al Ritorno, come la conferenza che si è tenuta lo scorso settembre.
Ovvero, pensare nel modo più pratico possibile a come potrebbe essere applicato, cercare nuove soluzioni, ispirandosi a casi storici concreti o creando nuove idee. Ma anche partendo dal riconoscimento, che è il passo fondamentale per una possibile riparazione.
Vorrei precisare che quando parlo di “noi di Zochrot” intendo in realtà 6 persone, cioè gli unici che lavorano più o meno a tempo pieno. Il resto è tutto merito di tanti volontari che come noi credono che riconoscere e far conoscere la Nakba non sia un lavoro qualunque: è un dovere, è qualcosa di molto più grande perché siamo noi i responsabili di quello che è accaduto.
Una curiosità: qual è stato il rapporto con due giganti della tecnologia e dell’economia mondiale, come Apple e Google? Ci sono stati problemi per l’accettazione di un’applicazione sulla Nakba, tutt’altro che argomento comune?
Guarda, molte persone credono che ci sia stato un lavoro di cooperazione tra noi, Apple e Google. Ma non è andata così. Tutti possono creare e sviluppare un’applicazione per iPhone, che alla sua realizzazione va inviata all’Apple per avere l’autorizzazione ad essere inserita nello AppStore. E in genere, la valutazione che loro fanno è di natura tecnica: rivedono l’applicazione, controllano che tutto funzioni bene ed è fatta. Non abbiamo firmato alcun contratto né ricevuto soldi.
Personalmente eravamo tutti preoccupati che non l’accettassero per ragioni politiche, e quando abbiamo ricevuto la mail di conferma che l’iNakba era disponibile sull’AppStore eravamo increduli!
Oltre al successo dell’applicazione immagino non siano mancate le critiche. Non solo quelle secondo cui Zochrot sia anti-israeliana, che vi vengono rivolte spesso, ma anche osservazioni più articolate, che riconoscono il vostro lavoro come molto positivo, ma troppo radicale per fare presa su una popolazione più ampia. Cosa ne pensa?
Sicuramente c’è tantissimo lavoro da fare affinché la maggior parte della società israeliana riconosca la Nakba. Non è affatto facile, e lo sappiamo e lo sperimentiamo ogni giorno sulla nostra pelle, dal momento che abbiamo tutti contro, qui in Israele. Non solo la politica e le istituzioni, come il Ministero dell’Educazione o l’esercito, ma è lo stesso ambiente, il modo di vivere quotidiano, i segnali stradali, le mappe, appunto, che vanno contro la realtà della Nakba e dell’Occupazione.
Martedì mattina ad esempio abbiamo trovato i cartelli che indicavano alcuni villaggi palestinesi, che avevamo affisso la sera prima per la commemorazione della Nakba, stracciati a terra. E questa è ormai la consuetudine. Non è facile parlare con tanti, troppi israeliani, specialmente negli ultimi anni, in cui questo paese è diventato sempre più razzista.
Preferiamo tuttavia essere ottimisti, e ce lo possiamo permettere perché vediamo alcuni risultati da quando Zochrot è nata. Negli anni diverse persone, ebrei israeliani, si sono unite a noi per condividere le nostre attività. Attenzione: ciò non vuol dire che queste persone la pensino esattamente come noi, ma almeno vogliono imparare e fare lo sforzo riflettere. Soprattutto di porsi e porre delle domande, cosa fondamentale, su tutto ciò che hanno imparato da piccoli nelle scuole e che assorbono ogni giorno dai mezzi di informazione e dall’ambiente circostante.
Si tratta di un processo, lungo e difficile, ma solo così si possono creare le basi per il cambiamento dei concetti e delle idee.
*La festa dell’Indipendenza varia ogni anno, dal momento che segue il calendario ebraico e dunque può non sempre coincidere con il 15 maggio, data in cui nacque lo Stato di Israele.
May 11, 2014di: Stefano NanniIsraele,
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