Catalina Martin-Chico è una fotoreporter franco-spagnola che ha dedicato gran parte della sue opera fotografica allo Yemen, premiata nel luglio 2011 con il “Visa d’Or Humanitaire” dal Comitato internazionale della Croce Rossa per il suo reportage “La rivoluzione yemenita”.
Catalina Martin-Chico è nata a Madrid ma ha eletto la Francia a suo paese di adozione, vive a Parigi e gira il mondo con la sua Leica per “immergersi” in storie lontane e documentarle da vicino.
La contattiamo al suo rientro dalle Antille, dopo due mesi passati a Saint-Martin per un lavoro prodotto dal Festival Fotoreporter di St-Brieuc “Ho avuto la fortuna di essere stata selezionata con il mio progetto “Saint-Martin ou les paradoxes du paradis”, con il quale mi sono tuffata nelle diverse sfaccettature e contraddizioni di questa isola, ormai europea”.
Ma c’è un altro paese che Catalina conosce da vicino e al quale ha dedicato molti lavori fin dal suo primo incontro con la fotografia: lo Yemen.
“Sono arrivata alla fotografia tardi, ho fatto lunghi studi universitari e ho avuto anche un lavoro ‘da ufficio’ per cinque anni prima che la vita mi portasse a New York. Qui ho seguito dei corsi all’International Center of Photography ed è sempre qui che si è sviluppato il mio amore per la fotografia e i reportage. Il mio primo lavoro l’ho chiamato “The mood for love” ed era dedicato a diversi orfanotrofi in giro per il mondo. Questo soggetto mi ha fatto scoprire lo Yemen, un luogo che mi è rimasto nel cuore ed è diventato il mio paese di elezione”.
Questo primo incontro la cattura a tal punto che non lo lascerà più: da ormai sei anni Catalina torna periodicamente nel paese, scoprendo ogni volta una nuova sfumatura dell’anima di questi luoghi.
E scorrendo la sua opera, che va dall’unità femmile anti-terrorismo ai capi tribali, si arriva alla rivolta, quella del 2011. Sebbene non sia una fotografa di guerra, il risultato di questo lavoro è stato premiato con il “Visa d’Or Humanitaire” dal Comitato Internazionale della Croce rossa.
In uno dei suoi ultimi reportage sullo Yemen Catalina racconta delle difficili condizioni in cui il personale medico si è trovato ad operare durante gli scontri.
Alcuni rapporti di organizzazioni per i diritti umani hanno parlato anche di ospedali presi come obiettivo di guerra. Quale è stata la sua esperienza personale?
Non ho avuto esperienza diretta, ma ho visto con i miei occhi il personale medico andare direttamente nelle zone del conflitto per portare in ospedale morti e feriti, rischiando la vita.
Le mie foto danno un’idea della situazione in cui i medici operavano: vetri rotti e buchi da proiettile sulle fiancate delle ambulanze. Erano in prima linea al pari dei manifestanti e si esponevano agli stessi pericoli.
Per quanto riguarda la mia esperienza, non c’è mai stato un momento in cui ho temuto davvero per la mia vita, ma la mia presenza in quei luoghi e in quei momenti mi ha esposto sicuramente a dei rischi….
Parte del suo lavoro sulla rivolta yemenita ha riguardato le donne. Che ruolo hanno avuto nelle giornate della protesta?
Le yemenite hanno giocato effettivamente un ruolo molto importante in questa rivoluzione. Hanno preso posizione, hanno manifestato, insieme agli uomini, hanno fatto dei sit-in giorno e notte sulla Piazza del Cambiamento, il cuore stesso della rivolta e credo che la comunità internazionale abbia voluto riconoscere loro questo ruolo quando ha premiato Tawakkol Karman con il premio Nobel per la Pace l’anno scorso.
Lo Yemen è stato uno dei primi paesi a scendere in piazza all’alba dell Primavere. Secondo lei c’erano dei segnali che potevano preconizzare quello che sarebbe successo?
In realtà, un anno prima della rivoluzione non avevo avuto segnali che una rivolta fosse dietro l’angolo, o almeno non di queste dimensioni.
In realtà c’era una parte della popolazione, gli abitanti di un villaggio (Jahasheen) che protestavano contro il loro sceicco, un capo tirannico, e la loro protesta veniva portata avanti sotto le tende, proprio come poi è avvenuto per la rivolta yemenita.
Sono stati dei ‘pionieri della rivoluzione’! Ma se non ci fosse stata la caduta di Ben Ali non sono sicura che la situazione yemenita avrebbe avuto lo stesso corso. C’è stato effettivamente un effetto ‘Primavere Arabe’ che ha giocato un ruolo importante.
Restando sul tema delle donne c’è un altro lavoro fotografico realizzato in Yemen con il quale ha raccontato la vita delle yemenite “al di là del velo”..
‘Beyond the veil’ è stato un reportage personale sul quale ho lavorato durante i miei soggorni a Sana’a. È strutturato intorno vita di quattro sorelle che ho conosciuto quando avevano tra i 17 e i 25 anni.
Le ho seguite nella loro quotidianetà, senza altro obiettivo se non quello di vivere con loro e mostrare la loro vita da donne. Capire, non giudicare, solo essere lì.
Nella semplicità della loro vita mi sono resa conto di tutte quelle cose alle quali bisogna fare attenzione in quanto donna in Yemen: non ridere in pubblico, non correre per raggiungere l’autobus, non pronunciare i loro nomi in pubblico, naturalmente non cantare e non ballare, essere attente a non far uscire capelli e sopracciglia dal niqab, non restare fuori durante la notte senza essere accompagnate da un uomo e via dicendo…e dall’altra parte ho conosciuto anche i loro sogni, di una semplicità disarmante, come quello di ‘Andare a comprare il latte senza mettere il niqab‘, e le loro paure assurde come ad esempio: ‘E se mio marito non ama il mio viso dopo il matrimonio?’.
Per me &` stata un’esperienza importante, è stato un modo per immergermi completamente nel mondo femminile di uno dei paesi più conservatori del mondo musulmano.
Il fatto di aver lavorato molto su questo paese le ha fatto scoprire situazioni che non sono sulle prime pagine dei giornali internazionali, ma che rappresentano realtà forti dello Yemen. Penso, ad esempio, al suo reportage sulle famiglie dei detenuti di Guantanamo o a quello sui rifugiati somali..
Il progetto su Guantanamo era una bella storia incentrata sulla comunicazione di una famiglia con un detenuto a Guantanamo da 7 anni, che avveniva attraverso lettere e foto grazie al lavoro del CICR che fungeva da intermediario.
Era il loro figlio più piccolo che li aiutava ancora a sperare. Oggi i contatti vengono fatti con video-conferenze, ed è sempre il CICR che fornisce a queste famiglie il computer e i locali per poter parlare con il loro familiare.
Per quanto riguarda i rifugiati solami: è una realtà terribile che continua ad essere di estrema attualità anche se passano gli anni. E’ stato uno dei primi reportage che ho fatto, ormai 6 anni fa e che comunque avrei molto desiderio di approfondire.
Tutti gli anni moltissimi rifugiati somali sbarcano ad Aden, nel sud dello Yemen, ma sono tantissimi quelli che muoiono durante la traversata. Una volta arrivati sul posto vengono ‘smistati’ tra il centro per rifugiati dell’UNHCR e il quartiere di Basateen, dove che ho scelto di fare il mio reportage.
A Basateen arrivano dei giovani che hanno voglia di lottare per venirne fuori, trovare un lavoro…è una sorta di ghetto somalo nel cuore dello Yemen. Quelli che decidono di non fermarsi in questo ghetto si lanciano nell’avventura di attraversare il paese per andare in Arabia Saudita.
Ma è triste la sorte di queste persone, incastrate in questa immigrazione sud-sud, che lasciano un inferno per ritrovarne un altro…
Oltre allo Yemen lei ha lavorato anche in Tunisia, in particolare su un reportage sul salafismo nell’università di Tunisi.
L’argomento principale del lavoro era l’infiltrazione salafita nella facoltà di lettere, con un carattere più politico che religioso. Ho voluto mostrate la varietà di credenze che si può riscontrare tra i giovani in questo momento nel paese, in particolare in questa università che rappresenta un campione della società tunisina e della Tunisia di oggi.
Gli studenti sono molto fieri di poter avere libertà di fede e abbigliamento. Quello che ho notato è che spesso le donne passano attraverso fasi diverse, a seconda del loro processo personale rispetto alla fede. O anche il contrario.
Quale è il suo prossimo progetto? Tornerà in Yemen per raccontare il post-rivolta?
Mi piacerebbe…ma devo trovare un finanziamento per questo! Credo che ci siano ancora cose da raccontare a livello di evoluzione della società e molto da approfondire sui possibili cambiamenti verso i quali sta andando il paese.
“Beyond the veil” di Catalina Martin-Chico / Cosmos
“Beyond the veil” di Catalina Martin-Chico/Cosmos
“Guantanamo: Broken Families” di Catalina Martin-Chico/Cosmos
“Yemen: one year of revolution” di Catalina Martin-Chico / Cosmos
“Yemen: one year of revolution” di Catalina Martin-Chico / Cosmos
May 16, 2013di: Maria Letizia PeruginiYemen,Video:
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